Sei ricco, Coniglio
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Sei ricco, Coniglio

John Updike, Stefania Bertola

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Sei ricco, Coniglio

John Updike, Stefania Bertola

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Harry «Coniglio» Angstrom, il piú irriducibile rappresentante dell'americano-medio, è approdato a una prospera e appagante mezza età. L'America alla fine degli anni Settanta è in un periodo di inflazione galoppante e fiducia molto bassa, ma Coniglio si sente in gran forma e pronto, finalmente, a godersi la vita. Ha ottenuto la rappresentanza della Toyota per la città di Brewer, in Pennsylvania, e dopo ventitre anni di matrimonio è riuscito anche a farsi una ragione della presenza della moglie Janice accanto a sé. Tutto procederebbe dunque per il meglio se all'improvviso non ripiombassero nella sua vita prima il figlio ventenne Nelson, poi l'immagine di un'antica amante ricomparsa dal passato. Due eventi che costringono Coniglio a rimettersi in cerca, con il consueto modo un po' riluttante e ondivago, della sua quieta felicità. E noi a seguirlo, leggendo in tralice, nelle sue peripezie apparentemente banali e borghesi, le irrequietudini, i vizi e le virtú di un'intera nazione. *** «La tetralogia di Coniglio è il miglior romanzo americano del dopoguerra». Julian Barnes *** «Updike è un maestro nel muoversi senza sforzo alcuno dalla terza alla prima persona, dalla densità metaforica della prosa letteraria al quotidiano, dal dettaglio al numinoso, dal terrore alla comicità. Ha inventato uno stile unico: un presente narrativo intenso, un discorso indiretto libero che può elevarsi in qualunque istante a un'ampiezza di sguardo che ha qualcosa di divino». Ian McEwan *** «Updike aveva un'impermeabilità congenita verso qualunque forma di imbarazzo, e noi siamo i beneficiari diretti di questa sua condizione. Ha condotto il romanzo a nuovi livelli di intimità; ci ha accompagnati dalla camera da letto al bagno. È come se nulla di quel che ci rende umani fosse precluso al suo sguardo». Martin Amis

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2014
ISBN
9788858415160

4.

Hanno preso gli ostaggi. Nelson lavora alla Springer Motors da cinque settimane. Teresa è incinta di sette mesi e grossa come una casa, una casa dentro la casa dove ciondola avvilita dietro a bismamma, coi suoi pantaloni allargabili da gravidanza e certe vecchie camicie di papà. Quando esce dal bagno e attraversa il pianerottolo copre interamente lo specchio della luce, e quando cerca di aiutare in cucina fa cadere i piatti. Adesso che sono in cinque devono usare il servizio buono di porcellana che bismamma teneva nella vetrinetta e il piatto rotto da Pru era uno di quelli. Bismamma non ha detto granché ma le è venuta la gola a chiazze e si è capito benissimo che per lei era un affare di stato, queste sono cose importanti per le vecchie signore, sta sempre a dire che quei piatti li avevano comprati insieme lei e Fred cinquant’anni fa da Kroll, quando da Weiser passava un tram ogni sette minuti e Brewer era proprio un posto fighissimo.
Una cosa Nelson non sopporta, che Pru scoreggi. E siccome deve dormire sulla schiena per via della pancia, russa. Un rumorino ritmico, lieve ma stridulo, che lui non riesce a ignorare, lí nella camera sul davanti con le luci della strada che filtrano attraverso le tapparelle e il rumore delle macchine che passano, libere. Gli manca la sua vecchia stanza sul retro. Si chiede se Pru abbia per caso una deviazione del setto. Prima di sposarsi non si era mai accorto che le sue narici non sono esattamente grandi uguali: una ha piú una forma a lacrima, come se qualcuno avesse dato un pizzicotto al suo nasino puntuto e lentigginoso quando era ancora tenero, giú ad Akron. E poi vuole sempre andare a letto presto, proprio all’ora in cui il traffico là fuori si fa piú intenso e lui muore dalla voglia di uscire, un salto al Laid-Back per una birra o due o anche solo fino al Superette sulla statale 422 per vedere qualche faccia nuova dopo la claustrofobia di una giornata in negozio ben attento a girare alla larga da papà, e poi a casa bisogna stargli alla larga un altro po’, con quella sua testona che sfiora il soffitto e la voce pigra e sciocca che detta legge su tutto e tutti, se solo stai a sentire, sempre a umiliare Nelson, lo guarda nervoso e fa quella risatina a occhi tristi, Sono stato io a dirlo?, quando pensa di aver detto una gran spiritosaggine. Il guaio con papà è che ha vissuto per troppo tempo in un harem, mamma e bismamma l’hanno sempre servito di tutto punto. Se ha intorno un altro uomo qualsiasi tranne Charlie che gli stava morendo davanti agli occhi e quei babbei con cui gioca a golf, diventa antipatico. Sembra che soltanto Nelson al mondo abbia capito quant’è antipatico Harry C. Angstrom e il peso della cosa ogni tanto gli fa venire voglia di urlare, suo padre entra in una stanza tutto grande e grosso e lanuginoso e sornione e invece è un assassino, ne ha già due sulla coscienza e il prossimo sarebbe suo figlio se riuscisse a trovare il modo di farlo senza sembrare cattivo. A papà non piace piú sembrare cattivo, una volta almeno questo potevi ammirare in lui, che non gliene importava niente di fare brutta impressione, ad esempio di quello che pensavano i vicini quando si era preso in casa Skeeter, aveva questa pazzesca fiammella di fiducia in sé stesso, rimasta dalla pallacanestro o da un’infanzia coccolata o da chissà cosa grazie a cui ogni tanto poteva mandare in culo la gente. La scintilla si è spenta, ed è rimasto il cadavere di un omone sul petto di Nelson. Cerca di spiegarlo a Pru e lei sta a sentire ma non capisce.
A Kent era sottile e dritta e di passo svelto, quei fantastici capelli carota raccolti in un torciglione lucente oppure che scendevano sulla schiena dritti come se fossero stirati. Quando andava a prenderla in ufficio verso le cinque, uno studente fuor d’acqua, si sentiva tutto tronfio all’idea di portar via dalla macchina da scrivere e dagli schedari e dalla gelida luce fredda questa lavoratrice che aveva un anno piú di lui: gli uffici amministrativi dell’università sembravano un pezzo di quel cielo di realtà concreta che aleggiava sopra i tunnel di aule in cui lui strisciava come un verme ogni giorno. Pru non aveva quella falsa cultura, non sapeva i nomi giusti da citare, morti assortiti di tutti i gusti, era in grado di parlare solo di cose vive, film e dischi e programmi Tv e gli scandali dell’ufficio, chi era scoppiata in lacrime e chi si era sentita fare delle proposte da un preside di facoltà. Una delle altre segretarie scopava col suo capo senza che il tizio le piacesse granché ma solo per una specie di frivola indifferenza nei confronti della propria vita e del proprio corpo e Nelson trovava eccitante l’idea che avrebbe potuto farlo anche Pru, la vita in Pennsylvania aveva una fermezza stretta che lí si scioglieva e permetteva di andare alla deriva. Lo eccitava la casuale durezza di Pru, quel suo modo menefreghista di camminargli accanto, tutta profumata e con un piú segreto aroma nascosto fra i vestiti, sotto gli alberi di cui Kent si vanta sempre, di quelli e di tutte le palestre al Centro Studenti e della rete di autobus nel campus, la piú estesa del mondo, tante cazzate messe l’una sull’altra sperando di far dimenticare alla gente l’unica reale rivendicazione alla celebrità dell’Università di Kent, cioè il 4 maggio 1970, quando la polizia aveva sparato sugli studenti. Per quel che riguarda Nelson, avrebbero potuto benissimo ammazzarli tutti, quegli stronzi. Durante il casino riguardo a Tent City del ’77 Nelson se ne era rimasto chiuso in dormitorio. All’epoca non conosceva ancora Pru. In uno dei bar lungo Water Street, al terzo cocktail lei cominciava coi racconti dell’orrore sulla sua infanzia, botte e sfuriate e lunghe misteriose assenze del padre e poi le ingarbugliate imprese delle sue sorelle man mano che maturavano sessualmente e cominciavano a tirar giú la casa. Le vicende di Nelson al confronto sbiadivano. Pru lo riconciliava con il fatto di essere sé stesso. Con gli altri studenti, Melanie compresa, si sentiva spesso preso in giro, messo nel sacco in un gioco a cui non voleva partecipare, ma con Pru Lubell, questa segretaria, non si sentiva messo in ridicolo. Erano d’accordo su cose basilari. Sapevano che il mondo in fondo era brutale, niente padre a proteggerti, si restava soli in un modo che non piace a questi ragazzini che scorrazzano facendo giochi violenti o atteggiandosi a radicali o dandosi alla goliardia o alla loro personale mania. Nelson ammettendo che erano tutte cazzate si era conquistato una patente di serietà agli occhi di Pru. Appoggiato al piano di compensato di un tavolino nel bar per operai di Akron dove andavano in macchina – la macchina di Pru, una vecchia Plymouth Valiant corrosa dal sale, col parafango anteriore che sbatacchiava come una bandiera, era un’altra cosa che gli piaceva in lei, che fosse disposta a guidare un vecchio scassone come quello, e che se lo fosse comprato coi soldi del suo lavoro – si rendeva conto di fare un’ottima figura. Nella scala dei valori sociali, lui per lei rappresentava un passo avanti. E lo stesso lei per lui, nella scala dei valori ambientali, secondo la geografia locale. Non solo aveva una macchina ma anche un appartamento, piccolo ma suo, con un fornello sui cui si cucinava quello che voleva, e liquori che gli offriva dopo aver messo un disco. Fin dal loro primo appuntamento, non contando le volte in cui erano andati a far casino in giro con Melanie e i suoi amici fricchettoni democratici, Pru l’aveva portato nel suo appartamento, presupponendo senza farla tanto lunga che a entrambi interessasse scopare. Lei veniva con piccole contrazioni salde e veloci che lo portavano in una stretta rassicurante a venire anche lui. Aveva scopato altre ragazze, ma senza essere mai del tutto sicuro che fossero venute. Con Pru era sicuro. Gridava forte e si dibatteva un po’, come un pesce che guizza alla superficie di un lago oscuro. E dopo cucinava qualcosa per lui aggirandosi nuda, coi capelli giú per la schiena fino alla sesta vertebra della spina dorsale, anche se chiunque avrebbe potuto vederla dalle finestre sul cortile. Che importa? Anzi, le piaceva essere guardata nelle discoteche dove andavano ogni tanto, o in privato lasciava che lui la esaminasse per dritto e per traverso, quel gran corpo liscio come quello di una bambola che tiene braccia e gambe e testa dove gliele metti. La sua profonda gratitudine per qualcosa che altri avrebbero accettato senza badarci troppo aveva ulteriormente aumentato il suo valore agli occhi di Pru, finché l’aveva catturato, troppo prezioso per lasciarlo andare, mai piú.
Adesso passa i pomeriggi guardando gli sceneggiati alla Tv con bismamma e certe volte mamma, Aspettando il domani sul canale 10 poi I giorni della nostra vita sul 3 e poi di nuovo sul 10 per Il mondo non si ferma e poi il 6 per Una vita da vivere e ancora il 10 per La luce che ti guida, Nelson ha imparato la routine nelle lunghe giornate prima che lo lasciassero lavorare alla concessionaria. Adesso Pru scoreggia perché il bambino la scombussola tutta là dentro, e gli oggetti le cadono, e dice che lei ritiene suo padre davvero una brava persona.
Nelson le ha raccontato di Becky, raccontato di Jill. La risposta di Pru è: – Ma è stato tanto tempo fa.
– Non per me. Per lui sí. Ha dimenticato, quello stronzo imbecille, basta guardarlo per capire che ha dimenticato. Ha dimenticato tutto quello che ci ha fatto. Come si è comportato con mamma, roba da non credersi, e probabilmente non ne so neanche la metà. È talmente compiaciuto e soddisfatto, è questo che mi fa impazzire. Se riuscissi anche solo una volta a dimostrargli che merda è, magari poi potrei fregarmene.
– E a che servirebbe, Nelson? Certo, tuo padre non è perfetto, ma chi lo è? Perlomeno lui la sera sta a casa, ed è piú di quello che abbia mai fatto il mio.
– Non ha un briciolo di fegato, ecco perché. Non credi che gli piacerebbe uscire a caccia di figa tutte le sere? Sapessi come guardava Melanie. Non è certo un grande amore per mamma che glielo impedisce, te lo dico io. È la concessionaria. Mamma ha il coltello dalla parte del manico, e non certo per merito suo.
– Be’, tesoro, per quel che posso vedere direi che i tuoi genitori si vogliono molto bene. Quando una coppia sta insieme tutti quegli anni, dev’esserci qualcosa.
L’idea di riflettere su questa ipotesi disgusta Nelson. La tappezzeria, col suo complicato disegno di cose che entrano ed escono da altre cose, ha l’aria diabolica. Da bambino aveva paura di questa stanza sul davanti, che l’intero pianerottolo separa dal borbottio della televisione di bismamma. Le macchine che passano in Joseph Street, sotto i rami spogli dell’acero, fanno roteare forme adunche sui muri, forme che mutano bruscamente come in quei videogame che ormai sono dappertutto. Quando una macchina frena all’angolo una macchia di rosso freme attraverso la tappezzeria e la pallida stampa incorniciata di un contadino con la barbetta a punta che attinge acqua da un pozzo: una stampa sbiadita che è stata sempre qui. Ai suoi occhi di bambino anche il contadino aveva un’aria diabolica, un demone sfrontato. Adesso Nelson la vede come una sciocca immagine nostalgica. Eppure resta un tocco di malevolenza, catturato nella trasparenza del vetro. Il rosso freme e palpita via; un motore scoppietta e degli pneumatici partono a razzo. Vai: la furia di questa macchina invisibile, che fugge, diventando soltanto un ronzio in lontananza, è per Nelson una gratificazione riflessa.
Lui e Pru dormono nello stesso letto infossato che divideva con Melanie. Pensa a Melanie, non incinta, libera, che va alle feste di Kent, prende gli autobus, segue corsi sulle religioni orientali. Pru dorme della grossa, ha una vecchia camicia di papà abbottonata sul seno e sbottonata sulla pancia. Nelson le ha offerto qualche sua camicia, adesso che lavora deve comprarsene molte, e lei ha detto che sono troppo piccole e strette. La stanza è caldissima. È subito sopra la caldaia e il calore sale, non c’è niente da fare, siamo a metà novembre e dormono senza coperte. Lui è perfettamente sveglio e lo sarà ancora per ore, innervosito dalla giornata trascorsa. Gli amici di Billy lo tampinano perché compri delle altre spider e anche se hanno venduto la Olds Royale per 3600 dollari a quel dottore, papà dice e Manny gli dà ragione che calcolando le trattenute per l’assicurazione e i costi di giacenza il guadagno è stato praticamente nullo.
Adesso hanno la Mercury in officina, anche se l’uomo delle assicurazioni voleva dichiararla distrutta, diceva che sarebbe stata la cosa migliore con una macchina cosí che praticamente è antiquariato, coi pezzi di ricambio a prezzi folli e la parte anteriore strizzata come se qualcuno l’avesse fatto apposta. Manny calcola che il costo della riparazione supererà di quattro o cinquecento dollari l’assegno concordato con l’assicurazione, non possono dar di piú del prezzo sul bollettino dell’usato, e quando aveva chiesto a Manny se poteva ripararla qualcuno dei meccanici nel tempo libero, lui aveva risposto, con aria solenne, la fronte corrugata e i punti neri sul naso pronti a saltarti addosso: «Ragazzo, niente tempo libero, questa è gente che lavora per il pane quotidiano», implicando che invece lui no, figlio di ricchi. Non che papà lo spalleggi minimamente, la considera una buona lezione impartita al figlio, e se la gode. L’unica lezione impartita a Nelson è che tutti si dànno da fare per il loro mucchietto di dollari, senza alzare mai lo sguardo per vedere le cose. Gli farà vedere lui quando venderà la Mercury per quattromilacinque o giú di lí, ci sono un sacco di tipi al Laid-Back per cui una somma del genere è niente. Questa faccenda in Iran farà salire ancora il prezzo della benzina ma passerà presto, non oseranno tenerli troppo a lungo, gli ostaggi. Papà continua a dirgli che una macchina in giacenza costa da tre a cinque dollari al giorno ma lui non riesce a capire perché, se ne sta lí in un parcheggio che è già tuo, la ditta si paga addirittura l’affitto per truffare il governo.
Pru comincia a russare lí accanto, la testa puntellata da due cuscini, la pancia lucente come quelle vescie di lupo che si trovano ogni tanto sugli alberi marci nel bosco. Sotto, papà e mamma stanno ridendo per qualcosa, ultimamente sono terribilmente su di giri, escono un sacco con quel loro gruppo di sfigati, perlomeno i ragazzini hanno la scusa che non c’è altro da fare. Pensa a quegli ostaggi a Teheran, è come avere una pillola in gola, una di quelle grosse vitamine asciutte che gli rifilava sempre Melanie, che non scende e non torna su. Andate laggiú con un unico enorme elicottero nero in una notte senza luna, dei commandos con la faccia annerita, una corda da pianoforte attorno alla gola di quei fricchettoni radicali arabi, ugh, arg, e poi un bisbiglio, prima le donne e i bambini, e via tutti in volo. Fate cadere una bombetta tattica su un minareto come biglietto da visita. Oppure anche una galleria o una di quelle noiose macchine alla James Bond. C’è quella scena fantastica in Moonraker quando lo buttano giú da un aereo senza paracadute e lui piomba su uno dei cattivi e gli frega il suo, non dev’essere molto peggio del deltaplano. Al chiaro di luna l’ombelico di Pru ha una minuscola ombra, sporge all’infuori adesso, non aveva mai visto una donna incinta nuda prima, non aveva idea che fossero cosí orribili. Come una palla di cannone che ti colpisce alla nuca e ti stende secco.
Una volta ogni tanto escono. Hanno qualche amico. Billy Fosnacht è tornato a Tufts ma gli altri si riuniscono ancora al Laid-Back, un po’ di ragazzi e gli sfaccendati di Brewer, gente che lavora nelle nuove industrie elettroniche o sta a far niente in qualche ufficio governativo o nei pochi negozi sopravvissuti in centro; se entri da Kroll in questo periodo, dove si sono incontrati papà e mamma in epoca preistorica, ci arrivi attraversando quella foresta che una volta era Weiser Square e sembra di essere sul ponte di una nave da guerra subito dopo Pearl Harbor, poche commesse impaurite spuntano dalla vita in su dietro i banchi delle offerte speciali. Mamma lavorava nel reparto dolciumi e noccioline ma adesso il reparto non c’è piú, probabilmente dopo trentasei anni che la gente moriva di vermi hanno capito che non era igienico. Eppure se non ci fosse stato quel banco delle noccioline Nelson non esisterebbe, o sarebbe qualcun altro, il che è assurdo. Lui e Pru non sanno come si chiamano tutti i loro amici, hanno nomi tipo Cayce e Pam e Jason e Scott e Dody e Lyle e Derek e Slim, e se ti fai vedere abbastanza spesso al Laid-Back finisci invitato a qualche loro festa. Vivono in posti tipo quei nuovi condomini con le mura intonacate grezze e tetti a punta come quella fila di casette di montagna che hanno costruito sul monte Pemaquid vicino al Flying Eagle, o in palazzi di mattoni e ardesia con un sacco di ferro battuto e comignoli, costruiti coi soldi delle vecchie fabbriche sul lato nord, adesso li hanno divisi in appartamenti, oppure sono stati trasformati in case di cura o uffici per piccole vezzose imprese tipo artigianato del cuoio, bricolage, giovani architetti specializzati in pannelli solari e risparmio energetico e giovani avvocati coi capelli vaporosi e baffi banditeschi nonostante completi impeccabili, che addebitano ai loro gio...

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