La Sicilia sotto Vittorio Amedeo di Savoia
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La Sicilia sotto Vittorio Amedeo di Savoia

About this book

La storia della Sicilia sabauda comprende l'arco temporale in cui la Sicilia fu parte dei domini di Casa Savoia. Tale periodo, durato circa sette anni, ebbe inizio il 10 giugno 1713, data che sancì il passaggio dell'isola da Filippo V di Spagna al duca di Savoia Vittorio Amedeo II, e si concluse nel 1720, quando Carlo VI prese possesso dell'isola cedendo in cambio la Sardegna. Vittorio Amedeo II di Savoia, (Vittorio Amedeo Francesco di Savoia), detto la Volpe Savoiarda (Torino, 14 maggio 1666 – Moncalieri, 31 ottobre 1732), è stato re di Sicilia dal 1713 al 1720, in seguito re di Sardegna; duca di Savoia, marchese di Saluzzo e duca del Monferrato, principe di Piemonte e conte d'Aosta, Moriana e Nizza dal 1675 al 1720.

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Information

Publisher
Passerino
Year
2022
eBook ISBN
9791221316025
Topic
History
Index
History

Capo III.

Governo del vicerè conte Annibale Maffei. 1714-1717.

I.

Il fulgido sogno ch'ebbe un anno prima lusingato i Siciliani, si dileguava d'un tratto. Vittorio Amedeo poteva bene aver ragione di credere «che le radici della sua Casa in Piemonte erano, non in Sicilia» [1] . Ma non dovrà perciò considerarsi men naturale il rammarico del paese al vedersi privo della regia presenza e serbato a divenir l'appendice di un piccolo Stato posto appiè delle Alpi [2] .
Il dispaccio, che nominava il Maffei, recava il conferimento di ampie facoltà, all'uso de' passati vicerè spagnuoli; ma in certe secrete Istruzioni, sottoscritte dal re lo stesso giorno 28 agosto in Messina, era esplicitamente dichiarato che ciò s'intendesse fatto per lustra, per non diminuire il decoro e la riputazione della carica, rimanendo, in sostanza, i viceregii attributi limitati e ristretti. Tolto al vicerè convocare il Parlamento e intimare il servizio militare a' baroni senza espresso ordine regio, tranne in casi di manifesta urgenza; far nuove Prammatiche; far grazia ne' delitti che portassero a pena dalla relegazione in su; procedere giuridicamente contro regii impiegati senza previa autorizzazione del re; accordare a' baroni il beneficio di un amministratore regio per garantirli da' creditori, dovendo, invece, riferirne al re; nominare ad ufficii dello Stato perpetui o annuali, per cui, invece, si rimetterebbero al re le proposte; nominare i Capitani di Giustizia nelle città demaniali, potendo solo conferire gli altri ufficii sulle proposte del Protonotaro, operare, senza ordine regio, alcun cangiamento ne' comandi militari e nelle truppe de' presidii; provvedere, per minima che fosse, ad alcuna prebenda ecclesiastica di regia collazione; muoversi da Palermo, salvo in gravi contingenze e salvo i pochi mesi da passare in Messina; accordar remissione della tassa così detta di decima e tarì, dovuta per alienazione di feudi; prestar consenso ad alienazioni feudali, per cui occorresse special beneplacito della Corona. Vittorio Amedeo non mostrava in queste Istruzioni troppo alta stima de' suoi nuo vi sudditi, che chiamava assai incolti. Circa alla nobiltà avvertiva «esser massima di buona politica il non fomentare divisioni nè semi di discordie, regolandosi tuttavia in modo che non restasse molto unita». Raccomandava particolare attenzione alla città di Palermo, dovendo dal vicerè mostrarsi desiderio sincero del felice andamento de' suoi municipali negozi, ma lasciando, del resto, cader sul Senato la odiosità de' vizi e degli abusi esistenti. Circa alle maestranze, ossa alle corporazioni d'arte della Capitale, avuto riguardo alle rivolture e tumultuazioni passate, raccomandava di vegliare su ciò che da loro si facesse e dicesse, e di non risparmiare, a un bisogno, repressioni efficaci, usando le truppe, le artiglierie de' castelli e delle regie galere, occupando i molini intorno alla città, e intercettandone i viveri e i canali delle acque [3] . In quanto a Messina, inculcavasi di porre ben mente che, varcati i limiti delle ultime concessioni, non si presumesse il ritorno alle antiche preminenze civiche. Il vicerè trattasse accortamente co' Consoli esteri, in particolare con quelli di Genova, la cui Repubblica, godendo larghissimi privilegi in Sicilia, tardava alla ricognizione officiale del nuovo Governo. In tutti gli affari pigliasse il necessario parere del Contator Generale Fontana e del Consultore Borda, interrogando anche il Consultor Serpellani in materie di azienda economica, salvo, in talune circostanze, aggiungere altri a propria sua scelta. In Napoli, luogo sospetto per la presenza delle armi imperiali, il re aveva agente clandestino un marchese Falletti; in Reggio di Calabria, un cavaliere Sacco: con questi carteggiasse il vicerè per averne informazioni e notizie, specialmente circa a movimenti militari. La Secreteria viceregia si comporrebbe de' Secretarii Mainardi, De Caroli e Maino, piemontesi, il primo per la parte politica, il secondo per la militare, il terzo per ciò che riguardava i memoriali, ossieno le pro vv iste in punto di giurisdizione criminale e civile, dovendo bensì quest'ultimo conferir sempre in proposito col vicerè e col Consultore: dove fosse quistione d'interesse puramente economico, dovessero le provviste farsi dal Bolgaro, Direttore dell'Ufficio del Soldo. Seguivano altri ammonimenti circa la retta amministrazione della giustizia, con incarico di vigilare anche su quella che si rendea da' baroni ne' propri vassallaggi. De' sei Senatori o Giurati di Palermo, uno era a scelta del Pretore, salva l'approvazione viceregia: gli altri cinque doveano per uso nominarsi dal vicerè, senza alcuna precedente proposta del Protonotaro: or come era avvenuto in addietro che due di questi si prendessero in famiglie spagnuole stabilite nell'isola, o tra spagnuoli naturalizzati per dimora o matrimoni contratti, disponeasi dal re che indi in poi fossero necessariamente savoiardi o piemontesi; e così pure savoiardi o piemontesi due de' Senatori di Messina. Nel militare, l'Ufficio di Vice-Auditore di guerra (dipendente dall'Auditorato di Torino) rimanesse all'avvocato Serpellani; l'amministrazione economica, al Contator Generale Fontana, finchè risedesse nell'isola, e, lui partito, al Direttore Bolgaro con Commissarii di Guerra piemontesi. Nel caso di mobilitare la milizia paesana, il vicerè ne conferisse il comando a chi gli sembrasse più idoneo; ma ponendogli a fianco un uffiziale dell'esercito regio per assisterlo, osservarne i portamenti e riferire all'uopo. Alla Giunta di Messina continuasse a presedere il Prefetto Irano. Per quella Giunta e pel Tribunale del Patrimonio si stesse a' nuovi regolamenti dettati dal re durante il suo soggiorno in Sicilia. Il vicerè facesse pertanto che il Consultore, come avevane il dritto, spesseggiasse le sue visite al Tribunale indicato. In caso di consulte del Tribunale medesimo contrarie alle viceregie provviste, si dèsse effetto a quest'ultime colla clausola non obstante, quando vi concorresse il voto sia del Consultore Borda, sia del Direttore Bolgaro, sia del Conservatore Serpellani. Affrettasse il vicerè l'opera della nuova numerazione di anime decretata testè dal Parlamento, procurando che fosse compiuta innanzi alla partenza del Contator Generale Fontana. Stantechè gli archivi di Palermo si trovavano in disordine, il re manderebbe da Torino due o tre impiegati per assestarli e farne l'inventario. Si chiudevano quelle Istruzioni con opportuni consigli circa al mettere un freno all'abuso delle immunità ecclesiastiche e al sostenere rispetto alla Chiesa le prerogative della Corona di Sicilia: prescriveasi bensì che nelle cause in cui il Giudice della Regia Monarchia fosse dichiarato sospetto, si chiamasse a supplirlo uno degli Inquisitori non siciliani. Idea del re sarebbe stata di emancipare del tutto l'Inquisizione di Sicilia da quella di Spagna. Ma ciò facendo, la corte di Roma avrebbe accampato la pretesa di subordinarla alla sua Congregazione del Sant'Officio: nuovo soggetto, negli attuali malumori, di controversie possibili; e quindi Vittorio Amedeo avea creduto sostare per poco, contentandosi che si facessero ancora venir da Madrid le patenti degl'Inquisitori novelli, con protesta bensì e con riserva di tutti i suoi dritti. Intorno alle pendenze per la Regia Monarchia, esortavasi il vicerè a prudente fermezza, intendendosi coll'apposita Giunta, e, in occorrenze gravissime, volgendosi alla intera Gran Corte, cui si domanderebbero avvisi in iscritto [4] .

II.

Il conte Annibale Maffei apparteneva ad un ramo de' Maffei di Verona trapiantato nel XV secolo alla corte de' signori della Mirandola. Quivi era nato nel 1667, ed aveva avuto patrini al battesimo il duca della Mirandola e Luisa di Savoia, sorella di Carlo Emanuele II: a tredici anni andò paggio in Torino, e fece a diciotto le prime sue armi sotto Vittorio Amedeo, servendolo poi costantemente nell'esercito e nella diplomazia [5] . Nell'esercito era stato Colonnello di fanti, Generale di Battaglia, ed ora teneva i gradi di Gran Mastro di Artiglieria e Aiutante Generale del re; nella diplomazia aveva esercitato importanti legazioni in Inghilterra, in Portogallo, in Olanda, in Germania, e al congresso di Utrecht avea figurato, unitamente al Mellarede e al marchese Solano Del Borgo, come plenipotenziario e ambasciatore straordinario di Savoia. Sembra che da negoziatore politico valesse più che da soldato; ma della sua capacità non sarebbero adequata misura i vantaggi conseguiti in Utrecht da Vittorio Amedeo, dovuti alla considerazione di cui godeva il re personalmente in Europa e alle attive premure dell'Inghilterra. Nel tutto, possiamo riconoscere in lui bastevole ingegno che non usciva però dall'ordinario livello; uso pratico degli affari e del mondo; sufficiente cultura, luccicante anche un poco di letteraria vernice e d'una tinta leggiera di malizia e d'ironia filosofica, acquistata alla scuola dell'amico suo Bolingbroke; rette intenzioni nel senso di promuovere i regii interessi ed anche di giovare al paese; ma, con maniere di gentiluomo elegante e compito, una stima esagerata di sè; con pretensioni di accorgimento profondo e d'inconcussa fermezza, una certa superficialità. e versatilità di concetti. Vittorio, col quale era insieme cresciuto alla corte, avea mostrato averlo caro e pregiarlo. E davane prova eleggendolo a quell'officio in Sicilia.
Il giorno medesimo della regia partenza il nuovo vicerè si condusse nel Duomo a pendervi formale possesso [6] : quindi le prime cure furono per la sicurezza interna, affinchè non ricevesse alcun danno dall'allontanamento del principe. Concertatosi con Fernandez, novello Presidente della Gran Corte, coll'Avvocato Fiscale Pensabene, col Consultore Borda, coll'indispensabile Contator Generale Fontana e col Capitano Giustiziere di Palermo, esordì dando fuori un editto, per cui si proibivano tutte le armi da fuoco, toltine (mercè previa licenza) i soli schioppi da caccia, e si proibivano ugualmente le armi corte da punta e da taglio, restando tuttavia permesse le spade [7] . Quanto alle campagne, s'inculcava rigoroso adempimento degli ordini lasciati dal re. Il XVIII secolo fu l'epoca classica dei masnadieri in Sicilia. Fra i rumori di guerra e le incertezze politiche la piaga ebbe naturalmente ad accrescersi; accennò di guarire per poco durante la residenza di Vittorio Amedeo; temevasi adesso di vederla nuovamente inasprita: e dal famoso Catinella impiccato nel 1706 al chierico Raimondo Sferlazza e al più famoso Antonio Di Blasi soprannom...

Table of contents

  1. Copertina
  2. La Sicilia sotto Vittorio Amedeo di Savoia
  3. Indice dei contenuti
  4. Avvertenza dell'autore
  5. Capo I.
  6. Capo II.
  7. Capo III.
  8. Capo IV.
  9. Capo V.