July Johnson aveva imparato che non bisognava lamentarsi, e quindi non si lamentava, ma per la verità quello era stato l’anno piú difficile della sua vita: un anno in cui erano andate storte cosí tante cose che era difficile perfino sapere a quale guaio dedicare l’attenzione in ciascun momento.
Il suo vice, Roscoe Brown – quarantotto anni contro i ventiquattro di July –, gli aveva assicurato allegramente che l’aumento dei guai era un fatto cui gli conveniva fare il callo.
– Adesso che hai compiuto ventiquattro anni non puoi aspettarti alcuna pietà, – disse Roscoe.
– Non mi aspetto pietà, – disse July. – Vorrei soltanto che le cose andassero storte una per volta. Cosí credo che riuscirei ad affrontarle.
– Allora non dovevi sposarti.
A July parve un commento strano. Lui e Roscoe erano seduti davanti a quella che a Fort Smith passava per la prigione. Aveva una sola cella e la serratura era rotta; quando era necessario rinchiudere qualcuno, dovevano far passare una catena intorno alle sbarre.
– Non vedo cosa c’entra, – disse July. – E comunque, tu cosa ne sai? Non sei mai stato sposato.
– No, ma non sono cieco, vedo quello che mi succede intorno. Tu ti sei sposato e sei diventato giallo. C’è da rallegrarsi a restare scapoli. Sei ancora giallo, – gli ricordò poi.
– Non è colpa di Elmira se mi è venuta l’itterizia. L’ho presa nel Missouri a quel maledetto processo.
Era ancora piuttosto giallo, in effetti, e piuttosto debole, ed Elmira stava perdendo la pazienza per entrambe le cose.
– Vorrei che tornassi bianco, – aveva detto quella mattina, sebbene fosse decisamente meno itterico di due settimane prima. Elmira era bassa, magra, bruna, e poco paziente. Erano sposati da sei mesi appena e la sua impazienza era stata una sorpresa per July. Elmira voleva che le faccende fossero sbrigate immediatamente, mentre lui aveva sempre seguito un ritmo metodico. La prima volta che lo aveva strigliato per la sua lentezza era stata a due giorni dalle nozze. Adesso pareva aver perso ogni rispetto nei suoi confronti. Ogni tanto a July veniva il dubbio che non ne avesse mai avuto, ma se era cosí, perché lo aveva sposato?
– Oh... oh, arriva Peach, – disse Roscoe. – Ben doveva essere matto per sposarla.
– A sentire te, noi Johnson siamo tutti matti, – replicò July, un tantino irritato. Non spettava a Roscoe criticare il fratello morto, anche se, a dire il vero, Peach non era la sua cognata preferita. Non aveva mai saputo perché Ben l’avesse soprannominata in quel modo, dato che era corpacciuta e litigiosa e non somigliava per niente a una pesca.
Peach si faceva strada lungo la via principale di Fort Smith, che non era il solito pantano perché ultimamente il tempo era stato secco. Per qualche strano motivo teneva in braccio un gallo rosso. Era la donna piú corpacciuta della cittadina, alta quasi un metro e ottanta, mentre Ben era stato il nanerottolo della famiglia Johnson. Inoltre, Peach non la smetteva mai di parlare e Ben aveva pronunciato a stento tre parole alla settimana, nonostante fosse il sindaco. Adesso Peach continuava a parlare e Ben era morto.
Era senz’altro quel fatto, ben noto a tutti a Fort Smith da sei settimane, che Peach veniva a discutere con lui.
– Buongiorno July, – disse. Il gallo sbatté piú volte le ali, ma lei lo scrollò fino a farlo quietare.
July si toccò il cappello, e Roscoe lo imitò.
– Dove hai trovato quel gallo? – domandò Roscoe.
– È mio, ma non ne vuole sapere di restare a casa, – disse Peach. – L’ho trovato giú vicino all’emporio. Se lo mangerà una moffetta, se non sta attento.
– Be’, se non sta attento, se lo merita, – rispose Roscoe.
Peach lo aveva sempre considerato un soggetto irritante, e meno rispettoso del dovuto. Era poco piú che un criminale, secondo lei, e non le andava a genio che fosse vicesceriffo, anche se, a dire il vero, a Fort Smith non c’era molta scelta.
– Quando hai intenzione di metterti sulle tracce di quell’assassino? – domandò a July.
– Tra non molto, – disse lui, sebbene si sentisse stanco al solo pensiero di mettersi sulle tracce di qualcuno.
– Si rifugerà in Messico o chissà dove, se stai qui ad aspettare un altro po’, – disse Peach.
– Credo che lo troverò dalle parti di San Antonio, – disse July. – Mi pare che abbia degli amici laggiú.
A quel punto Roscoe si sentí in dovere di sbuffare. – Proprio cosí. Due dei Texas Ranger piú famosi che siano mai esistiti, ecco chi sono i suoi amici. July sarà fortunato se non lo impiccano. Se volete sapere come la penso, Jake Spoon non vale la pena.
– Il punto non è quanto vale lui, – disse Peach, – ma quanto valeva Ben. Era mio marito, il fratello di July e il sindaco di questa cittadina. Chi pensi che si occupasse di pagarti lo stipendio?
– Non ci vuole molto per occuparsi di uno stipendio come il mio, – disse Roscoe. – Anche un moscerino potrebbe occuparsene –. A trenta dollari al mese si considerava gravemente sottopagato.
– Se te lo guadagnassi, lo stipendio, quell’uomo non sarebbe neanche riuscito a scappare, – continuò Peach. – Potevi ammazzarlo, e se lo sarebbe meritato.
Roscoe si rendeva conto che c’era chi lo riteneva responsabile della fuga di Jake. Per la verità l’omicidio l’aveva frastornato, perché Jake gli stava molto piú simpatico di Ben. E poi era stata una sorpresa terribile vedere Ben sdraiato sulla strada con un grosso buco in corpo. Era stata una sorpresa per tutti; Peach era svenuta. Metà degli avventori del saloon erano convinti che fosse stato il mulattiere a sparare a Ben e, quando Roscoe era venuto a capo dei loro racconti, Jake era già lontano. Era stato piú che altro un incidente, ma Peach non la vedeva cosí. Voleva a tutti i costi far impiccare Jake, e probabilmente l’avrebbero accontentata, se Jake non avesse avuto il buon senso di squagliarsela.
July aveva sentito quella storia venticinque o trenta volte, e le versioni variavano anche molto a seconda di chi la raccontava. Si sentiva in colpa per non aver fatto di piú per scacciare Jake dalla cittadina prima di partire per il processo nel Missouri. Certo sarebbe stato meglio se Roscoe lo avesse arrestato subito, ma Roscoe non arrestava mai nessuno eccetto il vecchio Darton, il solo ubriacone della contea che fosse in grado di affrontare.
July non aveva dubbi che sarebbe riuscito a trovare Jake Spoon e a riportarlo lí per il processo. I giocatori d’azzardo prima o poi facevano sempre capolino in una città o nell’altra, ed erano facili da trovare. Se non gli fosse venuto quell’attacco di itterizia, July si sarebbe potuto mettere subito sulle sue tracce, ma adesso erano passate sei settimane e il viaggio sarebbe stato piú lungo.
Il guaio era che Elmira non voleva che partisse. Considerava un’offesa anche solo che lui ci pensasse. A peggiorare le cose, Peach non la stimava e piú di una volta l’aveva trattata con sufficienza. Elmira sosteneva che l’omicidio era stato un incidente e gli aveva detto chiaro e tondo che non avrebbe dovuto intraprendere un viaggio cosí lungo soltanto perché glielo ordinava Peach Johnson.
Mentre July aspettava che Peach se ne andasse, il gallo, che si era stufato di essere tenuto cosí stretto, diede un paio di violente beccate alla mano di Peach. Senza esitare un secondo, Peach lo afferrò per la testa, lo fece roteare in aria un po’ di volte e gli tirò il collo. Il corpo schizzò via a qualche passo e giacque a terra, sussultando. Peach gettò la testa fra le erbacce che crescevano intorno al portico della prigione. Non le era finita addosso nemmeno una goccia di sangue; dal corpo del gallo decapitato il sangue sgorgava invece a fiotti nella polvere della strada.
– Cosí impara a beccarmi, – disse Peach. – Almeno me lo mangio io, invece di lasciare che se lo pappi una moffetta.
Raccolse il gallo per le zampe e lo tenne lontano finché non smise di sussultare.
– Bene, July. Spero che non aspetterai troppo a partire. Non è perché sei giallognolo che non puoi andare a cavallo.
– Voi Johnson sposate delle vere generalesse, – disse Roscoe, quando fu sicuro che Peach non lo sentiva.
– Come hai detto? – domandò July, squadrandolo con severità. Non avrebbe permesso al suo vice di criticare la moglie.
Roscoe si pentí di essersi lasciato sfuggire quel commento. July era suscettibile riguardo alla moglie, probabilmente perché era piú vecchia di diversi anni ed era già stata sposata. A Fort Smith era opinione comune che Elmira lo avesse irretito, anche se nessuno sapeva molto del suo passato, dato che veniva dal Kansas.
– Mi riferivo a Ben e a Sylvester, – disse Roscoe. – Siccome sei lo sceriffo, devo essermi scordato che sei un Johnson anche tu.
Non aveva senso; spesso quello che diceva Roscoe non aveva senso, ma July aveva troppo a cui pensare per preoccuparsene. Ogni santo giorno lo poneva di fronte a decisioni difficili. A volte, seduto alla propria tavola, gli riusciva difficile perfino decidere se parlare a Elmira oppure no. Però non era difficile intuire quando Elmira era scontenta. Stringeva le labbra e lo trapassava con lo sguardo, come se non lo vedesse neppure. Il problema era capire perché era scontenta. Diverse volte le aveva domandato se c’era qualcosa che non andava e aveva ricevuto veementi, amari predicozzi riguardo alle sue mancanze. I predicozzi erano tanto piú imbarazzanti perché glieli somministrava in presenza del figlio, che ora era il suo figliastro, un dodicenne di nome Joe Boot. Nel Missouri Elmira era stata sposata con un tale Dee Boot, di cui non aveva mai parlato molto; aveva detto soltanto che era morto di vaiolo.
Elmira somministrava predicozzi a Joe tanto quanto a July. Di conseguenza lui e Joe erano diventati alleati e buoni amici; tutti e due passavano gran parte del loro tempo a cercare di evitare la collera di Elmira. Il piccolo Joe frequentava cosí spesso la prigione che era diventato una specie di vicesceriffo in seconda. Era magro come Elmira e aveva grandi occhi che sporgevano un poco nella faccia smunta.
Anche Roscoe era affezionato al ragazzino. Lui e Joe scendevano spesso al fiume a pescare i pesci gatto. A volte, se la pesca era stata buona, July invitava Roscoe a cena, ma di rado erano occasioni riuscite. Elmira non teneva in grande stima Roscoe Brown e, benché Roscoe facesse il possibile per essere gentile con lei, le cene di pesce restavano momenti tesi e silenziosi.
– Be’, July, credo che ti trovi fra l’incudine e il martello, – disse Roscoe. – O vai a combattere i ranger o rimani qui a combattere Peach.
– Potrei sempre mandare te a prenderlo, – disse July. – Sei stato tu a lasciartelo scappare.
Scherzava, naturalmente. Roscoe era a malapena in grado di affrontare il vecchio Darton, che aveva quasi ottant’anni. Con Jake Spoon e i suoi amici non avrebbe avuto speranze.
Roscoe per poco non si rovesciò dalla sedia per lo stupore. L’idea che July potesse spedirlo in una missione come quella era ridicola: stare con Elmira lo aveva fatto uscire di cervello, se nutriva pensieri simili.
– Peach non ha intenzione di lasciar perdere, – disse July, rivolto piú a se stesso che a Roscoe.
– Già. È tuo dovere catturare quell’uomo, – disse Roscoe, ansioso di allontanare il piú possibile da sé quell’impegno. – Benny era tuo fratello, anche se era un dentista.
July non lo disse, ma il fatto che Benny fosse suo fratello c’entrava ben poco con la decisione di rintracciare Jake Spoon. Benny era stato il piú vecchio, e lui il piú giovane, dei dieci fratelli Johnson. A parte loro due, tutti gli altri se n’erano andati una volta grandi, e Benny sembrava convinto che anche July se ne sarebbe dovuto andare. Quando il posto si era reso disponibile, aveva esitato ad affidargli l’incarico di sceriffo, nonostante non ci fossero altri candidati a parte Roscoe. July aveva ottenuto l’incarico, ma Benny gli aveva serbato rancore e si era rifiutato di fornire una serratura nuova per l’unica cella della prigione. A dire il vero, che July ricordasse, Benny non gli aveva mai fatto u...