Anna Karenina
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Anna Karenina

Lev Tolstoj, Claudia Zonghetti

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Anna Karenina

Lev Tolstoj, Claudia Zonghetti

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Una storia travolgente di grande passione e trasgressione, di sguardi incrociati, voti traditi, drammi coniugali, slanci romantici, ideali infranti, verità ultime.
A oltre settant'anni dalla storica edizione di Leone Ginzburg, che ha fatto conoscere Anna Karenina a generazioni di lettori, il capolavoro di Tolstoj viene ora pubblicato nella traduzione di Claudia Zonghetti.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2017
ISBN
9788858425718
Subtopic
Classici

Parte seconda

1.

Sul finire dell’inverno a casa Ščerbackij si tenne un consulto di medici inteso a chiarire lo stato di salute di Kitty e a decidere che fare per restituirle quelle forze che andava smarrendo. Kitty non stava bene, e con l’approssimarsi della primavera la sua salute era finanche peggiorata. Il medico di famiglia le aveva prescritto dell’olio di ricino, poi del ferro, poi ancora del nitrato d’argento, ma poiché né il primo né il secondo né il terzo erano serviti a granché e il consiglio successivo era stato – con la buona stagione – di portarla all’estero, fu deciso di interpellare un luminare. Costui – un gran bell’uomo d’età tutt’altro che veneranda – pretese di visitarla. Il pudore virginale altro non è che un retaggio barbaro, insistette con grande compiacimento, e nulla può esservi di piú naturale di un medico nel fiore degli anni che palpi una giovinetta svestita, disse. Ed era talmente naturale, aggiunse, che si trovava a farlo ogni giorno e mai gli era capitato di indulgere in cattivi pensieri. O almeno cosí gli pareva. Oltre a essere un barbaro retaggio, dunque – e qui concluse – il pudore era da ritenersi un insulto alla sua persona.
Dovettero rassegnarsi. Sebbene tutti i dottori avessero studiato sugli stessi manuali e avessero appreso la stessa medicina, e sebbene ci fosse chi sosteneva apertamente che il luminare in questione come medico era un cane, per un qualche motivo in casa della principessa e nel suo entourage si credeva che solo lui possedesse le particolari competenze che avrebbero potuto salvare Kitty. Dopo una visita accurata con tanto di picchiettii sparsi per il corpo dell’inferma sconcertata per la vergogna, il luminare si lavò con cura le mani e passò in salotto per conferire con il principe. Questi lo ascoltò torvo, tossicchiando nervosamente. Dall’alto della sua età, di una salute di ferro e di un’intelligenza vivace, il principe non credeva alla medicina e in cuor suo sdegnava la commedia alla quale aveva appena assistito, tanto piú che era forse l’unico ad avere compreso la vera ragione dei malanni di Kitty. «Quanto pispola, questo!» pensò, ripescando quel termine dal lessico venatorio e applicandolo al chiacchiericcio del luminare riguardo ai sintomi della figlia. Dal canto suo il dottore tratteneva a stento un ghigno di disprezzo per quel vecchio signore e a stento si rassegnava a scendere al suo livello – infimo – di comprensione. Parlare con lui era inutile, del resto, giacché il vero capofamiglia era la moglie. Ed era a lei che il luminare contava di elargire le sue perle. Quando la principessa si presentò in salotto con il medico di famiglia, il principe si fece da parte, cercando di non dare a intendere agli astanti quanto ridicola fosse per lui quella pantomima. La principessa era profondamente angustiata e non sapeva che fare. Sentiva di avere le sue colpe, con Kitty.
– Ebbene, dottore, che ne sarà di noi? – chiese la principessa. – Ditemi tutto.
«C’è speranza?» avrebbe voluto aggiungere, ma le sue labbra presero a tremare, impedendole di pronunciare la domanda.
– Ebbene?
– Un istante, principessa. Lasciate che conferisca con il collega. Tengo per dopo il grande piacere di esporvi il mio responso.
– Desiderate stare soli?
– Come meglio credete.
La principessa diede un sospiro e uscí.
Una volta soli, il medico di Kitty espose timidamente al collega la sua diagnosi, che di fatto si riduceva a un principio di tubercolosi da curarsi, a suo dire, con… Il luminare pareva ascoltarlo; sul piú bello, tuttavia, si chinò a guardare il suo enorme orologio d’oro.
– Già… – disse. – Eppure…
L’altro si zittí ossequiosamente.
– Come ben sapete non c’è modo di determinare l’effettiva presenza di un principio tubercolotico. Nulla è certo, prima dell’insorgere delle caverne. Il sospetto, tuttavia, è senz’altro lecito. Non mancano i sintomi, del resto: deperimento, nevrosi e via discorrendo. La questione che si pone è la seguente: ipotizzando un principio di tubercolosi, com’è bene intervenire sull’alimentazione per migliorarla?
– Come certo saprete, tuttavia, casi simili celano spesso ragioni psicologiche ed emotive, – si permise di rilevare il medico di famiglia con un sorrisetto ironico.
– Va da sé, che diamine! – rispose il luminare, e tornò a guardare l’orologio. – Perdonerete la domanda, ma sapete se il ponte sulla Jauza è agibile o se è necessario fare il giro? – chiese. – È agibile, dite? In tal caso mi basteranno venti minuti. Dicevamo, dunque, che si tratterà di irrobustire l’alimentazione e di sedare i nervi. L’una cosa dipende dall’altra, dunque c’è da agire sui due fronti.
– Quanto al viaggio all’estero? – chiese l’altro medico.
– Sono fermamente contrario. Del resto, ne converrete, con un principio di tubercolosi ancora latente, un viaggio non sarebbe d’alcun aiuto. Serve qualcosa che sostenga l’organismo senza nuocergli.
E il luminare gli parlò di una cura a base di acqua di Soden, che – con ogni evidenza – intendeva prescrivere all’inferma proprio perché presentava il grande vantaggio di essere priva di controindicazioni.
Il collega lo ascoltò con grande attenzione e rispetto.
– Mi permetto di insistere. Il viaggio all’estero implicherebbe un mutamento d’abitudini nonché l’allontanamento da quanto può indurre al ricordo. È un vantaggio. La madre, inoltre, pare tenerci molto, – aggiunse.
– Nel qual caso, che vadano. Però quei ciarlatani di tedeschi sanno solo far danno. Partano pure, ma che si attengano rigorosamente alle mie prescrizioni.
E consultò l’orologio per l’ennesima volta.
– È tempo che vada! – concluse, e si diresse alla porta.
A quel punto (e come convenienza suggeriva) il luminare annunciò alla principessa che intendeva rivedere la malata.
– Come come? La visiterete di nuovo? – si spaventò costei.
– No no. Ho solo bisogno di alcuni chiarimenti, principessa.
– Ebbene, favorite.
Scortata dal dottore, la principessa madre passò in salotto. Smagrita, ancora rossa di vergogna e con uno strano lampo nello sguardo per l’onta subita, Kitty era in piedi in mezzo alla stanza. Alla vista del dottore avvampò di nuovo e i suoi occhi si riempirono di lacrime. La malattia, le cure, erano una cosa sciocca per non dire ridicola. Ridicola, pensava Kitty, quanto rimettere insieme i cocci di un vaso rotto. Di rotto, di spezzato lei aveva il cuore, e quelli pretendevano di guarirla a furia di pillole e polverine.
Tuttavia, non poteva pensare di ferire la madre, che sentiva di avere la sua parte di colpa.
– Accomodatevi, principessina, vi prego, – disse il luminare, che prese posto di fronte a lei, sorridente, le misurò il battito e ricominciò con le sue domande oziose. Kitty rispose alle prime, ma a un certo punto si alzò, sdegnata.
– Mi scuserete, dottore, ma tutto questo non serve a nulla. Tanto piú che mi state chiedendo le stesse cose per la terza volta.
Il luminare non parve offeso.
– Una brutta nevrosi, – disse alla principessa quando Kitty ebbe lasciato la stanza. – Ma avevo comunque terminato…
La principessa si sentí esporre la diagnosi con grande dispendio di termini scientifici, quasi che il luminare ritenesse d’avere di fronte una donna dall’intelligenza superiore; seguirono, poi, precise istruzioni e raccomandazioni su come bere le inutilissime acque che aveva loro prescritto. Quando si sentí chiedere del viaggio all’estero, il dottore finse di fermarsi a riflettere su una questione che mostrava d’essere assai complessa. Il responso fu poi elargito: andassero pure, ma che non prestassero fede a eventuali ciarlatani e facessero capo sempre e soltanto a lui.
La sua dipartita scatenò una certa allegria. Allegra era la madre quando tornò dalla figlia, e allegra fingeva d’essere anche Kitty. Che del resto ormai fingeva spesso, se non sempre.
– Vi assicuro che sto bene, maman. Tuttavia, se desiderate partire partiremo, – disse e finse, ancora, d’interessarsi al viaggio e di informarsi riguardo ai preparativi.

2.

Il dottore se ne andò e arrivò Dolly. Sapeva del consulto di quel giorno e, sebbene si fosse appena rimessa dal parto (sul finire dell’inverno aveva dato alla luce una bambina) e già potesse contare su un discreto bagaglio di dolori e preoccupazioni tutte sue, aveva affidato ad altri la neonata e un’altra figlia indisposta per passare da casa e informarsi su quant’era stato deciso per Kitty.
– Dunque? – chiese, facendo il suo ingresso in salotto senza nemmeno togliersi il cappellino. – Vi vedo allegre. Tutto bene, dunque?
Provarono a riferirle che cosa aveva detto il dottore, ma le spiegazioni erano state talmente lunghe e faconde, che non c’era modo di riassumerle. L’unico punto fermo era che sarebbero partite.
A Dolly scappò un sospiro. La sua amica piú cara, sua sorella, se ne sarebbe andata per qualche tempo.
Neanche la sua vita era rose e fiori. Lei e il marito si erano riappacificati, ma i loro rapporti erano una continua umiliazione. La saldatura di Anna era risultata poco stagna, e l’armonia familiare si era incrinata – di nuovo – nel medesimo punto. Non che fosse accaduto chissà che, ma Stiva non era mai a casa, a casa non c’erano mai soldi e Dolly era tormentata dal sospetto di nuove infedeltà, che però scacciava temendo di ricadere nel supplizio della gelosia. Il primo attacco era acqua passata, ormai, e non si sarebbe piú ripresentato tale e quale. L’eventuale scoperta di un nuovo tradimento non avrebbe di certo sortito lo stesso effetto. L’avrebbe, al massimo, privata delle sue consuetudini. Dunque Dolly sopportava l’inganno e disprezzava il marito e soprattutto se stessa per tanta fragilità. La sua numerosa famiglia, inoltre, non le risparmiava preoccupazioni: l’allattamento dell’ultima nata non procedeva come avrebbe dovuto, la balia se n’era andata e c’era sempre qualche bambino ammalato. Come quel giorno, per esempio.
– I tuoi come stanno? – le chiese la madre.
Maman cara, avete già le vostre preoccupazioni. Lilly non è in salute, e temo si tratti di scarlattina. Sono passata per sapere di Kitty, perché se Dio non voglia fosse davvero ciò che temo, non potrò piú uscire di casa.
Poiché il luminare se n’era andato, il vecchio principe si decise a lasciare lo studio; porse la guancia a Dolly, scambiò qualche parola con lei, dopo di che si rivolse alla moglie:
– Che avete deciso, dunque? Partite? E di me che ne sarà?
– Credo che faresti meglio a restare, – disse la moglie.
– Come desiderate.
– Perché non dovrebbe venire con noi, maman? – obiettò Kitty. – Insieme ci divertiremo tutti di piú!
Il vecchio principe le si avvicinò e le accarezzò la testa; la figlia alzò gli occhi e lo fissò, sforzandosi di sorridere. Si parlavano poco, lei e il padre, ma Kitty aveva sempre creduto che lui la capisse meglio di chiunque altro della famiglia. Da ultimogenita, era la prediletta del principe, che il grande affetto rendeva perspicace. Anche ora, incrociandone gli occhi azzurri e buoni che la fissavano convinti da quel viso coperto di rughe, a Kitty sembrò che leggessero dentro il suo cuore e ne comprendessero le sofferenze. Arrossí, Kitty, e si protese verso di lui in attesa di un bacio, ma il padre si limitò a scompigliarle i capelli.
– Stupidi toupet! – disse. – Uno vorrebbe accarezzare la figlia e si ritrova fra le mani i capelli di una qualche vecchia defunta! Quanto a te, Dolly cara, – aggiunse rivolto alla maggiore, – che cosa combina quel campione che hai per casa?
– Nulla, papà, – rispose Dolly, comprendendo che il padre aveva in mente il marito. – È sempre via, non lo vedo quasi mai, – non poté fare a meno di aggiungere con un sorrisetto caustico.
– E il bosco? Non è ancora andato a venderlo, il bosco?
– Non ancora. Ma dice sempre che lo farà.
– Capisco, – commentò il principe. – Faccio anch’io i bagagli, dunque? Obbedisco! – disse alla moglie, sedendosi. – Quanto a te, Katja mia, – aggiunse rivolto a Kitty, – un bel giorno ti sveglierai e dirai a te stessa che sei sana come un pesce, allegra, felice e con una gran voglia di riprendere le nostre passeggiate mattutine al freddo e al gelo. Giusto?
Le frasi del padre parevano inoffensive, ma Kitty si sentí in imbarazzo come un ladro colto in flagrante. «Sa tutto e tutto comprende. Sa che me ne vergogno, ma vuole anche che io capisca che alla vergogna si può e si deve sopravvivere». Non ebbe, però, la prontezza di spirito di rispondergli a tono. Fece per aprire bocca, ma scoppiò a piangere e scappò via.
– Tu e le tue battute! – lo accusò pronta la moglie. – Non cambi mai… – e attaccò con la sua reprimenda.
Il principe si sorbí in silenzio, ma sempre piú scuro in volto, la lavata...

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