La prima storia che vi racconterò mi è accaduta una domenica. Non ricordo di preciso quale domenica del calendario fosse, ricordo solamente che faceva più caldo del solito per l’inverno di Milano e che quella sera ci fu un tramonto bellissimo. Uno di quelli che amo gustarmi ascoltando un po’ di musica al parco, circondato da persone in bicicletta, vecchi che chiacchierano, coppie che si baciano sul prato e qualche influencer che si fa scattare una foto romantica con il cielo alle spalle.
Sì, quei tramonti profumano moltissimo... ma, mi raccomando, non ditelo alle stelle della notte! Loro sono gelosissime del sole! Per la sua grandezza, per la luminosità e soprattutto per il fatto che, da solo, riesce a cambiare colore a tuuuutto il cielo!
Comunque, tornando alla domenica, se devo essere sincero, mentre per la maggior parte delle persone è un giorno di pace e serenità, per me si tratta invece di una giornata piena di tensione. Vi spiego il perché...
Tendenzialmente la domenica ci si gode il tempo libero e si fanno tutte quelle cose che non siamo riusciti a inserire tra le priorità durante il resto della settimana: portare al parco i bambini per insegnare loro come far volare un aquilone senza che atterri sulla testa di un’anziana signora, o andare a casa della migliore amica per insegnarle come lanciare fuori dalla finestra i vestiti del suo ex senza che i due si vedano per l’inutilissimo passaggio degli scatoloni (e di conseguenza evitare che lei creda di nuovo alle sue inutili promesse).
Insomma, cose di questo tipo, ma anche aperitivi, cinema, shopping, un buon libro.
Tutti impegni che finalmente ci si può concedere. Anche perché qualcosa bisogna pur fare, altrimenti l’escursione termica tra i giorni della settimana in cui siamo sovrastati da impegni e l’unico giorno in cui realmente non ne abbiamo ci porterebbe a crisi mistiche sul tema “cosa stiamo facendo della nostra vita”, un fenomeno più comunemente chiamato “depressione domenicale”.
Ma ho divagato, scusate! Tornando a noi, il motivo per cui la domenica non sono molto tranquillo è che, come vi ho detto, essendo il mio negozio chiuso, devo andare a cercarmi clienti fuori; ovviamente non quelli a cui aggiustare lo schermo, ma quelli a cui aggiustare la vita.
Non è che mi dispiaccia di tanto in tanto uscire dalla mia piccola bettola, ma rubare alle persone il telefono senza che se ne accorgano non è facilissimo, senza considerare l’ansia, il rischio che mi scoprano... l’ansia, il rischio che... No, questo l’ho già detto, scusatemi di nuovo.
Insomma, è qualcosa che non mi rende affatto rilassante questo giorno.
Devo ammettere, però, che nonostante non mi piaccia rubare, sono piuttosto bravo come “Piccolo Ladro”: nessuno, finora, mi ha mai beccato!
Vabbè, a eccezione di Anna, che però, se vogliamo essere precisi, mi ha scoperto mentre rubavo il telefono di una ragazza e non il suo... quindi non conta.
Ovviamente rubo per una buona causa, quindi non è proprio rub... Uff, so cosa alcuni di voi stanno pensando, ma vi do la mia parola che ho sempre restituito tutti i cellulari. Tantissime nuvole e anche parecchi raggi di sole testimonierebbero subito a mio favore! Quindi non fate pensieri strani.
Solitamente, dopo aver restituito il telefono, mando un messaggino per spiegare come mai, d’ora in poi, a quel numero arriveranno le mie poesie:
> Ciao,
> ho deciso che da domani sera ti invierò un messaggio al giorno per cento giorni e quel messaggio conterrà una mia poesia!
> Non cercare di rispondermi, tanto i messaggi non avranno mittente e non cercare di chiamarmi tanto non potrai trovare il mio numero. Leggi le mie poesie e falle tue.
> Saranno il mio buongiorno e la mia buonanotte per te. Komorebi!
> Komorebi è in assoluto la mia parola preferita, ha dentro qualcosa di magico! In giapponese significa “la luce che filtra tra le foglie degli alberi”.
Le poesie sono komorebi: luce che filtra tra le nostre corazze esterne per entrare nella nostra parte interiore e illuminarla.
Una volta un raggio di sole di nome Yoko mi disse che se noi “persone della terra” – ci ha chiamate così – riflettessimo sinceramente su noi stesse almeno una volta al giorno, risolveremmo tutti i nostri problemi in meno di cento giorni.
Io gli ho creduto sulla parola, ma non sempre le persone credono subito al komorebi e in particolare ai miei messaggi di spiegazioni.
Una volta mi capitò di imbattermi in un anziano avvocato, amministratore del suo stesso studio legale. Il suo cellulare era pieno di avidità e malafede, il più delle volte ingiustificata. Non aveva mai voglia di giocare con i suoi nipoti e soprattutto era diffidente nei confronti del figlio, avvocato anche lui: un uomo paziente, ragionevole e ligio al dovere, che da anni aspettava dal padre il passaggio del testimone.
Aveva già contato fino a centinaia di milioni di secondi, ma nulla! Non c’era verso di convincere quel vecchio avvocato ad abbandonare la poltrona.
Una volta, mentre disegnavo un fiore su un due di picche, una stella di nome Plauto mi disse:
La vita è come una partita a Carte,
se il destino non fa uscire quello che ti occorre dal mazzo,
il gioco devi correggerlo tu!
A Plauto piaceva molto declamarmi le sue perle, erano sempre legate a giochi o sport. La sua preferita era:
La vita è come una partita di Tennis,
senza palle non si gioca!
Già, era una stella molto creativa...
Comunque, tornando al nostro anziano avvocato, mi dissi che dovevo assolutamente aiutarlo! E siccome dovevo correggere il gioco, una domenica gli rubai il cellulare mentre usciva dallo studio, dove aveva appena finito i suoi soliti turni extra da stakanovista.
Il giorno stesso, dopo avergli fatto ritrovare il telefono vicino all’automobile, iniziai a inviargli i messaggi!
Dopo poco tempo fu letteralmente ossessionato dalle poesie, e dal fatto che il mittente fosse segreto e i messaggi sparissero di colpo così com’erano arrivati. Gli altri iniziarono a pensare che stesse diventando matto, specialmente quando interruppe un consiglio di amministrazione solo per leggere una poesia e convincere i suoi soci che gli era appena arrivato un mio scritto.
Nessuno, però, aveva sentito il cellulare suonare e sullo schermo non potevano leggere nient’altro che l’ora. Solo lui vedeva le mie poesie. Come ci riesco? Be’, non insistete, è il segreto del “Piccolo Poeta”.
Comunque sia, il risultato della sua ossessione lo rese sempre più goffo e irrequieto, e la sua famiglia, preoccupata, decise di mandarlo in una casa di cura per qualche settimana. Insomma, un caso davvero complicato!
Per la sua attività fu un bene: al suo posto entrò il figlio, che non si fece scappare l’occasione di dimostrare, dopo tanto tempo, quanto valeva. E per quanto riguarda i suoi nipoti... finalmente avevano un nonno!
Dobbiamo cercare di arrivare a guardare
la cosa più importante che possediamo
con gli stessi occhi con cui la guarderemmo
se ci fosse sottratta.
Nella domenica che v...