Strategia oceano blu
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Strategia oceano blu

Vincere senza competere

W. Chan Kim, Renée Mauborgne

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Strategia oceano blu

Vincere senza competere

W. Chan Kim, Renée Mauborgne

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Sin dagli albori dell'era industriale, le imprese hanno ingaggiato una battaglia senza quartiere per accaparrarsi un vantaggio nel sanguinante oceano rosso della competizione, colmo di rivali che lottano per un potenziale di profitti sempre più ridotto. Ma quali prospettive di crescita potrebbero avere se, invece, operassero senza alcuna concorrenza, in uno spazio di mercato incontestato, dalle possibilità illimitate come quelle di un oceano blu? Dieci anni fa, Strategia Oceano Blu rivoluzionò il mondo delle aziende, con un nuovo modello per scoprire mercati incontestati maturi per la crescita e battere la concorrenza. Oggi, dopo che sono state vendute più di 3, 5 milioni di copie del libro, tradotto in 43 lingue, e che il metodo è stato adottato da migliaia di imprese in tutto il mondo, gli autori ne presentano una nuova edizione aggiornata e ampliata - con nuovi capitoli e soprattutto la risposta a tutti coloro che si chiedono come continuare a innovare quando l'oceano blu che hanno creato comincia a macchiarsi di rosso. Tra le novità: • una nuova prefazione degli autori; • l'attualizzazione di tutti i casi e gli esempi; • l'allineamento tra gli elementi della strategia e chi deve attuarla; • come rinnovare gli oceani blu; • come sfuggire alle trappole più insidiose dell'oceano rosso. Punto di riferimento che sovverte il pensiero tradizionale sulla strategia, questo libro traccia un percorso coraggioso per vincere nel futuro, un modello sistematico replicabile da qualsiasi impresa per rendere la concorrenza irrilevante.

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Information

Publisher
ETAS
Year
2015
ISBN
9788858677872
Subtopic
Gestione

PARTE SECONDA

Come formulare
una Strategia
Oceano Blu

CAPITOLO 3

Ridefinire i confini del mercato

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA STRATEGIA OCEANO BLU RIGUARDA la ridefinizione dei confini del mercato, per staccarsi dalla concorrenza e creare un oceano blu. Questo principio risponde ai rischi legati alla ricerca di nuove opportunità, contro cui molte aziende si trovano a lottare. La sfida è quella di identificare, nel pagliaio di tutte le opportunità esistenti, quelle più promettenti a livello commerciale per la creazione di un oceano blu. Ed è una sfida centrale, poiché quando si tratta di strategia il management non può permettersi di giocare d’azzardo, puntando tutte le carte sulle sue intuizioni o su un disegno casuale.
Nel condurre la nostra ricerca, abbiamo cercato di scoprire se esistessero dei modelli sistematici legati alla ridefinizione dei confini del mercato, con l’obiettivo di creare un oceano blu. In caso positivo, volevamo capire se questi modelli si potessero applicare a tutti i tipi di settori industriali – dai beni consumer ai prodotti industriali, dalla finanza ai servizi, dalle telecomunicazioni all’IT, dai prodotti farmaceutici al B2B – oppure se fossero limitati a uno specifico settore.
Per quanto riguarda la creazione di oceani blu, abbiamo rintracciato alcuni modelli chiari. In particolare, abbiamo trovato sei diversi approcci di base per ridefinire i confini del mercato. Essi costituiscono ciò che abbiamo chiamato il framework dei sei percorsi. Questi percorsi sono genericamente applicabili ai diversi settori e conducono le aziende verso le idee più adatte per creare un oceano blu. Nessuno richiede una visione particolare o la capacità di predire il futuro; sono basati sull’analisi di dati già familiari, partendo però da un nuovo punto di vista. Essi mettono in discussione i sei presupposti fondamentali che stanno alla base della strategia di molte aziende e le intrappolano nell’oceano rosso della concorrenza. Per entrare nel dettaglio, le aziende tendono a comportarsi come segue:
definiscono il proprio settore in modo uniforme e si concentrano sull’obiettivo di essere le migliori tra tutte le aziende che appartengono ad esso;
analizzano il settore attraverso la lente dei gruppi strategici generalmente accettati (ad esempio: macchine di lusso, macchine economiche, macchine familiari) e fanno di tutto per distinguersi all’interno di quello di cui fanno parte;
pongono il focus sullo stesso gruppo di acquirenti, che si tratti degli addetti agli acquisti (come nel settore delle attrezzature per ufficio), degli utilizzatori (come nell’abbigliamento) o degli influenzatori (come nel settore farmaceutico);
definiscono in modo uniforme la gamma dei prodotti e servizi offerti dal proprio settore;
accettano l’orientamento funzionale o emotivo del settore;
nella formulazione della strategia, pongono il focus sullo stesso momento nel tempo e spesso sulle attuali minacce competitive.
Più le aziende condividono questa visione tradizionale della concorrenza, maggiore è la convergenza competitiva tra di loro. Invece di limitarsi a guardare entro questi confini, il management deve volgere sistematicamente lo sguardo al di là di essi per creare un oceano blu. Deve analizzare trasversalmente i settori alternativi, i diversi gruppi strategici, i gruppi di acquirenti, l’offerta di prodotti e servizi complementari, l’orientamento funzionale-emotivo del settore e persino il tempo. Questo approccio aiuta le aziende a capire in profondità come ridefinire la realtà del mercato per sbloccare un oceano blu. Esaminiamo il funzionamento di ciascuno di questi sei percorsi.

PRIMO PERCORSO: ANALIZZARE I SETTORI ALTERNATIVI

Nel senso più ampio, un’azienda non è in concorrenza solo con le imprese del suo settore, ma anche con quelle di altri settori che offrono prodotti o servizi alternativi. Il termine “alternativa” ha un senso più ampio di “surrogato”. I prodotti o servizi che offrono, in forma diversa, la stessa funzionalità o che di base hanno la stessa utilità rappresentano un surrogato. Le alternative, invece, includono prodotti o servizi che hanno funzioni e forme diverse ma condividono lo stesso scopo.
Ad esempio, per gestire le nostre finanze possiamo comprare e installare un pacchetto di software finanziari, rivolgerci a un commercialista o semplicemente usare carta e penna. Oggi ci sono anche delle app per aiutarci. Il software, il commercialista, la penna e le app sono surrogati uno dell’altro. In forma molto diversa, assolvono alla stessa funzione: aiutare la gente a gestire le proprie finanze.
I prodotti e i servizi, d’altro canto, possono anche prendere forme diverse o assolvere a funzioni diverse, tendendo però allo stesso obiettivo. Pensate ai cinema e ai ristoranti. A livello concreto, gli ultimi hanno ben poco in comune con i primi e assolvono a uno scopo diverso: offrono i piaceri gastronomici e quelli della conversazione. Si tratta di un’esperienza molto diversa dall’intrattenimento visivo offerto dai cinema. Tuttavia, nonostante le differenze a livello di forma e funzione, la gente va al ristorante con lo stesso obiettivo che al cinema: passare una bella serata fuori casa. Ristoranti e cinema quindi non sono surrogati, ma alternative tra cui scegliere.
Quando si tratta di fare una scelta gli acquirenti soppesano le alternative, in modo implicito e spesso inconscio. Avete voglia di passare un paio d’ore piacevoli? Che cosa è meglio fare per raggiungere questo scopo? Andare al cinema, farvi fare un massaggio o leggere il vostro libro preferito nel bar dietro l’angolo? Questi pensieri seguono un processo intuitivo, per i singoli consumatori ma anche per le aziende in cerca del fornitore giusto.
Per qualche ragione, quando ci mettiamo a vendere qualcosa spesso mettiamo da parte questo pensiero intuitivo. È raro che un venditore rifletta consciamente sui trade-off che si presentano ai clienti rispetto ai settori alternativi. Un cambiamento di prezzo, l’introduzione di un nuovo modello o persino una nuova campagna pubblicitaria possono sollevare una reazione molto forte da parte dei rivali appartenenti allo stesso settore; ma quando le stesse operazioni vengono svolte in un settore alternativo, generalmente passano inosservate. Le riviste di settore, le grandi convention e i sondaggi sui consumatori rafforzano i muri divisori tra un settore e l’altro. Spesso, tuttavia, lo spazio esistente tra i settori alternativi offre delle opportunità per l’innovazione di valore.
Prendiamo il caso di NetJets, che ha creato l’oceano blu della proprietà frazionata dei jet. In meno di vent’anni, la società è cresciuta fino a superare molte altre compagnie aeree: oggi possiede più di 500 apparecchi e gestisce 250.000 voli, servendo oltre 140 paesi. Oggi questi numeri sono ancora più alti, con una flotta di 700 apparecchi che volano verso più di 170 paesi. Acquisita da Berkshire Hathaway nel 1998, NetJets rappresenta un business da svariati miliardi di dollari, con la flotta di jet privati più grande del mondo. Il successo di NetJets è stato attribuito alla sua flessibilità, alla riduzione dei tempi di volo, all’offerta di un’esperienza di viaggio impeccabile, alla maggiore affidabilità e al pricing strategico. La realtà è che NetJets, per creare questo oceano blu, ha ridefinito i confini del mercato analizzando i settori alternativi.
Il segmento più redditizio tra i clienti del settore aereo è quello di chi viaggia per lavoro. NetJets ha analizzato le alternative esistenti e ha scoperto che quando un professionista si affida all’aereo per le sue trasferte, può scegliere principalmente tra due opzioni. La prima è viaggiare in business class o in prima classe con una compagnia aerea commerciale. La seconda prevede che l’azienda si compri un aereo privato per soddisfare le necessità dei dipendenti. La domanda strategica è: perché l’azienda dovrebbe scegliere un settore piuttosto che l’altro? Focalizzandosi sui fattori principali che la portano a scegliere l’una o l’altra alternativa, ed eliminando o riducendo tutti gli altri fattori, NetJets ha creato la propria Strategia Oceano Blu.
Ponetevi quest’altra domanda: perché un’azienda sceglie di appoggiarsi alle compagnie commerciali per i viaggi di lavoro? Sicuramente non perché apprezzi le lunghe file per il check-in e i controlli, oppure gli scali frenetici, le notti in albergo o gli aeroporti congestionati. Piuttosto, sceglie queste compagnie per un solo motivo: i costi. Da un lato, questo modo di viaggiare le fa risparmiare un grosso investimento anticipato, cioè il costo fisso di un jet privato (milioni e milioni di dollari). Dall’altro lato, acquista solo il numero di biglietti necessari per un anno, abbassando i costi fissi e riducendo la possibilità di pagare per un servizio non goduto, come spesso avviene quando si possiede un jet aziendale.
Quindi NetJets ha creato il concept della vendita di un jet a quote, la più piccola delle quali negli Stati Uniti può essere anche solo di un sedicesimo, e dare diritto a 50 ore di volo all’anno. Con soli 400.000 dollari (più il pilota, la manutenzione e altri costi mensili), è possibile acquistare una quota di un velivolo da 7 milioni di dollari.1 I clienti ottengono i vantaggi di un jet privato al costo di un biglietto in business class. Paragonando i viaggi in prima classe con quelli su velivoli privati, la National Business Aviation Association ha scoperto che quando vengono calcolati i costi diretti e indiretti – alberghi, pranzi, tempo di viaggio e spese – il costo del viaggio in prima classe sulle linee aeree commerciali è più alto.2 Per quanto riguarda NetJets, l’azienda evita i costi fissi che le linee aeree commerciali tentano di coprire riempiendo aerei sempre più grandi. L’uso di velivoli più piccoli, di aeroporti regionali di dimensioni ridotte e di uno staff limitato aiutano a mantenere bassi i costi.
Per comprendere gli altri aspetti della formula di questa compagnia, considerate la questione dal lato opposto: perché un’azienda sceglie un jet privato invece delle compagnie commerciali? Certamente non per il piacere di pagare milioni e milioni di dollari per acquistare un velivolo. Neanche per attivare un reparto dedicato che gestisca la programmazione dei voli e le altre questioni amministrative. E neppure per pagare i cosiddetti “costi morti”, cioè quelli legati al trasferimento del velivolo dal deposito di partenza alla località richiesta. Piuttosto, lo acquista per tagliare drasticamente la durata totale della trasferta, per ridurre i fastidi dovuti agli aeroporti congestionati, per consentire i viaggi diretti e per godere di tutti i vantaggi legati alla maggiore produttività ed energia dei dirigenti, che possono mettersi a lavorare appena dopo l’atterraggio. NetJets si è basata proprio su questi punti di forza caratteristici. Mentre il 70% dei voli commerciali si concentrava sul collegamento tra una trentina di aeroporti degli Stati Uniti, essa ha dato accesso a oltre 2.000 aeroporti negli Stati Uniti e a 5.500 in tutto il mondo, siti in località comodamente raggiungibili dalle zone ad alta densità di business. Nei voli internazionali, l’aereo porta i passeggeri direttamente alla dogana.
Grazie ai collegamenti diretti e alla crescita esponenziale degli aeroporti serviti, non c’è più necessità di fare scalo; i viaggi che avrebbero richiesto il pernottamento in trasferta possono aprirsi e chiudersi nel giro di un giorno. Il tempo che passa da quando si parcheggia l’auto al momento del decollo si misura in minuti, non più in ore. Ad esempio, mentre con una compagnia commerciale ci vogliono 10,5 ore per un volo da Washington a Sacramento, con un volo NetJets ci vogliono solo 5,2 ore; da Palm Springs a Cabo San Lucas, con una compagnia commerciale ci vogliono 6 ore, con NetJets soltanto 2,1.
L’aspetto forse più interessante è poi che il jet è sempre disponibile, basta richiederlo quattro ore prima. Se non vi sono jet disponibili, NetJets ne noleggia uno per l’occasione. Infine – e non è cosa da poco – NetJets presenta molti meno problemi legati alla sicurezza e offre ai clienti un servizio personalizzato, ad esempio facendo trovare a bordo i cibi e le bevande preferite.
Con tutti i vantaggi delle compagnie commerciali uniti a quelli dei jet privati ed eliminando o riducendo tutti gli altri fattori, NetJets ha creato un oceano blu del valore di miliardi e miliardi di dollari, in cui i clienti trovano la convenienza e la velocità di un jet privato unite ai costi (fissi e variabili) contenuti delle compagnie commerciali (vedi figura 3.1). E la concorrenza? Ora, quasi trent’anni dopo, la quota di NetJets dell’oceano blu che ha creato è ancora cinque volte più grande di quella del concorrente più prossimo.3
FIGURA 3.1 IL QUADRO STRATEGICO DI NETJETS
FIGURA 3.1 IL QUADRO STRATEGICO DI NETJETS
Un altro caso riferito al primo percorso è quello del più grande successo nel settore delle telecomunicazioni in Giappone fin dagli anni ’80. Parliamo dell’i-mode di NTT DoCoMo, lanciato nel 1999. Il servizio i-mode ha cambiato il modo di comunicare e di accedere alle informazioni in Giappone. L’intuizione che ha portato NTT DoCoMo a creare un oceano blu è derivata da una riflessione sui motivi per cui i consumatori usano alternativamente il telefono cellulare e Internet. In Giappone, a causa della deregolamentazione del settore delle telecomunicazioni, il mercato stava accogliendo nuovi concorrenti; la guerra dei prezzi e lo scontro a livello tecnologico erano all’ordine del giorno. Di conseguenza, i costi salivano mentre il ricavo medio per utente scendeva. NTT DoCoMo è riuscita a tirarsi fuori dalla concorrenza spietata di questo oceano rosso, creando un oceano blu basato sulla trasmissione wireless dei dati, che ha rimesso insieme il settore della telefonia mobile e Internet.
NTT DoCoMo si è posta questa domanda: quali sono i punti di forza che distinguono Internet dai telefoni cellulari e viceversa? Benché Internet offrisse un’infinità di informazioni e servizi, le sue killer application erano la e-mail, le informazioni semplici (come news, meteo ed elenchi telefonici) e l’intrattenimento (tra cui i giochi, gli eventi online e la musica). I principali lati negativi di Internet erano il prezzo dell’hardware (molto più alto all’epoca di quello dei cellulari), il sovraccarico di informazioni e la paura di comunicare per via elettronica i dati della carta di credito. D’altra parte, i punti di forza distintivi dei cellulari erano la mobilità, la trasmissione della voce e la facilità d’uso.
NTT DoCoMo ha spezzato il trade-off esistente all’epoca tra queste due alternative; per riuscirci non ha creato nuove tecnologie, ma si è focalizzata sui vantaggi decisivi di Internet rispetto al cellulare e viceversa, quindi ha eliminato o ridotto tutti gli altri fattori. La sua interfaccia user-friendly prevede un semplice bottone, l’i-mode appunto (in cui la i sta per “interattivo”, ma anche per “Internet”, “informazioni” e il pronome inglese I, cioè “io”), che gli utenti premono per avere accesso immediato alle poche killer application di Internet. Invece di coprire gli utenti di un’infinità di informazioni, come avviene con Internet, il bottone i-mode funziona come la reception di un albergo, collegata solo a un elenco di siti precedentemente selezionati e approvati che danno accesso alle applicazioni Internet più popolari. Ciò semplifica e velocizza la navigazione. Allo stesso tempo, benché il telefono i-mode avesse un prezzo superiore del 25% rispetto a un qualunque cellulare, era comunque notevolmente più bass...

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