La Maga delle spezie
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La Maga delle spezie

Chitra Banerjee Divakaruni, Federica Oddera

  1. 304 pages
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La Maga delle spezie

Chitra Banerjee Divakaruni, Federica Oddera

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C'è una vecchia signora indiana in una bottega di Oakland, in California. Alla ricerca del sapore piú squisito, o del sortilegio piú sottile, sfiora polveri, semi, foglie, bacche. È Tilo, la Maga delle Spezie, e questo romanzo è la sua storia: dallo sperduto villaggio indiano dove la rapiscono i pirati, fino in America dove la magia delle spezie le permette di aiutare chi si è lasciato l'India alle spalle. E dove i poteri di Tilo finiranno per vacillare sotto l'onda di una passione che la esporrà alle conseguenze piú straordinarie e terribili.
La Maga delle Spezie è una favola di fragranze, di aromi, di isole arcane, di un amore proibito. E, soprattutto, di una magia che si annida nel piú quotidiano, e violento, dei mondi possibili.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2012
ISBN
9788858400364

Peperoncino rosso

La porta di Haroun sembra fragile quanto un guscio sotto la mano. Vuota come una conchiglia abbandonata. Già prima di bussare so che non c’è nessuno.
Dove sarà? L’ho mancato di nuovo? Ma stavolta non sono in ritardo. Forse è impegnato nel namaaz e risponderà solo quando avrà finito.
Aspetto un poco, riprovo. Prima in modo educato e controllato, per rispetto dei vicini. Poi tempesto la porta di colpi col palmo della mano, il secco rumore del legno mi rimbalza nelle ossa, e grido il nome di Haroun.
Lei è dietro di me, in piedi nel vano della porta aperta, nell’alone di luce che la illumina da dietro, e dice dolcemente: «Oggi non è ancora tornato. Perché non entra a bere una tazza di chai bello caldo mentre aspetta?»
Ha occhi grandi e luminosi, laghi al chiaro di luna, zigomi scolpiti nella piú tenera pietra saponaria. Come ho fatto a non accorgermene prima.
Ma dentro di me risuona una domanda impossibile da ignorare. Perché è in ritardo perché proprio oggi.
«Venga khala, ci sono solo io a casa».
«La ringrazio, – dico con le labbra di segatura, – ma devo rimanere qui».
«Mi scusi un minuto, allora».
Torna poco dopo con un bicchiere di acciaio colmo di tè fumante avvolto in un tovagliolo ricamato. Grappoli d’uva violetta, seriche foglie verdi. Nonostante la preoccupazione non posso fare a meno di notare i minuscoli punti precisi.
Bevo il tè. È forte e aromatizzato con chiodi di garofano. Mi dà coraggio, rende l’attesa un poco piú facile.
La donna – si chiama Hameeda – mi domanda se può sedersi qui con me. Ha un po’ di tempo. Shamsur è uscito con Latifa a prendere un regalo per il compleanno della piccola. Le hanno chiesto di accompagnarli, ma lei aveva da studiare. E poi è meglio che siano andati da soli. Shamsur secondo lei compra cose troppo costose alla bambina, e poi finiscono col litigare nel bel mezzo del negozio.
Mi fa piacere la sua compagnia, quel modo di discorrere spontaneo, i movimenti graziosi delle mani mentre parla. La musica liquida dei braccialetti. Dopodomani è il compleanno di Latifa, compie sei anni, faranno una piccola festa, due o tre compagni di scuola, qualche vicino indiano. Anche Haroun, ma lui è molto formale, probabilmente si limiterà a portare un regalo in anticipo. Hameeda dovrà mandare Latifa piú tardi a offrirgli un vassoio con qualche stuzzichino.
«È cosí timido con le donne, mi parla appena. Se ci incontriamo sulle scale mi dice soltanto Salaam alekum e si affretta a scendere, non mi guarda mai negli occhi e neanche aspetta la mia risposta».
Questo è un Haroun nuovo per me.
«Non credo si renda conto di quanto è bello. Chi sa, forse non gliene importa. È sempre un po’ spettinato, con tutti i capelli sulla fronte. Se si curasse solo un po’ di piú, potrebbe...»
Sento un pericolo nelle parole di Hameeda, un rischio che se non viene tenuto sotto controllo potrebbe portare a una rottura in famiglia.
«E a suo marito, – chiedo in tono duro. – Piace anche a lui Haroun?»
«Khala!» Un rossore bollente le imporpora il viso all’idea delle mie supposizioni, ma nella voce risuona anche l’eco di una lieve risata. «Shamsur non è mio marito, è mio fratello».
«E suo marito dov’è allora?»
Abbassa gli occhi. Un velo di dolore le oscura il viso.
Rimpiango di aver parlato, io Tilo, che dovrei saper fare di meglio di una qualsiasi pettegola di paese sempre pronta a pungolare gli altri.
«Mi scusi se gliel’ho domandato, – aggiungo in fretta. – Questo chai è buonissimo. Quali spezie ci ha messo?»
«No no, – dice Hameeda. – Non importa. Mi sento a mio agio a parlarne con lei, non so perché. Il mio ex marito, un anno e mezzo fa in India mi chiese il talaq. Perché non ho avuto figli maschi. E poi aveva in mente un’altra ragazza, piú giovane e piú carina. Il cui padre possedeva una grossa fabbrica di scarpe nella nostra città. Quale combinazione poteva essere piú vantaggiosa?» Per un attimo nella voce si insinua l’amarezza.
«Ma in verità sono piú fortunata di molte altre donne a cui capitano storie come questa, perché ho un fratello cosí bravo. Shamsur, quando viene a sapere cosa sta succedendo, prende un mese di permesso dal lavoro. Un’emergenza in famiglia, spiega. Allora faceva il capo cuoco al Mumtaj Palace. Lo conosce? È un ristorante molto bello, mi ci ha portato a mangiare con Latifa tre o quattro volte. Ad ogni modo viene in India e solleva un gran polverone finché non ottiene un buon accordo per il mio divorzio, mette il denaro in banca a mio nome e poi mi fa avere un visto turistico per venire qui per un po’. Quando arrivo, bahen, mi propone, perché non rimani qui con me e vai a scuola, ti trovi un buon lavoro e cosí stai in piedi da sola. Qui nessuno direbbe niente alla tua Latifa perché suo padre l’ha buttata fuori di casa, nessuno la chiamerà mai bambina della malasorte.
Io mi sento un po’ impaurita da questo paese diverso, ma alla fine acconsento. E ora frequento lezioni gratuite di angrezi per adulti, imparo a leggere e scrivere come gli americani. Forse dopo studierò informatica alla scuola del quartiere, perché no».
«Perché no», confermo, e guardandole il viso luminoso mi si alleggerisce un poco il cuore.
«Lo sa, khala, è vero quello che dicono. Allah aiuta chi fa del bene agli altri. Il principale di Shamsur sta aprendo un ristorante piú grande e cosí ha messo Shamsur a dirigere il primo. Adesso abbiamo abbastanza denaro per trasferirci in un appartamento migliore, ma io gli ho detto bhaijaan, a che ci serve un posto di lusso. Qui, con tanti bravi vicini, va benissimo».
Vedo il rossore salirle su per la gola mentre parla. Involontariamente lo sguardo corre alla porta di Haroun. E con tutto il cuore spero con lei per la felicità di entrambi.
È tardi ormai e fa freddo, al punto che ho perso il conto delle ore. Ho le gambe intorpidite a forza di star seduta su questi gradini di legno. Shamsur e Latifa sono rientrati da parecchio tempo e Hameeda è andata a servire loro la cena. È tornata per offrirmi un po’ di cibo, ma non sono riuscita a inghiottire neanche un boccone: un nodo di paura mi blocca la gola.
Haroun dove sei?
«La prego khala, venga dentro a sedersi sul divano. Si prenderà jukham qui fuori. Lascerò la porta aperta, cosí potrà sentirlo appena tornerà».
«No Hameeda, devo restare qui».
Non le ho rivelato la mia speranza. Che la mia sofferenza serva a proteggere Haroun, sia una specie di espiazione. Ma forse l’ha compreso, perché non ha piú insistito. Ha aggiunto soltanto: «Bussi se ha bisogno di qualcosa. Io ho il sonno leggero».
I suoni della notte, della sua vita nascosta, mi sono familiari. Ma stasera hanno assunto un che di strano, una nitidezza particolare e sinistra. I passi risuonano su un’incudine di fuoco, fracassando i marciapiedi. Le sirene mi trapanano spirali nel cranio. Un urlo (di uomo o di animale?) artiglia l’aria verso di me, un pugnale scagliato per colpire. Perfino le stelle palpitano con un ritmo irregolare, come cuori affannati.
Perciò il calpestio impacciato di qualcuno su per le scale mi si abbatte violento sui timpani, un elefante impazzito che si avventa contro una montagna di sassi. No. Si tratta degli stessi rumori uditi tanto tempo fa, in quell’altra vita lontana, al villaggio: un uomo inciampa in un muretto, gli sfugge la bottiglia dalle mani. Schegge di vetro bruno, la schiuma sibilante, il giallo odore di fermentazione nell’aria della strada, la pozza scura di bagnato.
Haroun. È ubriaco.
La rabbia mista al sollievo mi dà il capogiro, già sto per pronunciare parole di rimprovero: Sai quanto mi sono preoccupata? Guarda che ore sono, vergogna, per questo ho sprecato il mio tempo standomene qui seduta al freddo. Non avrei mai pensato una cosa simile di te, proprio di te, un devoto musulmano. Già col pensiero gli sto preparando un bel caffè amaro coi fondi e tutto, fatto bollire con le mandorle, per dare chiarezza alla mente e al cuore.
Poi spunta dalle scale e lo vedo.
Incrostato sulla fronte, sulla faccia. Rosso vivo come carbonchio.
Il sangue.
Quando busso Hameeda apre la porta con tale rapidità da farmi pensare che fosse anche lei sveglia ad aspettare. Guarda me in faccia, e poi subito alle mie spalle, dove Haroun si è accasciato sul pianerottolo in un fagotto, un mucchio di indumenti smessi. Soffoca un grido, «Allah, no», e corre a prendere un panno e dell’acqua calda. Sveglia il fratello. Piú efficiente di me, sfila le chiavi dalla mano di Haroun. Apre la porta dell’appartamento, e cosí possiamo portare il giovane nella sua ordinata cameretta di scapolo, vuote pareti bianche adorne di due sole immagini da guardare al risveglio. Una frase del Corano in sontuose lettere urdu tutte curve e un’argentea Lamborghini.
O mio Haroun.
«Khala, non c’è tempo per piangere adesso, – mi esorta Hameeda, questa fanciulla sottile tanto piú forte di quanto pensassi. – Gli tenga la testa in questo modo. E bhaijaan, va’ a telefonare per chiedere aiuto».
«All’ospedale?» chiede Shamsur, un uomo un po’ curvo dagli occhi dolci ancora offuscati dal sonno e dallo shock.
«No no, chi sa a quanti altri lo direbbero, polizia-folizia, ogni genere di jhamela. Forse vuole evitare queste complicazioni. Chiama Rahman-saab piuttosto».
Il tempo sembra saltare un passaggio, o sarà la mia mente, perché eccolo già qua Rahman-saab, vivace e azzimato, baffi e una vestaglia di velluto rosso scuro con le pantofole in tinta. Apre una consunta borsa da medico nera, mi spiega che faceva il chirurgo a Lahore, all’ospedale militare, prima di venire qui. «Pensavo di diventare un grande dottore in Amrikah, – commenta mentre esamina abilmente la ferita alla testa già pulita da Hameeda. – Ma le autorità dicono, fai questo esame, e quest’altro e quest’altro, e anche un colloquio. Nell’aula non capisco niente del loro accento americano, tèèn tèèn tuun tuun, e perciò adesso ho un distributore di benzina. Chi può dire se sto meglio o peggio?»
Fa un’iniezione a Haroun, aspetta l’effetto dell’anestetico, pian piano i lamenti si affievoliscono e cessano.
«Ma ancora mi piace il mio vecchio lavoro di medico, perciò quando posso assisto gli amici. E quali-quali * cose vedo, quali-quali cose mi tocca fare! Per fortuna non è un problema comprare illegalmente tutto ciò che mi serve». Sorride ricucendo il taglio, fa ancora un paio di iniezioni, spiega a Hameeda il dosaggio delle pillole da far prendere a Haroun e con discrezione intasca le banconote consegnategli da Shamsur. «Va bene per loro e anche per me, no? Non c’è da preoccuparsi troppo per questo bel giovanotto. Ha avuto una buona kismet stavolta. La prossima chi lo sa. A quanto pare hanno usato una spranga di ferro. Avrebbero potuto spaccargli il cranio come un guscio di lumaca. Chiamatemi se la febbre supera i 39». Continuo a sentire la sua voce lungo le scale mentre dà informazioni a Shamsur sull’andamento della borsa.
Ci siamo solo noi due nella stanza adesso. Hameeda non voleva andar via, ma le ho raccomandato di dormire almeno un po’. «Avrà piú bisogno di lei domattina quando me ne sarò andata», le ho spiegato.
Ha annuito ed è uscita in silenzio, questa ragazza intelligente dagli occhi di cerbiatta, senza fare domande, anche se certamente si chiederà chi sono, perché sono qui. Hameeda che spero saprà guarire la ferita nella vita di Haroun col balsamo di due mani amorevoli.
Ma come riuscirà a proteggerlo.
Appoggio la mano sulla fronte di Haroun, nel desiderio di assorbire il dolore in me, di farlo passare dalla sua pelle alla mia. Ha gli occhi chiusi, dorme o non ha ripreso conoscenza, non so. Il petto si solleva cosí lievemente da costringermi di quando in quando ad avvicinare le dita alle narici per sentire il respiro. Il viso appare pallido e severo tra le bende. Mi hai tradito, sembrano dire le labbra tirate e mute.
Sí, Haroun, ti ho tradito. Io Tilo trattenuta da fragili proibizioni, distratta dai miei desideri personali.
Gli prendo le mani, concentro tutta l’attenzione su di esse.
Dolore, vieni.
Invece è Haroun a battere le palpebre e aprire gli occhi. Per un attimo lo sguardo pieno di panico vaga nella stanza, senza riconoscerla. Ho la bocca piena di cenere, il corpo rigido e bollente nella prigione della pelle. Poi «Ladyjaan», sussurra, con un’espressione cosí felice da spaccarmi il cuore come una melagrana. Senza lasciarmi il tempo di rispondere si assopisce un’altra volta.
Vado alla finestra. Nel lieve chiarore che precede l’alba Dhruva, stella della decisione, mi fissa luccicando.
Stella Dhruva, lo prometto davanti a te: non fallirò di nuovo. Porterò a Haroun ciò che lo può salvare, a qualsiasi costo.
Tiro fuori il pacchetto di cumino tenuto con me tutto il giorno con tanta cura. Ne verso il contenuto sul palmo della mano. Per un attimo guardo i minuscoli semi luccicare alla luce umida delle stelle, poi li spargo sulla città addormentata.
Cumino di nuovo sprecato, come chiederti perdono? Posso dire solo quanto tu già sai. È troppo tardi perché tu metta in atto il tuo potere. C’è soltanto una spezia in grado di aiutare Haroun adesso.
Cosa avreste visto stamattina se foste rimasti ad aspettare davanti alla bottega? Una donna dallo scialle grigio nella cinerea luce dell’alba, curva sotto il peso della sua nuova promessa che va ad aggiungersi a tutto il resto, sensi di colpa e vecchie pene. Stanca. Cosí stanca. Le dita annaspano sulla maniglia, non riescono ad aprire. La paura la invade con il bruciore ardente di un fascio d’ortiche: forse la bottega è decisa a non lasciarla entrare mai piú? Gira il pomolo ancora una volta, si appoggia alla porta con tutto il suo peso. La spinge. E, guarda, si apre senza opporre resistenza, con la subitaneità di un trucco o di uno scherzo maligno, facendole perdere l’equilibrio.
C’è qualcosa di diverso nella stanza, se ne accorge immediatamente. Manca qualcosa, o qualcosa è stato aggiunto, alterando l’equilibrio dell’insieme. Il disagio le punge la gola.
Chi è stato qui e perché.
Poi lo scorge ai propri piedi – come ha fatto a non vederlo subito – col suo lieve splendore fosforescente. L’allume.
Raccoglie il minuscolo cubo di materia e si domanda come mai se ne stia lí tanto piccolo e innocente sul palmo della mano, l’allume che dà la purezza. Ma anche la morte, se è usato male, e lei lo sa bene. O ancora peggio, la vita nella morte, volontà e desideri imprigionati in un corpo divenuto pietra.
Allume phatkiri, quale messaggio mi porti oggi.
Mentre se lo domanda carezza senza scopo la sua liscia superficie. Poi la percepisce, l’immagine in rilievo che le si solleva sotto le dita. E assume una forma inesorabile. E ad un tratto. Non c’è piú aria. Per respirare. La stanza le si stringe addosso come una rete per catturarla. Venature rosso-blu dovunque si volti. O forse sono solo i suoi occhi.
Di nuovo esplora con la mano il piccolo cubo. Una volta, due. Non ci sono errori. È là, nitido come un tuono, chiaro quanto un lampo, il contorno dell’uccello di fuoco visto cosí spesso sull’isola, però adesso è girato al contrario, non si leva in volo dalle fiamme. Vi si getta a capofitto.
«Il fuoco di Shampati mi richiama a sé», bisbiglia la donna, ricordando le lezioni sull’isola. Parla con voce da vecchia, senza speranza. Non c’è modo di negoziare la condanna, lo sa bene. Né di sottrarvisi. Le rimangono solo tre notti.
Chiudo la porta del neg...

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Divakaruni, C. B. (2012). La Maga delle spezie ([edition unavailable]). EINAUDI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3425195/la-maga-delle-spezie-pdf (Original work published 2012)

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Divakaruni, Chitra Banerjee. (2012) 2012. La Maga Delle Spezie. [Edition unavailable]. EINAUDI. https://www.perlego.com/book/3425195/la-maga-delle-spezie-pdf.

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Divakaruni, C. B. (2012) La Maga delle spezie. [edition unavailable]. EINAUDI. Available at: https://www.perlego.com/book/3425195/la-maga-delle-spezie-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Divakaruni, Chitra Banerjee. La Maga Delle Spezie. [edition unavailable]. EINAUDI, 2012. Web. 15 Oct. 2022.