La civiltĂ della scrittura
Arrivano puntuali allâingresso del parco del Tempio del Cielo, a Pechino, ogni mattina allâalba. Sono quasi tutti uomini e hanno dai sessanta agli ottantâanni. Sono circa una dozzina. Si mescolano ad altre decine di pensionati e pensionate che vengono qui tutti i giorni per passare il tempo e trascorrere qualche ora in compagnia. Si riconoscono subito perchĂ© si portano appresso lâattrezzatura. CâĂš chi si presenta con un semplice barattolo di plastica pieno dâacqua e un pennello costruito artigianalmente, un poâ alla buona, e chi arriva dotato di un armamentario di tutto rispetto: cinque, sei pennelli professionali di dimensioni medio-grandi e un serbatoio dâacqua sostenuto da una pratica cintura, per essere comodamente legato e trasportato. I pennelli hanno una forma tozza. I manici sono lunghi, realizzati in bambĂč, legno o plastica. Il ciuffo di peli che spunta allâestremitĂ Ăš grosso e foltissimo. Le setole sono morbide, ma non troppo: devono essere in grado di cambiare verso agilmente e di registrare con accuratezza una differente pressione durante lâutilizzo.
Nellâaria riecheggia allegra la musica che accompagna gli altri anziani presenti, intenti a praticare il
tĂ ijĂ (
) e a tenersi in forma con balletti di gruppo. Si sente forte anche il cinguettio vivace che si leva dalle gabbie ondeggianti appese agli alberi, popolate di allodole. «Portare a spasso» i volatili domestici Ăš unâabitudine, diffusasi allâepoca della dinastia Qing (1644-1911), che resiste ancora oggi permettendo ai vari padroni di pennuti di ritrovarsi a chiacchierare e socializzare.
I nostri dodici anziani muniti di pennello, intanto, sembrano non accorgersi di ciĂČ che accade intorno a loro. Confabulano qualche minuto per dividersi idealmente lâarea del parco ricoperta da grandi piastrelle lisce di pietra grigia e poi iniziano la loro danza involontaria. Intingono i pennelli nellâacqua e cominciano a tracciare sul pavimento dei caratteri cinesi, eleganti e perfetti. In piedi, la schiena piegata il tanto che basta per permettere di imprimere la giusta pressione al pennello. I movimenti del braccio e del corpo sono armonici, accuratissimi. Lenti, ma con accelerazioni improvvise. Scrivono in verticale, dallâalto in basso, da destra a sinistra.
Quando cambiano posizione per andare a capo e iniziare a comporre una nuova colonna, i primi segni giĂ cominciano a evaporare e scomparire. Ă una specie di magia: in pochissimo tempo questâarea del Tempio del Cielo viene ricoperta di poesie di Mao Zedong, espressioni idiomatiche (
,
chĂ©ngyÇ) e poemi dellâepoca della dinastia Tang (618-907 d.C.), considerata nella storia della letteratura cinese il periodo dâoro della poesia. Testi leggibili soltanto per pochi istanti, parole che svaniscono in fretta. Poi si ricomincia.
Per i dodici signori pechinesi lâattivitĂ ha diversi vantaggi: si tratta di un esercizio per il corpo, perchĂ© si muovono in modo armonico per ore e ore, di un allenamento per aguzzare la vista e, soprattutto, di unâottima ginnastica per mantenere attiva la mente. Dimenticare come si tracciano i caratteri, se non si pratica la scrittura manuale, Ăš tuttâaltro che infrequente.
La «calligrafia ad acqua» o «scrittura a terra» (
,
dĂŹshĆ«) non Ăš una pratica antichissima come potrebbe sembrare. Si Ăš diffusa nei parchi di Pechino nei primi anni Ottanta, quando, in seguito al lancio delle riforme economiche da parte di Deng Xiaoping nel 1978, le persone hanno cominciato a essere libere di praticare hobby e attivitĂ ricreative. Ora si puĂČ assistere a spettacoli simili in tutta la Cina. Ă una variazione moderna della
shĆ«fÇ (
, letteralmente «disciplina della scrittura»), ovvero la calligrafia, una delle quattro forme dâarte tradizionali rappresentative della cultura del Celeste Impero, assieme alla musica, agli scacchi e alla pittura. Non si limita a essere una composizione di caratteri riprodotti con la china e il pennello in bella grafia e seguendo stili diversi, ma eleva la scrittura a una vera e propria espressione artistica che ha la capacitĂ di raccontare la relazione tra il mondo interiore del calligrafo, la natura e la societĂ . Si ritiene, come insegna lâantico proverbio
ZĂŹ rĂș qĂ rĂ©n (
, letteralmente: la scrittura rispecchia la personalitĂ di chi scrive), che la calligrafia abbia appunto la capacitĂ di esprimere lâessenza di una persona e che a un ideogramma tracciato con cura e precisione corrisponda un essere umano di valore. La relazione tra questa disciplina e il calligrafo Ăš strettissima e imprescindibile, come quella tra i pesci e lâacqua.
Basterebbe questo per capire quanto la scrittura â il cosiddetto
(
wĂ©n, segno scritto) â, con i suoi tremila anni di storia ininterrotta, sia il simbolo piĂč identitario della civiltĂ cinese. Si tratta di un sistema grafico tra i piĂč antichi al mondo, che ha mantenuto inalterate nei millenni molte delle sue caratteristiche e ha fornito a una cultura dalle origini remotissime un filo rosso di profonda appartenenza. Sono stati proprio i messaggi scritti a permettere il passaggio delle informazioni allâinterno di un impero estremamente vasto, in cui convivevano dialetti locali molto diversi. Senza una lingua scritta unificata, la comunicazione tra le regioni della Cina sarebbe stata impossibile
1 e, di conseguenza, il processo amministrativo si sarebbe inceppato.
Il primo processo di unificazione delle norme grafiche Ăš avvenuto durante il regno di Qin Shi Huangdi, capostipite della dinastia Qin (221-206 a.C.), colui che nel 221 a.C. fondĂČ lâimpero unificando tutto il territorio cinese. Allâinizio del VII secolo, durante le dinastie Sui e Tang, il
wén acquisÏ ulteriore importanza in seguito alla definitiva ufficializzazione del sistema degli esami imperiali (
,
kÄjÇ
zhĂŹdĂč), introdotto giĂ a partire dallâepoca Han (206 a.C. - 220 d.C.).
Attraverso la verifica della padronanza della scrittura, infatti, per secoli Ăš stata selezionata lâĂ©lite incaricata di amministrare lâapparato burocratico pubblico. I funzionari imperiali, conosciuti in Occidente con il nome di mandarini, dovevano dimostrare grande abilitĂ letteraria e profonda conoscenza del canone confuciano, composto dalle opere fondamentali della letteratura cinese classica. Non era importante esibire spirito dâiniziativa o creativitĂ : gli esaminatori avrebbero premiato la capacitĂ di correttezza formale e la conoscenza mnemonica di tali testi e delle loro interpretazioni. In linea di principio, chiunque poteva avere accesso a questo tipo di carica, ma il percorso di studi era talmente lungo e impegnativo che tendeva a escludere da un simile genere di carriera chi proveniva dalle classi piĂč povere.
La scrittura Ăš stata quindi uno dei punti di forza basilari per la creazione, la gestione e la continuitĂ di uno dei piĂč longevi e vasti imperi della storia. Come afferma la sinologa Renata Pisu nel suo fondamentale NĂ© Dio nĂ© legge: «Tanto Ăš in Cina il rispetto per la parola scritta che attorno vi Ăš nata una sorta di religione, al punto che la civiltĂ cinese Ăš stata definita grafocentrica, centrata cioĂš e anche condizionata nel suo evolversi dalle infinite possibilitĂ di combinazione e aggregazione dei suoi segni la cui sacralitĂ Ăš riconosciuta anche dagli analfabeti».2
La lingua cinese
La lingua cinese non possiede un alfabeto, ma dispone di un complesso sistema di caratteri, definiti «logogrammi» o «sinogrammi», che fino a qualche secolo fa erano la scrittura comune anche in Giappone, Corea e Vietnam. Per esigenze di sintesi, userĂČ spesso il termine «ideogramma» riferito ai caratteri cinesi, anche se Ăš unâespressione corretta per descriverne solo una parte.
I caratteri sono il motivo per cui, quasi ventenne, ho scelto di studiare il mandarino. Ho un ricordo molto definito di una delle due lezioni di presentazione della materia allâuniversitĂ Caâ Foscari a Venezia. Ă stato subito chiaro che in quella grande stanza stipata di vecchi banchi non stavo solo ascoltando la descrizione di un sistema di scrittura diverso, ma incontravo per la prima volta qualcosa che mi poteva fornire la chiave per entrare in un altro mondo. Mi trovavo di fronte a un incredibile cambio di paradigma: da un lato, la flessibilitĂ familiare e t...