Il crollo dell'impero ottomano
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Il crollo dell'impero ottomano

La guerra, la rivoluzione e la nascita del moderno Medio Oriente. 1908-1923

Sean McMeekin, Chiara Veltri, Daniele Cianfriglia

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La guerra, la rivoluzione e la nascita del moderno Medio Oriente. 1908-1923

Sean McMeekin, Chiara Veltri, Daniele Cianfriglia

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L'Impero ottomano durò per piú di sei secoli, prima di dissolversi durante un ampio conflitto che ebbe al centro la Prima guerra mondiale. A partire dall'invasione italiana della Tripoli ottomana nel mese di settembre 1911, l'impero si trovò in uno stato di emergenza continua, con a malapena una frontiera non minacciata. Era sotto costante assedio, ormai considerato un guscio vuoto, e tuttavia dimostrò di essere ancora in grado di resistere, respingendo i principali attacchi a Gallipoli e in Mesopotamia, prima del definitivo crollo del potere centrale nel 1918. Mentre gli europei stavano decidendo come spartirsi i territori e Costantinopoli sembrava impotente di fronte agli accordi dei vincitori, si materializzò un'entità del tutto inaspettata: la Turchia moderna. Grazie alla sorprendente genialità di Mustafa Kemal, un nuovo potente stato era emerso dai frammenti dell'impero. McMeekin scrive questo epico racconto per intero - dagli albori fino al trattato di Losanna del 1923 che stabilí l'indipendenza della Repubblica turca - e ciò obbligherà molti lettori a riconsiderare il conflitto sotto una nuova luce. Le ripercussioni di questa «guerra di successione ottomana» si sono fatte sentire per tutto il xxi secolo, e paesi diversissimi come Serbia, Grecia, Libia, Armenia, Iraq e Siria ancora oggi devono fare i conti con quel passato. Il libro nasce da una serie di ricerche svolte negli archivi turchi e russi, solo di recente consultabili, e utilizzando inedite fonti inglesi, tedesche, francesi, americane e austro-ungariche.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2017
ISBN
9788858426975
PARTE SECONDA

La guerra del 1914: la Turchia gioca la sua mano

Capitolo quinto

Manna dal mare: l’arrivo dell’SMS Goeben

[Mi decisi a] forzare i turchi, lo volessero o no, per portare il conflitto nel Mar Nero e combattere la Russia, loro nemica tradizionale.
AMMIRAGLIO WILHELM SOUCHON, comandante dell’SMS Goeben1.
Il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia, duchessa di Hohenberg, furono uccisi da un attentatore di nazionalità serba di nome Gavrilo Princip mentre l’erede al trono asburgico d’Austria-Ungheria attraversava in reale parata la capitale bosniaca Sarajevo. Almeno un altro assassino coinvolto nel complotto, anch’egli di nazionalità serba (ma come Princip bosniaco, e quindi suddito austro-ungarico), aveva lanciato una bomba al corteo automobilistico reale circa un’ora prima che fossero esplosi i colpi fatali (in realtà, come si sarebbe scoperto in seguito, i cospiratori erano in tutto sette). Proclamando che «i fili del complotto si erano intrecciati a Belgrado», il ministro degli Esteri asburgico Berchtold, fino a quel momento titubante, dopo aver ricevuto un «assegno in bianco» di sostegno diplomatico da Berlino, elaborò con parole molto dure un ultimatum di quarantotto ore alla Serbia, che fu consegnato a Belgrado il 23 luglio. Quando due giorni piú tardi la Serbia, dopo aver ricevuto il suo «assegno in bianco» dalla Russia, a sua volta rassicurata riguardo al sostegno francese a una linea dura contro l’Austria-Ungheria, si rifiutò di rispettare i termini dettati da Berchtold, la macchina europea dell’apocalisse si mise metodicamente in moto. Serbia e Austria-Ungheria si mobilitarono l’una contro l’altra, mentre in segreto partiva una premobilitazione russa a sostegno della Serbia, diretta non solo contro l’Impero austro-ungarico, ma anche contro il suo alleato tedesco. Quando lo zar decretò la mobilitazione generale russa il 30 luglio 1914, sembrava che solo un miracolo potesse evitare una guerra europea che avrebbe portato con sé, nelle parole pronunciate dallo stesso zar la sera prima mentre si tormentava per la decisione, «una strage mostruosa»2.
Considerando la centralità degli affari ottomani nella prima crisi bosniaca del 1908-909, nella guerra tripolitana del 1911-12 e nelle guerre balcaniche del 1912-13, è strano che, a prima vista, la Turchia abbia giocato un ruolo cosí contenuto nella crisi del luglio 1914. Non piú tardi della terza settimana di giugno, il chiacchiericcio diplomatico in Europa si era concentrato sulla minaccia di una terza guerra balcanica tra la Grecia e l’Impero ottomano. Ma l’incidente di Sarajevo e la conseguente prova di forza diplomatica tra le grandi potenze sembrarono sopraffare tutti i recenti drammi avvenuti nei Balcani, rendendo la Turchia e la Grecia meri attori di secondo piano nelle capitali delle grandi potenze quando iniziò il conto alla rovescia per la guerra.
Se guardiamo con maggiore attenzione, però, possiamo vedere tracce del fatto che la questione ottomana era ancora al centro della strategia delle grandi potenze quando la crisi di luglio raggiunse il suo terribile culmine, in particolare a San Pietroburgo e Berlino. Già il 30 giugno, appena due giorni dopo i fatti di Sarajevo, il ministro degli Esteri russo chiese informazioni aggiornate al ministero della Marina riguardo ai tempi necessari alla flotta del Mar Nero per entrare in azione. Sazonov stesso aveva presieduto la conferenza di pianificazione di febbraio durante la quale i capi militari russi avevano promesso di anticipare l’arrivo del primo «scaglione» di truppe anfibie inviate a Costantinopoli (che comprendeva circa 30 000 uomini, pari all’incirca a un corpo d’armata, tra cui la componente artiglieria di una divisione) dal decimo al quinto giorno dopo la mobilitazione. Come ricordò in seguito il ministro degli Esteri nelle sue memorie, la ragione di tanta urgenza era che tutti i presenti «consideravano inevitabile un’offensiva contro Costantinopoli, anche al costo di far scoppiare una guerra europea». Il 15 giugno 1914, all’apice delle tensioni tra la Turchia e la Grecia, l’ambasciatore Girs aveva avvertito Sazonov che la Russia doveva tenersi pronta a lanciare «contromisure immediate» per conquistare gli Stretti se fosse scoppiata una terza guerra balcanica. Ora, dopo Sarajevo, in vista della possibilità, se non della probabilità, di un conflitto europeo allargato, Sazonov domandò al ministro della Marina russa, Ivan K. Grigorovič, con una «richiesta molto segreta e urgente», se fosse possibile far sbarcare sul Bosforo le prime truppe russe nel giro di «quattro o cinque giorni» dalla mobilitazione3.
A Berlino, nel frattempo, l’accordo non ratificato con la Sublime Porta acquisí un’importanza inestimabile quando il livello di isolamento diplomatico della Germania cominciò a definirsi verso la fine di luglio. Venerdí 24, il giorno dopo l’ultimatum inviato dall’Austria-Ungheria alla Serbia, Guglielmo II ordinò al suo ambasciatore a Costantinopoli, Wangenheim, di riaprire i negoziati sull’alleanza. La prima bozza ottomana di un accordo militare bilaterale fu inviata a Berlino per cablogramma martedí 28 luglio; ma rimase soffocata nel clamore causato dalla dichiarazione di guerra austro-ungarica alla Serbia, annunciata a mezzogiorno di quello stesso giorno. Venerdí 31 luglio, con la Russia ormai in mobilitazione generale e chiari segnali del fatto che la Gran Bretagna propendesse per la guerra contro la Germania, la situazione sembrava cosí disperata che a Berlino il cancelliere Bethmann Hollweg inviò un cablogramma a Costantinopoli, chiedendo a Wangenheim se la Turchia, in cambio della firma della Germania sulla sua bozza di trattato di alleanza, fosse pronta a «intraprendere qualche azione degna di questo nome contro la Russia»4. Sabato 1° agosto, quando scadde l’ultimatum con cui la Germania chiedeva alla Russia di interrompere la mobilitazione, la resistenza di Bethmann Hollweg si sgretolò ulteriormente: ora avrebbe firmato il trattato ottomano basandosi semplicemente sulla rassicurazione di Liman che l’esercito turco era «pronto a combattere», senza alcuna garanzia di un’azione contro la Russia5.
Nel frattempo, gli statisti russi si stavano preparando per uno scontro armato con la Turchia, che presumevano sarebbe seguito immediatamente allo scoppio della guerra in Europa. Il 27 luglio, due giorni dopo che la Serbia ebbe respinto l’ultimatum di Vienna, ma un giorno prima che l’Austria-Ungheria le dichiarasse guerra, il capo di stato maggiore dell’esercito russo, Nikolaj N. Ianuškevič, diramò ordini top secret a Nikolaj N. Iudenič, capo di stato maggiore al comando dell’armata russa del Caucaso a Tbilisi, di mobilitarsi contro l’Impero ottomano6. Lo stesso giorno, Girs inviò un memorandum segreto a Sazonov avvertendolo che, se la Russia avesse fatto marcia indietro contro gli austro-tedeschi in Europa, avrebbe inviato un segnale di debolezza a Costantinopoli e in tutto il Medio Oriente tale che «[noi] potremmo trovarci costretti a prendere l’iniziativa direttamente e dichiarare guerra [alla Turchia]»7. Il 29 luglio, mentre Nicola II esitava, amletico, sulla possibilità di dare l’ordine finale e irreversibile di mobilitazione generale (lo emise intorno alle 21.00, salvo poi cambiare idea e revocarlo meno di un’ora dopo), Ianuškevič stava convincendo Iudenič che doveva procedere alla mobilitazione dell’armata del Caucaso in base alla variante 4, per una guerra europea in cui «la Turchia inizialmente non prenderà parte»8. Il 30 luglio, dopo che lo zar ebbe infine superato i suoi scrupoli e dato il fatidico ordine generale di mobilitazione, Sazonov inviò con urgenza un cablogramma al suo ambasciatore a Londra, il conte Benckendorff, affinché intervenisse per interrompere la consegna imminente delle corazzate Sultan Osman I e Reşadiye all’Impero ottomano (prevista per il 2 agosto). A maggio, Benckendorff aveva chiesto di intervenire in proposito al ministro degli Esteri di Sua Maestà, Edward Grey – con molta, moltissima cautela –, ma Grey e il Primo Lord dell’ammiragliato, Winston Churchill, si erano opposti con la motivazione che il governo della Gran Bretagna non aveva il diritto di interferire in contratti di lavoro privati. Ora che la guerra europea sarebbe scoppiata entro pochi giorni, se non ore, Sazonov non poteva piú permettersi di rimanere fermo. «Queste navi», diceva, premendo su Benckendorff perché ammonisse Churchill e Grey, «devono essere trattenute in Inghilterra»9.
Quasi leggesse nella mente di Sazonov (anche se in realtà non sapeva nulla delle piú recenti richieste della Russia, che non gli erano ancora arrivate), Churchill si era intromesso nella storia con una delle azioni piú controverse di una carriera che ne sarebbe stata piena. Venerdí 31 luglio, mentre era in corso la mobilitazione generale in Russia (anche se a quanto pare non sapeva neanche questo) e la Germania era in procinto di rilasciare il suo ultimatum a San Pietroburgo, il Primo Lord dell’ammiragliato ordinò agli equipaggi navali inglesi di salire a bordo delle corazzate Sultan Osman I e Reşadiye, per evitare che gli equipaggi turchi alzassero la bandiera ottomana. Con questa azione palesemente illegale, Churchill garantí alla Gran Bretagna un’ulteriore assicurazione contro la flotta d’alto mare tedesca nella guerra che ormai appariva inevitabile (almeno ai suoi occhi). Inoltre, in modo del tutto involontario, soddisfaceva uno degli obiettivi strategici primari della Russia – negando alla marina ottomana le tanto bramate dreadnoughts, con le quali avrebbe potuto strapparle il controllo del Mar Nero –, offrendo un dono inestimabile ai falchi del governo ottomano, per non parlare dei leader tedeschi che cercavano disperatamente di trascinare in guerra la Turchia10. Enver Paşa non era uomo da lasciarsi sfuggire un’opportunità come questa. I termini stabiliti dal cancelliere tedesco Bethmann Hollweg per la firma di un’alleanza formale con la Turchia si erano ammorbiditi, per la sua crescente disperazione, dalla promessa di un’«azione degna di questo nome» contro la Russia fatta il 31 luglio al semplice «siamo pronti a combattere» del pomeriggio seguente, e il ministro della Guerra ottomano decise di trovare un compromesso. Il sabato mattina Enver apprese che gli equipaggi britannici avevano requisito con la forza le due corazzate ottomane (anche se l’azione di Churchill non era ancora stata approvata dal governo britannico, né annunciata pubblicamente). Riflettendo in fretta, nel pomeriggio Enver promise all’ambasciatore Wangenheim che in cambio di un generoso trattato di alleanza avrebbe consegnato alla Germania la Sultan Osman I (l’idea era di ancorarla in un porto tedesco sul Mare del Nord, anche se non si diceva come sarebbe stata elusa la massiccia flotta britannica già in rotta, né che la nave, come Enver sapeva, non era piú sotto il suo controllo!)11.
Dopo aver confrontato questa offerta con la piú recente istruzione di Bethmann Hollweg di insistere solo sul fatto che la Turchia si mostrasse «pronta a combattere», Wangenheim decise che Enver aveva rispettato le condizioni poste dal cancelliere. Alle 4.00 del pomeriggio di domenica 2 agosto 1914, l’ambasciatore appose pertanto la sua firma accanto a quella di Said Halim Paşa, gran visir e ministro degli Esteri ottomano, in calce a un trattato segreto di difesa bilaterale, valido fino al 31 dicembre 1918, in cui la Turchia prometteva di unirsi alla Germania se quest’ultima fosse entrata in guerra contro la Russia in difesa dell’Austria-Ungheria, in cambio di una promessa con cui «la Germania si obbliga, con la forza delle armi, se necessario, a difendere il territorio ottomano nel caso in cui si trovi a essere minacciato»a12. Wangenheim promise anche di accelerare la richiesta urgente di Enver a Berlino di inviare a Costantinopoli la squadra tedesca del Mediterraneo, composta dall’incrociatore da battaglia Goeben e dall’incrociatore leggero Breslau. Ignaro di essere stato ingannato dal ministro della Guerra ottomano che lo aveva indotto a firmare un trattato subdolo, basato su false premesse, Wangenheim sostenne incondizionatamente l’idea di Enver, facendo notare con convinzione a Berlino che «con il Goeben sarebbe [stato] possibile anche uno sbarco [ottomano] sul territorio russo». Ricevuta la notizia, Liman von Sanders emise allora ordini di mobilitazione agli ufficiali tedeschi nella sua missione militare per l’esercito ottomano, che ora contava 71 unità13.
Non senza ragione, Liman, assieme a Moltke al comando dell’esercito tedesco, e a Tirpitz all’ammiragliato, giunse alla conclusione che Wangenheim avesse ottenuto da Enver un impegno vincolante su un’imminente entrata in guerra dell’Impero ottomano contro la Russia. Questa convinzione errata fu suffragata dal fatto che Enver aveva decretato la mobilitazione generale ottomana contro la Russia sabato 1° agosto (ordine confermato la domenica dal governo turco), e poi aveva ordinato, il lunedí 3 agosto (pur senza autorizzazione del consiglio dei ministri), di minare l’accesso nord del Bosforo e l’accesso sud dei Dardanelli14. Moltke, con il suo piano di mobilitazione imprevedibile, che richiedeva un’avanzata fulminea su Parigi, già in ritardo a causa della segreta mobilitazione preventiva della Russia e della decisione del Belgio di resistere alla violazione tedesca del suo territorio, iniziò a bombardare Wangenheim di richieste per un intervento ottomano immediato contro la Russia, che, sperava, si sarebbe rivolto anche contro Gran Bretagna e Francia15. Una volta confermato, nel pomeriggio del 3 agosto, lo stato di guerra tra Francia e Germania, divenne imperativo per l’ammiragliato tedesco trovare un ancoraggio sicuro per gli incrociatori Goeben e Breslau prima che la Gran Bretagna dichiarasse guerra e la superiore flotta alleata nel Mediterraneo li annientasse. Poco incline a guardare in bocca al cavallo donato da Churchill e a credere nelle promesse di Enver, il grandammiraglio Tirpitz ordinò a Wilhelm Souchon, nelle prime ore di martedí 4 agosto 1914, di procedere immediatamente alla volta della capitale ottomana16.
Sembrava che l’ammiraglio Souchon fosse nato per questo momento. L’idea di inviare una potente nave da guerra nel Bosforo per contrastare il controllo russo del Mar Nero non era nuova. Infatti Souchon aveva attraccato lí già nella prima settimana di maggio, facendo colpo nella capitale ottomana, tanto che i leader del Cup come Cami Baykut avevano iniziato a chiedere a gran voce che il Goeben fosse arruolato nel servizio ottomano. La calda accoglienza che Souchon aveva ricevuto a Costantinopoli era fortemente in contrasto con il modo in cui era stato ricevuto in altri scali nel Mediterraneo, dove di solito la flotta britannica, da tempo dominante, attraccava non appena lui andava via, cancellando qualsiasi impressione positiva avesse fatto (come amava dire il Kaiser, arrivavano per «sputare nella minestra»). Anche i russi sapevano tutto su Souchon. In seguito alla vicenda Liman avvenuta a gennaio, Sazonov aveva intimato piú volte a Berlino di non arruolare il Goeben nel servizio ottomano. Alla flotta russa del Mar Nero mancavano ancora due o piú anni al varo della prima dreadnought operativa, quindi l’arrivo di qualsiasi nave della stessa classe in acque territoriali ottomane minacciava di far pendere la bilancia navale sul Mar Nero a favore della Turchia, rendendo pressoché impossibile qualsiasi attacco anfibio russo sul Bosforo17.
Quando Souchon decodificò i suoi ordini da Berlino appena dopo le 3.00 del mattino di martedí 4 agosto 1914, si avvicinava al porto algerino francese di Philippeville, dove le truppe coloniali si stavano imbarcando per il fronte occidentale. Dopo aver appreso della dichiarazione di guerra della Germania alla Francia, alle 6.00 del pomeriggio di lunedí, mentre un battello a vapore partito dalla Sicilia lo conduceva verso sudovest, si stava finalmente avvicinando al suo obiettivo e poteva già, come avrebbe ricordato in seguito, «gustare quel momento del fuoco che desideravamo tutti cosí ardentemente!» Ignorando le convocazioni a Costantinopoli di Tirpitz, Souchon proseguí la rotta per Philippeville. Appena passate le 6.00 del mattino, l’SMS Goeben aprí il fuoco contro le navi francesi per il trasporto truppe, mentre il Breslau bombardava il vicino porto di Bona. Anche se il bombardamento non provocò perdite significative o gravi danni fisici, né al trasporto truppe né al porto, l’attacco tedesco intimorí il comandante della flotta francese, il vice ammiraglio Augustin Boué de Lapeyrère, abbastanza da indurlo a ordinare alla sua squadra di formare convogli di scorta, un processo laborioso che avrebbe richiesto diversi giorni. In questo modo l’invio di soldati algerini francesi al fronte fu ritardato e Souchon riuscí nel suo obiettivo. Soddisfatto, ritirò le sue navi e si diresse nuovamente verso la Sicilia, nella speranza di rifornirsi di carbone lí prima di procedere alla volta di Costantinopoli, distante circa 2000 chilometri18.
Ora iniziava la parte piú difficile. Ma se il panico che aveva semin...

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