La Cina è già qui
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La Cina è già qui

Perchè è urgente capire come pensa il Dragone

Giada Messetti

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La Cina è già qui

Perchè è urgente capire come pensa il Dragone

Giada Messetti

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Non passa giorno senza che si parli di Cina, tuttavia l'argomento viene spesso affrontato, in pubblico e in privato, attraverso una narrazione semplicistica in cui tutto è bianco o nero e il Celeste Impero è il male assoluto o il posto più efficiente del mondo. È «superfluo» commenta Giada Messetti «sottolineare quanto entrambe le versioni ci portino fuori strada».

In questo libro, l'autrice traccia una mappa essenziale di una cultura ricca di fascino e, al contempo, profondamente diversa dalla nostra. Una bussola che, bypassando i tanti luoghi comuni, ci aiuta a orientarci nel labirinto di una civiltà millenaria, un mondo per antonomasia «altro», decifrando le differenze che ci separano. Un avvincente viaggio di scoperta che prende in esame alcuni dei tratti più connotanti del gigante asiatico: dal fascino della scrittura alla concezione della società e del tempo, dal potere «con caratteristiche cinesi» ai meccanismi che guidano e determinano la politica estera; e ancora l'influenza pervasiva del confucianesimo e quella del daoismo, l'aspirazione all'«armonia collettiva» e la consuetudine di «cinesizzare» tutto ciò che il Dragone incontra sulla sua strada.

La Cina è già qui è un libro-ponte che vorrebbe scongiurare lo scontro di civiltà per molti ormai alle porte. È tempo di riconoscere che «l'Occidente ha bisogno della Cina tanto quanto la Cina ha bisogno dell'Occidente». All'orizzonte, «c'è un lavoro molto faticoso da svolgere, un'opera di connessione e tessitura non più rimandabile, perché senza conoscere e capire il proprio interlocutore è impossibile interagire».

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2022
ISBN
9788835716419
I

Lingua

Il cinese parlato e la scrittura sono due sistemi ricchi di espressività, indipendenti tra loro e allo stesso tempo strettamente legati. La lingua parlata è musica, un sistema di suoni basato sui contesti di senso. La lingua scritta è pittura, un sistema di caratteri che risale all’illustrazione metaforica di pensieri e idee.
THEKLA CHABBI, I segni del Drago

La civiltà della scrittura

Arrivano puntuali all’ingresso del parco del Tempio del Cielo, a Pechino, ogni mattina all’alba. Sono quasi tutti uomini e hanno dai sessanta agli ottant’anni. Sono circa una dozzina. Si mescolano ad altre decine di pensionati e pensionate che vengono qui tutti i giorni per passare il tempo e trascorrere qualche ora in compagnia. Si riconoscono subito perché si portano appresso l’attrezzatura. C’è chi si presenta con un semplice barattolo di plastica pieno d’acqua e un pennello costruito artigianalmente, un po’ alla buona, e chi arriva dotato di un armamentario di tutto rispetto: cinque, sei pennelli professionali di dimensioni medio-grandi e un serbatoio d’acqua sostenuto da una pratica cintura, per essere comodamente legato e trasportato. I pennelli hanno una forma tozza. I manici sono lunghi, realizzati in bambù, legno o plastica. Il ciuffo di peli che spunta all’estremità è grosso e foltissimo. Le setole sono morbide, ma non troppo: devono essere in grado di cambiare verso agilmente e di registrare con accuratezza una differente pressione durante l’utilizzo.
Nell’aria riecheggia allegra la musica che accompagna gli altri anziani presenti, intenti a praticare il tàijí (
) e a tenersi in forma con balletti di gruppo. Si sente forte anche il cinguettio vivace che si leva dalle gabbie ondeggianti appese agli alberi, popolate di allodole. «Portare a spasso» i volatili domestici è un’abitudine, diffusasi all’epoca della dinastia Qing (1644-1911), che resiste ancora oggi permettendo ai vari padroni di pennuti di ritrovarsi a chiacchierare e socializzare.
I nostri dodici anziani muniti di pennello, intanto, sembrano non accorgersi di ciò che accade intorno a loro. Confabulano qualche minuto per dividersi idealmente l’area del parco ricoperta da grandi piastrelle lisce di pietra grigia e poi iniziano la loro danza involontaria. Intingono i pennelli nell’acqua e cominciano a tracciare sul pavimento dei caratteri cinesi, eleganti e perfetti. In piedi, la schiena piegata il tanto che basta per permettere di imprimere la giusta pressione al pennello. I movimenti del braccio e del corpo sono armonici, accuratissimi. Lenti, ma con accelerazioni improvvise. Scrivono in verticale, dall’alto in basso, da destra a sinistra.
Quando cambiano posizione per andare a capo e iniziare a comporre una nuova colonna, i primi segni già cominciano a evaporare e scomparire. È una specie di magia: in pochissimo tempo quest’area del Tempio del Cielo viene ricoperta di poesie di Mao Zedong, espressioni idiomatiche (
, chéngyǔ) e poemi dell’epoca della dinastia Tang (618-907 d.C.), considerata nella storia della letteratura cinese il periodo d’oro della poesia. Testi leggibili soltanto per pochi istanti, parole che svaniscono in fretta. Poi si ricomincia.
Per i dodici signori pechinesi l’attività ha diversi vantaggi: si tratta di un esercizio per il corpo, perché si muovono in modo armonico per ore e ore, di un allenamento per aguzzare la vista e, soprattutto, di un’ottima ginnastica per mantenere attiva la mente. Dimenticare come si tracciano i caratteri, se non si pratica la scrittura manuale, è tutt’altro che infrequente.
La «calligrafia ad acqua» o «scrittura a terra» (
, dìshū) non è una pratica antichissima come potrebbe sembrare. Si è diffusa nei parchi di Pechino nei primi anni Ottanta, quando, in seguito al lancio delle riforme economiche da parte di Deng Xiaoping nel 1978, le persone hanno cominciato a essere libere di praticare hobby e attività ricreative. Ora si può assistere a spettacoli simili in tutta la Cina. È una variazione moderna della shūfǎ (
, letteralmente «disciplina della scrittura»), ovvero la calligrafia, una delle quattro forme d’arte tradizionali rappresentative della cultura del Celeste Impero, assieme alla musica, agli scacchi e alla pittura. Non si limita a essere una composizione di caratteri riprodotti con la china e il pennello in bella grafia e seguendo stili diversi, ma eleva la scrittura a una vera e propria espressione artistica che ha la capacità di raccontare la relazione tra il mondo interiore del calligrafo, la natura e la società. Si ritiene, come insegna l’antico proverbio Zì rú qí rén (
, letteralmente: la scrittura rispecchia la personalità di chi scrive), che la calligrafia abbia appunto la capacità di esprimere l’essenza di una persona e che a un ideogramma tracciato con cura e precisione corrisponda un essere umano di valore. La relazione tra questa disciplina e il calligrafo è strettissima e imprescindibile, come quella tra i pesci e l’acqua.
Basterebbe questo per capire quanto la scrittura – il cosiddetto
(wén, segno scritto) –, con i suoi tremila anni di storia ininterrotta, sia il simbolo più identitario della civiltà cinese. Si tratta di un sistema grafico tra i più antichi al mondo, che ha mantenuto inalterate nei millenni molte delle sue caratteristiche e ha fornito a una cultura dalle origini remotissime un filo rosso di profonda appartenenza. Sono stati proprio i messaggi scritti a permettere il passaggio delle informazioni all’interno di un impero estremamente vasto, in cui convivevano dialetti locali molto diversi. Senza una lingua scritta unificata, la comunicazione tra le regioni della Cina sarebbe stata impossibile1 e, di conseguenza, il processo amministrativo si sarebbe inceppato.
Il primo processo di unificazione delle norme grafiche è avvenuto durante il regno di Qin Shi Huangdi, capostipite della dinastia Qin (221-206 a.C.), colui che nel 221 a.C. fondò l’impero unificando tutto il territorio cinese. All’inizio del VII secolo, durante le dinastie Sui e Tang, il wén acquisì ulteriore importanza in seguito alla definitiva ufficializzazione del sistema degli esami imperiali (
, kējǔ zhìdù), introdotto già a partire dall’epoca Han (206 a.C. - 220 d.C.).
Attraverso la verifica della padronanza della scrittura, infatti, per secoli è stata selezionata l’élite incaricata di amministrare l’apparato burocratico pubblico. I funzionari imperiali, conosciuti in Occidente con il nome di mandarini, dovevano dimostrare grande abilità letteraria e profonda conoscenza del canone confuciano, composto dalle opere fondamentali della letteratura cinese classica. Non era importante esibire spirito d’iniziativa o creatività: gli esaminatori avrebbero premiato la capacità di correttezza formale e la conoscenza mnemonica di tali testi e delle loro interpretazioni. In linea di principio, chiunque poteva avere accesso a questo tipo di carica, ma il percorso di studi era talmente lungo e impegnativo che tendeva a escludere da un simile genere di carriera chi proveniva dalle classi più povere.
La scrittura è stata quindi uno dei punti di forza basilari per la creazione, la gestione e la continuità di uno dei più longevi e vasti imperi della storia. Come afferma la sinologa Renata Pisu nel suo fondamentale Né Dio né legge: «Tanto è in Cina il rispetto per la parola scritta che attorno vi è nata una sorta di religione, al punto che la civiltà cinese è stata definita grafocentrica, centrata cioè e anche condizionata nel suo evolversi dalle infinite possibilità di combinazione e aggregazione dei suoi segni la cui sacralità è riconosciuta anche dagli analfabeti».2

La lingua cinese

La lingua cinese non possiede un alfabeto, ma dispone di un complesso sistema di caratteri, definiti «logogrammi» o «sinogrammi», che fino a qualche secolo fa erano la scrittura comune anche in Giappone, Corea e Vietnam. Per esigenze di sintesi, userò spesso il termine «ideogramma» riferito ai caratteri cinesi, anche se è un’espressione corretta per descriverne solo una parte.
I caratteri sono il motivo per cui, quasi ventenne, ho scelto di studiare il mandarino. Ho un ricordo molto definito di una delle due lezioni di presentazione della materia all’università Ca’ Foscari a Venezia. È stato subito chiaro che in quella grande stanza stipata di vecchi banchi non stavo solo ascoltando la descrizione di un sistema di scrittura diverso, ma incontravo per la prima volta qualcosa che mi poteva fornire la chiave per entrare in un altro mondo. Mi trovavo di fronte a un incredibile cambio di paradigma: da un lato, la flessibilità familiare e t...

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