Nata per te
eBook - ePub

Nata per te

Storia di Alba raccontata fra noi

Luca Trapanese, Luca Mercadante

Share book
  1. 168 pages
  2. Italian
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Nata per te

Storia di Alba raccontata fra noi

Luca Trapanese, Luca Mercadante

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Alba ha la sindrome di Down e appena nata è stata lasciata in ospedale. Trenta famiglie l'hanno rifiutata prima che il tribunale decidesse di affidarla a Luca Trapanese. Gay, cattolico praticante, impegnato nel sociale: con lui è stato inaugurato il registro degli affidi previsti dalla legge per i single. Ma Luca non è spaventato. Di battaglie ne ha combattute tante, conosce il dolore e ha imparato a trasformarlo, abbattendo muri e costruendo spazi di solidarietà. Il suo non è un gesto caritatevole: vuole semplicemente una famiglia. E per difenderla consegna la sua storia a un altro padre, che ha la sua età e il suo stesso nome, ma non potrebbe essere piú diverso. Luca Mercadante è ateo e favorevole all'interruzione di gravidanza. Ed è convinto che la paternità passi per il sangue prima che per l'accudimento. Cosa resta del padre quando è privato anche di qualcuno che possa raccogliere la sua eredità intellettuale? Dal racconto della vicenda di Alba, tra difficoltà pratiche, momenti di sconforto e molta gioia, affiorano inattese le ragioni di una scelta importante e fortissima.

«Qualche minuto prima che il sole sorga, Luca prende Alba e la porta alla finestra per farle vedere l'inizio della vita. Spalanca le persiane, l'aria nuova ripulisce la stanza dalle paure della notte. Il primo raggio di luce si arrampica sulla vetta della montagna e a Luca viene in mente la storia di un gigante scalatore che vuole arrivare al cielo. Pensa che dovrebbe scriverla per raccontarla al suo nuovo amore; per il momento si accontenta di bisbigliarle una canzone all'orecchio mentre la culla».

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Nata per te an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Nata per te by Luca Trapanese, Luca Mercadante in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Social Sciences & Customs & Traditions. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Publisher
EINAUDI
Year
2018
ISBN
9788858429945

1.

Quando Alba viene affidata a Luca Trapanese dal Tribunale dei Minori di Napoli ha solo un mese di vita. Qualche tempo dopo, mentre sto già prendendo appunti per questo libro, ho modo di guardare un video del loro primo abbraccio ripreso dalla vetrata della nursery. Alba è avvolta nel lenzuolo dell’ospedale. Trapanese ha cuffia, mascherina e un camice monouso semitrasparente; sotto è vestito in maniera informale: camicia e pantaloncini al ginocchio. Probabilmente io mi sarei presentato in giacca e cravatta. Nel vetro si scorge anche il riflesso di Natalia, l’autrice del video, della quale intravedo l’enorme sorriso.
È la mattina del 29 luglio del 2017 e, mentre lui sta sollevando la bambina dalla culla in plexiglass, io ho a che fare con i due responsabili del nuovo campo scuola marino di mio figlio: – Andrea odia i braccioli e dice di saper nuotare, ma non è vero. Ha quattro anni. È celiaco, sono sicuro che di questo avrete già parlato con la mia compagna quando è venuta per l’iscrizione, no?
I responsabili, Monica e Gianni, molto giovani (tanto che non mi sembrano neppure maggiorenni), mi dànno retta per qualche minuto, appaiono concentrati e forse lo sono davvero, ma non posso fare a meno di pensare che sia una strategia per liquidarmi. Continuano ad ascoltarmi anche quando attacco con il secondo giro di raccomandazioni e ripeto che: «Andrea è celiaco…»; lascio in sospeso la frase sperando che la completino loro, ma Monica dice solo che hanno già un altro bambino cosí, devo stare tranquillo.
Gianni, l’altro semiadulto responsabile, si piega su Andrea.
– Ti va di costruire un vulcano con noi?
Insieme raggiungono una dozzina di bambini e un altro animatore che, poco piú in là, stanno accumulando sabbia con pale e una carriola.
– L’anno scorso, con il vulcano di sabbia, abbiamo sfiorato il guinness dei primati, – dice Monica e poi: – Ha portato la crema solare?
Mi sfila lo zainetto con le cose di Andrea. Il tempo a mia disposizione è finito.
Con la bambina in braccio Luca fa quello che fanno tutti i padri la prima volta che si ritrovano il neonato tra le mani: la dondola nonostante non ce ne sia alcun bisogno. Anche io l’ho fatto, a mio tempo, e sono stato per questo redarguito: «Cosí i bambini prendono da subito l’abitudine a essere cullati e poi tocca alle madri spaccarsi la schiena!» Ma Luca non ha al suo fianco nessuna moglie disposta a sacrificarsi nel ruolo di Mamma-Italia, né un compagno con cui condividere le gioie dell’ernia al disco. Ai rimbrotti che ho ricevuto io, lui avrebbe potuto rispondere: «Mio il dondolio, mia la protrusione. E pace».
Per il resto della mattinata, mentre aspetta l’arrivo del tutore del tribunale che gli consegnerà formalmente la piccola, Luca è ospite privilegiato delle infermiere del nido. Tre cambi, un bagnetto, due poppate. Gli fanno anche vedere come ripiegare un panno da usare a mo’ di appoggio per il biberon in culla: – Di giorno la poppata gliela dài tenendola in braccio e vabbe’, ma di sera lasciala nella culla, mettila su un fianco e fissa la bottiglina davanti alla faccia cosí… vedi? Con la tettarella in bocca. Magari giri intorno alla culla, le fai sentire che sei lí, ma non farle prendere il vizio di dormire in braccio la notte.
Luca accetta i consigli di buon grado. Alba è trisomica e lui ha visto decine di genitori di bambini portatori della sindrome di Down rimandare la necessaria educazione all’indipendenza in maniera irreversibile, e tutto perché hanno optato per quello che durante i primi giorni è un normale accudimento, ma che si stenta ad abbandonare quando è il momento giusto. Cosí quella che potrebbe essere una semplice concessione diventa molto spesso andazzo perpetrato fino all’età adulta, che aggiunge inabilità alla disabilità.
L’atteggiamento delle infermiere è forse paternalistico, ma non è cinismo né voglia di emulare modelli educativi scandinavi. Non vogliono addestrare Alba o privarla del conforto notturno, ma solo instradare Luca. Probabilmente neanche sanno che quel quarantenne che si dimostra tanto efficiente nel manipolare la bambina, svestirla, lavarla e poi rivestirla è proprio il Trapanese delle case-famiglia per bambini e ragazzi disabili.
Nello stesso arco di tempo, a meno di cento chilometri di distanza, io saluto Andrea da lontano, mi congedo da Monica l’educatrice dicendo che devo andare al lavoro e invece mi pianto sotto la pensilina del lido facendo finta di ammirare con un piccolo binocolo il promontorio di Gaeta e i windsurf che si dànno battaglia al largo.
Rimango cosí, mezzo nascosto, fino a ora di pranzo per verificare l’organizzazione. Quando arriva il momento inquadro mio figlio e leggo il labiale di una domanda che è abituato a fare a chiunque gli offra del cibo: – È senza?
Gli ho detto mille volte che deve completare la frase: È senza glutine? Ma lui proprio non riesce a capire che gli altri non dividono il mondo come facciamo noi, in con o senza glutine. Lo so che è bravo per la sua età e che mi dovrei accontentare, ma a volte mi sembra lo faccia per provocare. Gli basterebbe un altro piccolo sforzo, un’altra sola parola per essere perfetto.
Ho sentito dire che c’è una cosa dalla quale i portatori della sindrome di Down sono liberi fin dalla nascita: le aspettative paterne. Già questo renderebbe la vita della maggior parte delle persone, se non felice, almeno serena. Mi domando quanto sia vero. Non provano forse anche quei padri a ottenere il massimo dalla progenie confondendo il proprio appagamento con la felicità dei figli? Sempre una complicazione, solo questo ci siamo ridotti a essere noi padri?

2.

Un mese dopo, a metà di una domenica che ho deciso di passare per lo piú a letto, Francesca mi chiede di indovinare chi ha preso una bambina in affido. Sta lavorando al computer, seduta alla scrivania poggiata contro la finestra della nostra camera. Si gira a guardarmi ruotando il busto: – Dài, indovina, – e poi, impaziente, rivela: – Luca Trapanese.
Non è una mia conoscenza diretta, fa parte di quella porzione del mondo-Francesca che non si è fuso con il mio. L’ho incontrato l’ultima volta piú di quattro anni fa, quando lei era incinta e per me lui era il compagno di Eduardo.
Già allora parlavano di avere un figlio e adesso ci sono riusciti, chissà con quante difficoltà.
Quando io e Francesca abbiamo deciso di diventare genitori, abbiamo semplicemente smesso di usare anticoncezionali. Qualche mese dopo Andrea era una realtà della quale potevamo sentire il battito cardiaco. Per questo provo sempre un leggero imbarazzo ogni volta che sento di coppie che tentano inutilmente per anni di fare qualcosa che a noi è riuscito in poco tempo e per giunta divertendoci.
Lo stesso, in quel momento, mi sembra di sentire per Luca e Eduardo: i nostri tre mesi contro i loro quattro anni sono di per sé un’ingiustizia.
Francesca si sfila gli occhiali.
– Forte, vero?
– Sí, è bello che ci siano riusciti. Finalmente.
– Riusciti, chi? Guarda che Luca è single.
Non rimango interdetto, ma lei deve aver pensato di sí e infatti dice: – Perché, c’è qualcosa di male, adesso?
Le spiego che se mi dà il tempo di rifletterci serenamente magari potrei anche rispondere, ma lei reagisce con un «bleah», mentre si rigira tornando al computer e, prima di rituffarsi nello schermo, butta fuori: – Sai cosa se ne fa il mondo della tua serenità?
Viviamo insieme da otto anni e mi rendo sempre piú conto che cominciano a essere un gruzzolo rispettabile. Se invece che anni fossero monete d’oro, inizieremmo a sentirle sotto il materasso: un bozzo che infastidisce quando cerchi la giusta posizione per prendere sonno, ma che è anche rassicurante, perché la cosa piú preziosa che hai è lí, sotto controllo.
Eppure il nostro rapporto riesce sempre a essere fonte di ingiustizie reciproche, abbozzi di processi alle intenzioni o, come in quel caso: processo, sentenza e condanna in appello in una sola battuta, nella quale Francesca ha incarnato in chiave moderna e fulminea le mogli del teatro di Eduardo. Cosí deluse! E ancora di piú: tristi o indignate per la delusione alla quale sono costrette.
O forse sono io a drammatizzare, chiamando delusione quello che è probabile sia solo un lasciar cadere (togliere occasione, dicono i napoletani) perché l’unico modo per far sí che gli otto anni diventino trenta è rinunciare all’idea di voler cambiare l’altro. Metamorfosi che magari stava passando proprio per quel «bleah», che certo è fastidioso, ma sempre meglio di una delle discussioni infinite tipiche dei rapporti giovani.
Francesca indossa una canotta, vedo la linea di intersezione del suo trapezio che guizza perché ha ripreso a digitare.
– Ma non si era parlato di prendere del pesce? – dice.
Frequentavo, prima di conoscere lei, una studentessa di Veterinaria che stentava a laurearsi perché troppo impegnata con il volontariato al canile. Era di quelli che: «Chi non ama gli animali, non ama neanche le persone», e se le capitava di dare della bestia a qualcuno aggiungeva subito: «Senza offesa per gli animali, che sono sempre meglio degli esseri umani».
Voleva a tutti i costi che superassi la mia disaffezione per i cani. Mi sottopose a varie prove tutte fallimentari, ma dalle quali almeno desunse che il mio non era un vero «non amore» ma (alleluia) solo paura. Mi fece giusto la cortesia di non arrivare a dire che la mia era paura di amare.
Come ultima chance che si concesse per insegnarmi ad amare, cominciò un’opera di convincimento affinché adottassi un cucciolo che non mi avrebbe fatto paura e che sarebbe cresciuto insieme alla mia fiducia negli animali, nel prossimo e in definitiva in me stesso.
«Ma che vita farebbe quel cucciolo, con me?» le ripetevo ogni volta che tornava alla carica con l’argomento. Il «cucciolo da amare» sarebbe rimasto chiuso in casa da solo per la maggior parte del tempo, in un appartamento senza neanche un balcone. Per le passeggiate si sarebbe dovuto accontentare di cinque minuti al mattino e di accompagnarmi a buttare la spazzatura di sera.
«Capisco che avere un cane farebbe del bene a me, – dissi l’ultima volta che ne parlammo, – ma non posso essere cosí egoista. Che vita darei a quel cane?»
«Sempre meglio della vita in un canile! – rispose lei incrociando le braccia. – Lo sapevi che si mangiano fra di loro?»
Il suo ragionamento non faceva una piega: anche un padrone difettato, come ero io, poteva andar bene per un cucciolo scartato, abbandonato in un bidone della spazzatura. Mi spiegò che quelli erano i termini in cui dovevo ragionare. E i termini erano cosí chiari da non lasciarmi che due scelte: o andare seduta stante al canile municipale e portarmi a casa il peggio messo tra tutte le bestie in gabbia o dirle che detestavo i cani e i gatti, i criceti, gli uccelli, e pure i pesci rossi mi davano l’idea che impuzzolentissero le case che li ospitavano. Dove lei vedeva un batuffolo coccoloso, io non riuscivo che a scorgere un essere dotato di pelliccia uso a pulirsi i genitali con la lingua. E, anche lei, doveva smetterla di toccarmi la faccia appena tornata dal canile, perché lo sapevo che si faceva leccare le mani.
Non presi nessun cane.
Ancora quella domenica: Francesca dopo un po’ chiude il computer e mi raggiunge a letto. Penso che potremmo fare l’amore prima che la nonna ci riporti Andrea. Mi mostra alcune foto con il telefono, molto belle, di Luca e Alba. In una c’è lui che alza al cielo la piccola e la mostra ai ragazzi di una comunità per disabili nei pressi di Roccamonfina.
Tale e quale alla scena del Re Leone, penso sorridendo.
Mentre faccio scorrere altre fotografie con il pollice, immagino Trapanese camminare lungo i corridoi di un canile-orfanatrofio: gabbie singole e spaziose, luce tutto il giorno, solo per cani di una certa classe. Ma il commesso che lo accompagna gli fa notare che è inutile prendere in considerazione quel settore, perché sono tutti cani sani e di razza. Quindi lo guida nel reparto seconde scelte, poi in quello degli scarti: c’è il cane zoppo, quello con la cataratta, i maltrattati, le razze spurie. Gli dice: «Per uno di questi potrebbe andare bene anche lei. Scelga pure, ma senza fare troppo rumore».
Vengo riportato alla realtà da Francesca che mi dice: – Sei piú sereno, adesso? – con tono sprezzante e sfilandomi il telefono dalle mani. È probabile che il progetto accettiamoci per quello che siamo e facciamo l’amore alla svelta, prima che torni nostro figlio, fosse solo nella mia testa.
Vuole una presa di posizione netta, devo chiarire che sono ancora il liberale uomo di sinistra che ha scelto come padre di suo figlio.
E io, voglio mica deluderla?
Invece di risponderle chiedo: – Quand’è che gli italiani si sono convinti di poter sempre esprimere un’opinione?
Da parte mia so solo di essere un democratico riformista. Sulla questione diritti civili sono da sempre vicino alle posizioni dei radicali. Sono un ateo puro, nel senso che nessuno mi ha detto, da bambino, né che esiste un folcloristico Bambiniello-Gesú pronto a piangere per me né che siamo stati creati da una filosofica entità superiore e inconoscibile. Sono anticlericale, ma non ripudio solo la religione, anche le ideologie e, pure se mi sono trovato spesso alla ricerca di un’identità, non l’ho mai confusa con l’identificazione.
Sono tutto questo, ma in quel momento non mi andava di dichiararlo perché, se è vero che rivendico il diritto di infischiarmene delle opinioni altrui, so altresí che è profondamente ingiusto incatenare la libertà di qualc...

Table of contents