Vita e opinioni di Tristram Shandy
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Vita e opinioni di Tristram Shandy

Laurence Sterne

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Vita e opinioni di Tristram Shandy

Laurence Sterne

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Tristram, rampollo di una nevrotica famiglia i cui membri sono tutti vittime di strane ossessioni, è il protagonista e l'io narrante dell'opera più famosa di Sterne, che può a ragione essere considerata una sorta di prototipo del romanzo moderno. Tristram dipinge con arguzia e ironia la vita della famiglia Shandy, con tutte le sue manie e nevrosi creando così nello zio Toby e nel padre Walter due tra le fi gure più eccentriche e indimenticabili della letteratura occidentale. Sterne-Tristram gioca con la parola, la disseziona, la sostituisce con pagine vuote e con segni grafi ci, e in una continua lotta contro il tempo e il suo alter ego, la morte, nega alla storia una vera e propria conclusione ampliandola con digressioni avvolgenti e fascinose.

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Information

Publisher
BUR
Year
2014
ISBN
9788858654804

LIBRO NONO

Si quid urbaniuscule lusum a nobis, per Musas et Charitas et omnium poetarum Numina, Oro te, ne me male capias1.

CAPITOLO PRIMO

Chiamo tutte le potenze del tempo e del caso, che spesso intralciano lo svolgimento degli avvenimenti a questo mondo, perché mi siano testimoni che mai sarei potuto arrivare agli amori di zio Tobia prima di questo momento, in cui, annusata la faccenda, la curiosità (ovvero un impulso differente, come insinuava mio padre) fece desiderare a mia madre di dare una sbirciatina attraverso il buco della chiave.
— Chiamala col suo vero nome, — borbottò mio padre, — e poi guarda dal buco della serratura fin che ti pare!
Solo la fermentazione del suo acidulo umore, di cui tante volte ebbi a parlarvi, assai comune in mio padre, poteva aver suggerito una tale malignità. Però quel buon uomo era in fondo di natura franca e generosa, pronto sempre a ricredersi. Infatti non aveva ancora pronunciato l’ultima parola di questa pungente osservazione, che già la coscienza gli rimordeva.
Mia madre, in atteggiamento assai coniugale, si stava dondolando, allacciata col braccio sinistro a quello destro di mio padre, e il palmo della sua mano riposava sul dorso dell’altra..... Come udì quelle parole, alzò le dita e le lasciò ricadere di colpo. Si poteva interpretare quel gesto come uno schiaffetto; ma anche un casista sarebbe stato imbarazzato se definirlo uno schiaffetto di rimostranza o di confessione.
Mio padre, che era tutto sensibilità, dalla testa ai piedi, lo capì al volo, e la coscienza gli rimorse doppiamente. Voltò il capo repentinamente da una parte, e mia madre, supponendo che quello fosse il primo di una serie di movimenti del corpo e degli arti per avviarsi di nuovo verso casa, gli sbarrò il passo con una mossa della gamba destra, servendosi della sinistra a mo’ di perno; cosicché, quando egli volse il capo, incontrò a pochi centimetri gli occhi di lei.... confusione di nuovo! Egli vide mille ragioni per cancellare il rimprovero e biasimare se stesso. Aveva di fronte una pupilla, la più trasparente, azzurra, fredda, limpida che mai fosse esistita; allena da ogni passione, tanto che nel suo fondo mai si sarebbe potuto scorgere la benché minima macchia o pulviscolo di desiderio. Il cielo soltanto sa come avvenga che io, suo figlio, sia così lascivo, specie un poco prima dell’equinozio di primavera, e d’autunno.
Mia madre non era così, mai, signora, né per natura, né per educazione, né per l’esempio.
Il sangue le fluiva indolente e casto per le vene in qualunque mese dell’anno e anche in alcuni momenti critici della notte e del giorno. Né contribuiva certo a infonderle un po’ di calore sensuale la lettura di certi pii opuscoli, ai quali, non avendo un significato in se stessi, la natura si affanna a trovarne uno qualsiasi. Quanto poi all’esempio che poteva darle mio padre!......
Egli era così lontano, poveretto, dall’aiutare o eccitare tali’ passioni, che anzi sua unica occupazione era quella di spazzare via dalla mente della moglie ogni fantasia del genere. La natura, poi, aveva fatto la sua parte così da risparmiargli molti fastidi. E quel che è assai notevole, mio padre era sempre stato perfettamente al corrente di ciò.
Io sto seduto qui, oggi 12 agosto 1766, con un panciotto color porpora e un paio di pantofole gialle, senza parrucca o berretto, la più tragicomica realizzazione della profezia di mio padre: «che mai avrei pensato, né agito come gli altri bambini1» per colpa di questa mancata emotività di mia madre.
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L’errore del mio genitore stava nell’attaccare l’intenzione di mia madre, anziché l’atto in se stesso. Poiché certamente i buchi delle serrature erano stati fatti per altri scopi, e considerando l’azione come un’azione che viene in conflitto con un dato di fatto negando al buco della chiave la sua vera funzione .... ci troviamo dinanzi a una violazione di natura e come tale criminosa.
È per questa ragione, alle Signorie Vostre piacendo, che i buchi delle serrature sono così spesso occasioni di peccato e di immoralità, più di tutti gli altri buchi del mondo messi assieme.
Ma tutto ciò mi riporta, per associazione di idee, agli amori di zio Tobia.

CAPITOLO SECONDO

Sebbene il caporale si fosse impegnato a fondo per rimettere in ordine la parrucca delle grandi occasioni di mio zio, aveva avuto troppo poco tempo a disposizione per ottenere risultati incoraggianti.
La parrucca era rimasta troppi anni accartocciata in un angolo del vecchio baule di campagna, le brutte pieghe, che aveva preso là dentro, stentavano ad andarsene e ancora non si conosceva molto bene l’uso dei mozziconi di candela, per cui la faccenda non era poi così semplice come ci si poteva augurare.
Il caporale, con lo sguardo allegro e le braccia stese, l’aveva sbattuta da una parte e dall’altra una ventina di volte, per darle, se possibile, un aspetto più decente... Se l’avesse veduto, lo SPLEEN in persona avrebbe abbozzato un sorriso; proprio dove una ciocca o due, a suo parere, avrebbero fatto una certa figura, era peggio che risuscitare un morto.
Così appariva .... o meglio, così sarebbe apparsa su qualsiasi testa; ma il dolce sguardo pieno di bontà che spuntava di sotto alle sopracciglia di zio Tobia influenzava talmente ogni cosa attorno, imprimendole un tono di regale dignità; e il dono che la Natura gli aveva fatto, stampandogli talmente in viso e in tutti gli atteggiamenti la parola GENTLEMAN, facevano sì che anche il suo berretto orlato d’oro, ma tutto sciupato, e il nastro ornamentale di seta ormai floscio e senza appretto entrassero a far parte di lui stesso; e sebbene non valessero un soldo in se stessi, indossati da zio Tobia, diventavano oggetti seri, e pareva che la mano della scienza lo avesse scelto perché li mettesse in condizioni di essere usati dignitosamente.
Nulla, poi, avrebbe contribuito ad aumentare questa imponenza più dell’uniforme blu e oro, se la misura non fosse in certi limiti necessaria all’eleganza. In quindici o sedici anni, da quando cioè l’aveva acquistata, nonostante la vita assai sedentaria (non aveva mai oltrepassato il gioco delle bocce) di zio Tobia, la giacca era diventata così penosamente stretta, che il caporale dovette sudare le sette proverbiali camicie per infilargliela. I rammendi alle maniche non miglioravano le cose. Le passamanerie d’oro, però, bordavano il fondo della giacca e le cuciture sui fianchi, alla moda di re Guglielmo, e per farla breve brillavano talmente col sole del mattino e possedevano un luccicore così metallico e gagliardo, che zio Tobia non avrebbe fatto un così bell’effetto se avesse deciso di andare all’attacco con un’armatura.
Per quel che riguarda le consunte braghe scarlatte, il sarto le aveva lasciate scucite sul cavallo, tra le gambe e lasciate a mezzo. Sì, signora, ma non sbrigliate la fantasia. Basti dire che erano state ritenute non indossabili fin dalla sera prima, e siccome il guardaroba di mio zio non permetteva alternative di sorta, egli partì all’attacco con quelle di velluto rosso.
Il caporale s’era bardato con la divisa del povero Le Fever, e con i capelli raccolti sotto al berretto alla Montero, che aveva rimodernato per l’occasione, marciava a tre passi di distanza dal suo padrone.
Una ventata di orgoglio militare gli gonfiava i polsini della camicia, e sopra uno sboffo una correggia di cuoio nero terminante con un fiocco sosteneva il bastone del caporale. Zio Tobia, invece, portava a mo’ di picca il suo bastone.
— Be’, fanno una discreta figura, nel complesso! —approvò mio...

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