Io sono il castigo
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Io sono il castigo

Un caso per Manrico Spinori

Giancarlo De Cataldo

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Io sono il castigo

Un caso per Manrico Spinori

Giancarlo De Cataldo

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Un tipo eccentrico, cosí viene definito da chi lo conosce, il Pm Manrico Spinori della Rocca, Rick per gli amici, gentiluomo di antiche origini nobiliari, affascinante, un po' donnaiolo e con una madre ludopatica. Ma anche i piú scettici devono fare i conti con la statistica: nel suo mestiere è bravissimo. In piú non perde mai la calma, cosa che gli torna utilissima quando si trova a indagare sulla morte di Ciuffo d'oro, famoso cantante pop degli anni Sessanta poi diventato potente guru dell'industria discografica. Subito era parso un incidente stradale, ma non è cosí: qualcuno lo ha ucciso. Del resto, alla vittima, i nemici non mancavano, per il movente c'è solo da scegliere. Rick, coadiuvato dalla sua squadra investigativa tutta al femminile, si mette dunque al lavoro. E fra serate musicali, vagabondaggi in una Roma barocca e popolana, cene grottesche con aristocratici incartapecoriti, arriverà ancora una volta alla soluzione del mistero.Il secondo atto si spense nel silenzio. Finalmente partí l'applauso. L'uomo dai capelli grigi si alzò e si diresse verso il foyer per un calice di vino. In quel momento gli vibrò il cellulare. Lesse il messaggio, sospirò, e scuotendo la testa uscí dall'edificio, avviandosi al vicino parcheggio di taxi. Il suo nome era Manrico Spinori, sostituto procuratore della Repubblica in Roma. Quel mercoledí era di turno ed era stato convocato in ben altro teatro.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2020
ISBN
9788858434031

XLVI.

Una pioggerellina fitta cadeva sul piccolo cimitero di Monteampio. Nel piazzale davanti all’unico ingresso, poco piú di un’apertura scavata in una parete bianca e disadorna, era parcheggiata una Up grigia. Protetto da una cerata, un arabo di mezza età aveva disposto sul pianale di un furgone qualche pianta e la consueta attrezzatura di luminarie che scandisce la coreografia della pietà per i defunti. Manrico rabbrividiva nel cappotto blu scuro. Era senza ombrello, protetto da un Borsalino modello Marengo Fedora che era appartenuto a suo padre (ma lui, Manrico, lo indossava con maggior disinvoltura). Comperò un mazzo di fiori di campo lasciando un euro di mancia e si avviò.
Potesse questa pioggia lavare via il senso di malessere. E la pietà. Soprattutto la maledetta pietà. Trovò Mangili dentro una piccola cappella senza insegna. Stava passando il mocho sul pavimento di marmo screziato. Manrico entrò. Si tolse il cappello e rivolse all’altro un lieve cenno di saluto. Mangili non sembrò far caso alla sua presenza. Da una delle pareti spuntava una mensola coperta di piante e fiori freschi. Una foto a colori di formato ovale mostrava il volto sorridente di una ragazza dai capelli biondi. Barbara Mangili, 1985-2010. La ragazza della fotografia che aveva visto la sera prima, mentre ascoltava Rigoletto. Il Pm posò una mano sulla spalla dell’uomo, sempre chino sul suo mocho.
– L’ha fatto per lei, vero, Mangili?
Mangili si raddrizzò, con un sorriso gentile.
– Vengo qui ogni giorno. Cambio l’acqua ai fiori, bado che ce ne siano sempre di freschi, tengo in ordine. Sa, non ho nessuno, sono solo, e quindi devo pensare a tutto io. Mia moglie se n’è andata troppo presto.
– Ma non è qui, non la vedo.
– Lei era di Genova. C’è una sorella, l’ha portata su, se ne occupa lei. Ma non ci vediamo da anni.
– Mangili…
– Apprezzo che sia venuto a trovarla, giudice. La mia Barbara. Ha visto com’era carina?
– Vorrei raccontarle una storia, se me lo permette.
– Può farmi una cortesia? – Mangili gli porse un annaffiatoio di plastica rossa. – Là dietro c’è una fontanella. Le dispiacerebbe prendermi un po’ d’acqua? Grazie.
Non seppe dirgli di no. Individuò la fontana. Qualche idiota in vena di scherzi aveva occluso il rubinetto con una gomma da masticare. Con un po’ di fatica riuscí a liberare l’ugello. Riempí l’annaffiatoio e lo riportò nella piccola cappella. Mangili, con uno straccetto immacolato, lustrava la foto ovale.
– Fin dall’inizio, – cominciò Manrico, – c’era qualcosa che stonava, in questa storia. E quando dico stonare, signor Mangili, dico una cosa molto precisa. Faccio riferimento alla mia ossessione per la musica. Per l’opera lirica, a essere esatti.
– Io al massimo sento Sanremo, – mormorò l’altro, sempre gentile, pacato, – non sono uno che ha studiato.
– Non è una colpa, mi creda.
– Grazie.
– La colpa, semmai, è quella di scambiare la vendetta per giustizia. So che possono apparire due concetti molto simili, in realtà c’è una grande differenza fra l’una e l’altra. Ma se avrà pazienza di ascoltarmi, ci arriveremo.
– Ho tutto il tempo che crede, giudice. E poi a Barbara un po’ di compagnia fa piacere.
Un frullare di ali li distrasse per un istante. Un uccello, forse un passerotto, era penetrato nella cappella. Mangili sorrise. La bestiola fece un giro di perlustrazione e riconquistò la libertà.
– Le motivazioni, Mangili, le motivazioni. La causale. Il movente. La vedova, il figlio, la giovane amante, il cantante frustrato… tutti avevano un motivo per avercela con Ciuffo d’Oro. Ma erano motivi sordidi, gretti, meschini. Motivi che si addicevano a gente sordida, gretta, meschina come loro. Un delitto di oggi, a prima vista. Gretto, meschino, sordido come i tempi che stiamo vivendo. Ma per arrivare a scoprire tutta questa lordura è stato necessario sgretolare quell’involucro di perbenismo che la vittima aveva edificato per sé stessa. Si mostrava rassicurante, un padre di famiglia, ed era un seduttore. Animava campagne antidroga ed era un tossico. Manipolava. La sua vita si è rivelata un trompe-l’oeil, e perché non avrebbe dovuto esserlo anche la sua morte?
– Forse non capisco tutto quello che mi sta dicendo, dottore.
Mangili si sfregava le mani. Come se avesse freddo. O fosse in preda a un nervosismo difficile da controllare.
– Oh, no, io credo che lei il senso lo comprenda benissimo. Forse le sfugge qualche vocabolo, ma non ci faccia caso. Inganno. Voglio dire che si è trattato di un inganno, di una maschera. Sono affiorate motivazioni miserabili, e invece il motivo vero era nobile, alto. Aveva a che vedere col dolore per una perdita irreparabile. Con l’incapacità di rassegnarsi a questa perdita. Sto parlando della perdita di una figlia, la tragedia peggiore che possa abbattersi su un padre. Sto parlando di lei, Mangili, di lei e di Barbara. E dire che la verità era stata sotto i miei occhi sin dal primo momento! Quando sono venuto a cercarla a casa e lei…
– Io?
– Lei ha tirato fuori il telefonino che aveva appena comperato. L’ha tirato fuori da quella borsa di juta, quella con il cane ricamato… Lei ha segato quel tubo, Mangili. Lei ha ucciso Ciuffo d’Oro.
– La mia bambina è sensibile, dottore, – protestò l’uomo, – abbassi la voce. E se deve dire altre cose che possono turbarla, usciamo, la prego.
Mangili delirava? Manrico si accostò alla foto. La ragazza sorrideva, un alito di vento le aveva scomposto i capelli, gli occhi erano ridenti. Non un ritratto in posa, dunque, un’istantanea. Chissà quanti anni aveva, allora. Chissà quanto ancora prima della deriva e della morte. No. Mangili non delirava. Ma era come certi attori che, a furia di recitare la stessa parte, finiscono per immedesimarsi a tal punto nel personaggio da perdere il contatto con la realtà.
– Posso andarmene, se vuole. Possiamo riprendere questa conversazione domani, nel mio ufficio.
– No, no, solo le chiedo un po’ di… non vorrei che Barbara si agitasse troppo, ecco.
Manrico sospirò. E decise di stare al gioco.
– Vede, Mangili, il grande problema di questo omicidio è che avevamo vari sospettati, ma a tutti mancava qualcosa. Il figlio e la moglie avevano il movente, ma come dimostrare che proprio loro avevano impugnato lo strumento omicida…
– Non capisco di cosa stia parlando.
Manrico annuĂ­. Non era pronto. Non ancora. Forse, non lo sarebbe stato mai. E forse con uno come lui certi trabocchetti da camera di sicurezza non attaccavano.
– Vediamo. Il fidanzatino di Cetty Paternò è uscito di scena perché è l’unico ad avere un alibi certo. Il trapper, Morte a Credito, ha il movente e si trova sicuramente nei pressi del luogo del delitto, e per giunta si fa beccare a preannunciare le modalità del delitto stesso. Va bene, è un minus habens conclamato, ma è davvero cosí idiota da firmare in modo cosí clamoroso l’omicidio? D’altro canto, come assassino è sorretto da una narrazione convincente. È brutto e ostile, e appartiene allo stesso mondo del morto. Salva la famiglia, perché sposta il movente lontano dal sacro focolare, e questo piace molto a noi italiani. Morte a Credito è il colpevole ideale. Formula una minaccia esplicita e la mette in atto. In quella minaccia è descritto persino il sistema in cui attuarla: tagliando i freni della macchina. C’è una sola persona con cui Ciuffo d’Oro ne ha parlato: il suo manager, Cuffari, ma quello se ne sta zitto, perché è manager anche di Morte a Credito. Dunque, non sapremmo della minaccia se non ce lo dicesse Pinocchietto, pusher e ricattatore. Però… però. Arrivo a credere che Ciuffo d’Oro non abbia raccontato la minaccia alla moglie o alla figlia, ma a lei, Mangili? Possibile che non ne abbia parlato con lei, la persona in cui riponeva piú fiducia?
– Non esageriamo. Ero un suo dipendente, dottore.
A pensarci bene, era la prima volta che Mangili non si nascondeva dietro la figlia, ma affrontava direttamente la questione. Si era dunque aperta una piccola breccia. Era ora di allargarla.
– Ammettiamo che Ciuffo d’Oro le abbia detto: Gilberto… Gerry… è stato lei a dirmi che a volte la chiamava cosí, vero?
– Sí, l’ho detto, ma questo non significa…
– Ma certo, non significa niente. Se non confidenza. Un’elevata forma di confidenza. E questo ha un peso, mi creda. Lei emerge da questa vicenda come l’unico di cui la vittima si fidava. Non aveva costruito un gran che, in termini esistenziali, povero Ciuffo d’Oro.
L’impressione era che alla parola «povero» Mangili si fosse lasciato scappare un sorrisetto sbilenco, una smorfia amara. Ma poteva trattarsi solo di un moto istintivo dovuto alla tensione. Dopo tutto, si era appena sentito accusare di omicidio.
– Ammettiamo dunque che le abbia detto: mi hanno minacciato di morte. C’è un bastardo che vuole sabotarmi la macchina… chi fosse in possesso di questa informazione, e decidesse di passare dalla minaccia all’azione, sí, insomma, se lei avesse voluto uccidere Ciuffo d’Oro le sarebbe stato semplice, a quel punto: manometteva i freni, lo ammazzava, e dopo poteva puntare il dito accusatore contro Morte a Credito. D’altronde, chi avrebbe mai dubitato del mite, onesto, affettuoso, devoto Mangili? Eppure, aveva il tempo, l’occasione, il mezzo per agire…
– Perché avrei dovuto farlo?
– E infatti mancava il movente.
L’omino depose un bacio sulla foto della figlia, sussurrò un «ora papà deve andare, cara» ed estrasse un mazzo di chiavi dal logoro giubbetto.
– Se non le dispiace, dottore, ho un colloquio di lavoro.
– L’accompagno alla macchina, Mangili.
– Come vuole.
Uscirono all’aria aperta. Manrico continuava a rigirarsi il Borsalino fra le mani. Aveva smesso di piovere. Il passerotto che poco prima era entrato nella cappella era stato raggiunto dalla compagna. I due uccellini zampettavano sulla rada aiola che fronteggiava l’ingresso dell’edificio. Mangili pescò nelle tasche un biscotto e lo sbriciolò.
– Devono mangiare anche loro, no, dottore? – Lo aveva detto quasi scusandosi. Ma non fingeva. Ormai quell’uomo era oltre ogni finzione e ogni verità.
– L’omicidio è un punto di non ritorno, Mangili. Una soglia che demarca per sempre un prima e un dopo. Lo è per i boss della mafia, si figuri per una persona normale come lei. O come me.
– Lei, dottore? Non ce la vedo come assassino!
– E io non vedevo lei finché non ho capito che aveva un movente.
– Quale sarebbe questo movente, dottore?
– Andiamo, Mangili, l’avevamo davanti un momento fa. Sua figlia.
L’uomo fece cenno di no. Manrico però era pronto a giurarlo: aveva cambiato espressione, era colpito, e perplesso. Come se dentro di lui si stesse combattendo un’aspra battaglia.
– Mia figlia è morta in un incidente.
– Sua figlia è stata investita da un automobilista pirata la sera del 27 agosto del 2010. Aveva appena lasciato, di notte, la comunità terapeutica La Lucerna nella Sera, dove era ospite da quattro mesi per disintossicarsi dall’abuso di cocaina ed eroina.
– Sono stato io a dirglielo. Non è mica un segreto.
– Certo. Il punto è un altro. Chi aveva iniziato sua figlia alle droghe?
– Le amicizie sbagliate, dottore.
– Un’amicizia sbagliata. Una sola. Ciuffo d’Oro. Lei, suo padre, lavorava per lui. Barbara aspirava a fare la cantante. Aveva una bella voce. ...

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