A mio fratello
Entro nella stanza
dove dormi male,
entri nella stanza
dove dormo male,
la tua acuminata tenerezza
la mia
acuminata tenerezza,
la nostra
follia che non fa rumore.
Tu terra bruciata
e taglio
spalle girate e voltafaccia
tu cappotto di piombo
e gamba mitragliata
soldato armato ferito
casa carbonizzata
tu opaco e luce gettata,
in gola. Il tuo corpo
è la veritĂ
la cronaca in diretta
del danno
che ci vive. Rifugiato
in cima alla sedia
ingurgiti bocconi
come formule
di scontrosa preghiera
via di scampo sconsolata e neutrale.
Ti copro il mondo di parole
disegno frontiere di posate
pattuglie di bicchieri
barricate di tegami
a saccheggio delle ore.
Sto nel tuo fumo,
tuffata,
a fondo.
Smontate le tele i fili
le reti i raggi
adatti alla cattura,
sto senza riparo
nel pieno
di un amore a raffica,
lâamore che câè.
NĂŠ caccia nĂŠ schiusa
nĂŠ cambio di pelle
nĂŠ metamorfosi:
la linea di fumo
della tua incorruttibile sigaretta
(le sorrido)
è la linea del futuro,
morbida trasparenza,
evidenza che siamo,
tutti.
Io ti converto in fame
mio silenzio accattone,
in bocconi di pane sul davanzale
per rotte spezzate,
in pronto soccorso
per frantumi di voli
sopra i banchi delle elementari.
Ti converto in altro silenzio
â sovrano silenzio â
mio urlo sognato
in faccia a una faccia,
mio demone cattivo del bene,
passione scuoiata,
mani e occhi
che si toccano e non
si valicano
come passanti di cittĂ diverse,
no, si stringono per non
lasciarsi per non
smettere di tenersi.
Ti tengo, nello sguardo dellâanima
come la fiaba il lupo,
come un mezzogiorno piovoso
la casa vuota
il cibo sul fuoco,
allora amore
sei un bambino
che spegne la candela
fffĂş, in un soffio,
solo.
ad A.F.
Ci provo a portarti in me,
nel mio pericolo,
nella mia impresa
di insensata emergenza.
Vedi, tutto può crollare,
qui. Le facce come le case,
sono cinema, sono cenere.
Ma ti tengo stretta
come polvere con cielo,
consegno le nostre due
trasparenze allâaria calda
del dopo terremoto,
alle macerie che fumano quiete,
alla quiete di quando hai perso,
tutto. Sei chicco dâuva
di vigna grande,
sorriso
che abbandona adagio adagio,
ti tengo
sul palmo della mano
con delicata forza,
ti sostengo fino al cielo,
fino a casa.
ÂŤNel mondo ci sono i suoniÂť.
Ah sĂ?
E qualcosa li accoglie
e li abbandona?
Vie di mare,
perdute e abissali.
Lâuniverso non ha un centro,
ma per abbracciarsi si fa cosĂ:
ci si avvicina lentamente
eppure senza motivo apparente,
poi allargando le braccia,
si mostra il disarmo delle ali,
e infine si svanisce,
insieme,
nello spazio di caritĂ
tra te
e lâaltro.
Dietro le facciate, adesso,
appaiono nuvole altissime bianche,
non sembrano affatto cittadine,
ma soffi divini zitti zitti,
rivestono i tetti di supremi messaggi,
gesticolata bellezza.
Intanto tu non so dove sei
ma sei,
buccia tesa che cammina
disperatamente sbocciata,
interamente esposta
allâaccecante stagione.
E io millimetro per millimetro
ti dedico tutto.
Tua casa.
Dopo di te
sono spopolata,
una nuvola senza popolo delle nuvole,
unâanima senza angoli,
spazzata da vento impetuoso.
Un nòcciolo senza frutto.
Respiro forte
sotto cielo duro.
Sovraesposta
e schiusa,
mi aggiro appena nata
per la cittĂ fragorosa
e tocco muri con dita vegetali,
li conto,
come prove numeriche
di essere al mondo,
lo stesso mondo.
Dunque, per ascoltare
avvicina allâorecchio
la conchiglia della mano
che ti trasmetta le linee sonore
del passato, le morbide voci
e quelle ghiacciate,
e la colonna audace del futuro,
fino alla sabbia lenta
del presente, allora prediligi
il silenzio che segue la nota
e la rende sconosciuta
e lesta nello sfuggire
ogni via domestica del senso.
Accosta allâorecchio il vuoto
fecondo della mano,
vuoto con vuoto.
Ripiega i pensieri
fino a riceverle in pieno
petto risonante
le parole in boccio.
Per ascoltare bisogna aver fame
e anche sete,
sete che sia tuttâuno col deserto,
fame che è pezzetto di pane in tasca
e briciole per chiamare i voli,
perchÊ è in volo che arriva il senso
e non rifacendo il cammino a ritroso,
visto che il sentiero,
anche quando è il medesimo,
non è mai lo stesso
dellâandata.
Dunque, abbraccia le parole
come fanno le rondini col cielo,
tuffandosi, aperte allâinfinito,
abisso del senso.
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