Tre passi per un delitto
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Tre passi per un delitto

Giancarlo De Cataldo, Maurizio de Giovanni, Cristina Cassar Scalia

  1. 200 pages
  2. Italian
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Tre passi per un delitto

Giancarlo De Cataldo, Maurizio de Giovanni, Cristina Cassar Scalia

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Una giovane bellissima, che lavora nel mondo dell'arte, viene uccisa nel proprio appartamento a Roma. Tre personaggi coinvolti per ragioni diverse nell'omicidio forniscono la loro interpretazione dei fatti. Chi nasconde la verità. Chi la manipola. Chi sembra non curarsene. Il commissario Davide Brandi è un poliziotto molto abile, e molto ambizioso. È lui che conduce le indagini. A dargli la parola è GIANCARLO DE CATALDO.
Marco Valerio Guerra è l'amante della vittima. Un uomo d'affari ricchissimo, potente, odiato. A dargli la parola è MAURIZIO DE GIOVANNI. Anna Carla Santucci è la moglie di Guerra. Scoprire il tradimento del marito non l'ha stupita affatto. A darle la parola è CRISTINA CASSAR SCALIA.Le loro versioni non concordano. Ma tutte rappresentano un piccolo passo per arrivare alla soluzione del caso.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2020
ISBN
9788858433324
1.

Il commissario Brandi

Al centro di una parete spoglia, tinteggiata di un vivido giallo, c’è un grande quadro. Il fondo è di un verde raggrumato, a suggerire un’intenzione di marcio. Sul lato sinistro è raffigurata una bambina che sta per accendere un fiammifero. Indossa una tutina rossa che fa risaltare i corti capelli biondi. Tutt’intorno, il cielo nero di una cupa notte metropolitana: questo, almeno, dovrebbero raffigurare le sagome di palazzoni senza finestre dalle cuspidi irrealistiche che sfumano nell’oscurità. All’estremità opposta, sulla destra, una gamba sollevata, come di una figura in movimento. Pantaloni scuri e una scarpa bianca con lacci neri, di foggia antiquata. Incongrua. Minacciosa. I tratti del dipinto sono netti e squadrati, geometrici, rudi. Manifestano un che di matematico e di astratto. È parte di una storia, quella raffigurazione, ma il senso mi sfugge. Non riesco a staccare lo sguardo dagli occhi, sgranati e immensi, della bambina. Che cosa cercava di comunicare, l’artista, attraverso quello sguardo? Uno schizzo di sangue risalta sulla scarpa bianca della gamba incognita. Lo si direbbe un graffio sfuggito al pennello. Un altro segnale inviato dal pittore a chi voglia cercare l’algoritmo risolutivo? No, decisamente no. Il sangue è vero. Sangue recente, seccato da poco. Seguo il torrente frastagliato disegnato dal percorso delle macchioline. Alla fine, o all’origine, c’è lei. Lei. Il suo cranio devastato nella parete retro-occipitale da un colpo violento. Un solo colpo, sono pronto a giurarlo. Anche i suoi occhi sono sgranati, nella fissità della morte. Cercano di dirmi qualcosa? La scena del delitto parla. Lo insegnano nelle accademie che hanno l’ambizione di formare investigatori al passo coi tempi. Insegnano, ad esempio, a non distrarsi. A non abbandonarsi a pericolose fantasticherie. Quelle che gli sbirri di vecchia scuola chiamano «intuizioni». Si deve diffidare delle intuizioni: possono creare suggestioni alle quali si resta avvinti a rischio del fallimento dell’indagine. Le intuizioni sono fuorvianti. Il mio mestiere richiede freddezza, distacco, professionalità. Eppure, nello stesso istante in cui qualcuno decide di sopprimere un essere umano, nel perimetro territoriale che delinea la competenza dell’ufficio a me assegnato, la comunità esige che io dia un volto e un nome all’assassino. Questo è il mio compito. Ogni indagine è scandita da pressioni, tensioni, urgenze. Tutto è decisivo. Tutto, anche i particolari piú insignificanti. Le accademie insegnano che nel mondo reale esiste sempre, inderogabilmente, un principio di causa ed effetto. Non c’è delitto, in natura, che non abbia una o piú causali. Il movente, i moventi. La nostra ossessione. Ma è proprio per questo che so che le nozioni delle quali sono imbevuto, e la cui conoscenza ha fatto di me una giovane speranza dell’ordine pubblico nazionale, non saranno mai, da sole, sufficienti a sbrogliare la matassa. Esiste qualcosa che nessuna accademia, nessun master, per quanto condotto da menti eccelse, potrà mai insegnarti. Il fatto è che le strade che compongono il mio parco di caccia sono agitate dalle passioni, dai dolori, dagli interessi e dalle miserie delle migliaia di esseri umani che le percorrono. Ed è dalla distorsione di uno qualunque di tali sentimenti che nasce il delitto. Ogni delitto. È lí che si annidano i moventi. Tutto ciò sa pericolosamente di intuizione. Dovrei tenermene alla larga, ma non posso farne a meno. Prendiamo il cadavere. Sino a poche ore fa lei era una giovane donna. Una bella giovane donna. Io sono convinto, e lo sono sin dal primo sguardo, che a ucciderla sia stato proprio il suo essere tale: una bella e giovane donna. È un delitto che sa di sentimento. Se sia odio, o amore tramutato in odio, o entrambe le cose, sarà il tempo a stabilirlo. Per me si tratta di un assioma. E tuttavia ho pure abbastanza esperienza per sapere che sono anch’io parte di quello stesso groviglio di sentimenti che ha ucciso. Imparare a dominarli, i sentimenti, fa parte della dotazione del bravo sbirro. E quando proprio non si può farne a meno, scendere a patti con loro è una soluzione accettabile. Perciò, la verità che sento di aver afferrato – la causale, il movente – non posso affermarla con la sicurezza che sento dentro. Se lo facessi, cadrei in contraddizione con i passi, meditati e meticolosi, grazie ai quali sto costruendo, da anni, la mia figura professionale. Significherebbe dare un calcio a una promettente carriera. Io so, ma devo fare in modo che altri pervengano alle mie stesse conclusioni sulla base di un percorso sufficientemente argomentato, tale da tacitare le obiezioni di una logica fin troppo prevedibile. Scriverò dunque nell’informativa preliminare quanto segue. Siamo in un palazzo tranquillo, in una zona residenziale del centro, abitata da una serena borghesia benpensante. La porta d’ingresso non presenta segni di effrazione. La donna delle pulizie che ha ritrovato il cadavere ha detto che era chiusa, ma senza mandate. È logico – secondo la logica a cui devo necessariamente richiamarmi – che a far entrare l’aggressore sia stata la vittima. Si conoscevano o chi ha ucciso è penetrato con l’inganno in questa casa? Ho pochi elementi per stabilirlo. Lei era in négligé. Quale giovane donna aprirebbe in négligé a uno sconosciuto? Forse una escort? Ma quale escort riceverebbe in un ambiente cosí raffinato? L’appartamento, a eccezione del corpo, appare in ordine. Nessun mobile rovesciato o cassetto svuotato. Nessuna traccia di rapina.
– Si chiamava Giada Colonna. Ventotto anni. Nata a Casal Velino Scalo… Che razza di posto è?
– Si trova nel Cilento.
– Ah, be’, dalle parti sue, no, dotto’?
– Piú o meno.
– Comunque. Laurea in Storia dell’arte. Qui almeno dice cosí.
Il sovrintendente Ascanio mi porge una carta d’identità rilasciata dal Comune di Roma.
– Non toccare niente con le mani, Asca’.
– Tutto a posto, dottore. Ho i guanti di lattice e quelle altre stronzate.
– Te ne accorgerai al processo se sono stronzate.
– Se ci sarà un processo.
Ascanio è fatto cosí. Un pessimista cosmico. Anche se lui ama definirsi «realista». In trent’anni di questura ne ha viste di tutti i colori. Si vanta di non credere piú a niente e di non fidarsi di nessuno. Nemmeno di me. È la seconda volta che collaboriamo, da quando dirigo questo commissariato cruciale, fra i piú importanti della città. Il trampolino di lancio ideale per un ragazzo ambizioso, dice Laura, che dirige la squadra di polizia della quale faccio parte, la mia diretta superiora. Con Ascanio sono state da subito scintille. Il capo della Mobile me lo affiancò, a suo tempo, perché non facessi troppi casini. Sfiducia istintiva dello sbirro di strada nei confronti del provinciale con molti titoli e nessuna pratica. Risolvemmo il primo omicidio in tre ore. Si trattava di una rissa fra manovali assunti in nero. Gente ubriaca e disperata, vite meschine che entrano in rotta di collisione, una domenica d’estate, in un piano nobile da ristrutturare. Anche lí, va da sé, passioni esacerbate: ma estranee al contesto ambientale. Questa è una storia diversa. Qui siamo nell’intimità del focolare, nella privacy violata. La vittima era giovane e avvenente. Ci sono tutti gli ingredienti giusti perché i media si sbizzarriscano. So cosa pensa Ascanio. So che mi ha soprannominato «il baronetto». So che mi considera un raccomandato con la testa nei libri. So che non digerisce l’idea di essere subordinato a uno sbarbatello che potrebbe essere suo figlio. Mi metterà alla prova. Dovrà ricredersi.
– Va bene. Che altro sappiamo?
– Ho preso a verbale la donna delle pulizie. Ha confermato tutto: veniva due volte a settimana, aveva le chiavi, la porta era senza mandate, la signorina di solito a quest’ora non era in casa, a prima vista non manca niente.
– Falle qualche altra domanda. Chiedile se la vittima aveva un amante, se frequentava uomini, cerchiamo di saperne di piú.
– Ok. Ho già avvertito il sostituto di turno.
– Chi è?
– Felicisanti.
– Poteva andare peggio.
– Non c’è mai limite al peggio, dottore.
– Se lo dici tu…
Impartisco qualche altra superflua disposizione – Ascanio sa benissimo come funziona la procedura – al solo scopo di levarmelo di torno e restare solo con lei. Il corpo è inguainato in una vestaglina rossa che copre con grazia paradossale i piccoli seni modellati, e lascia scoperte lunghe gambe che la morte ha composto in una curiosa sequenza dinamica. La gamba del quadro, le gambe di lei… come se si corressero incontro, nella loro perturbante immobilità… C’è un legame? Fisso il dipinto. Mi invade una curiosa sensazione. Come se… come se qualcuno, nel frattempo, lo avesse cambiato di posto. Andiamo, su! A parte me e Ascanio qui non ci ha messo piede nessuno. E le cornici non si muovono da sole. Eppure la sensazione resta. S’ingigantisce, se possibile. Sono circondato da segni che non sono in grado, non ancora, di decifrare? Lei era giovane. Lei era bella. Lei è andata. La rabbia per la bellezza sprecata mi assale con violenza. Penso alle occasioni perdute, alle vite gettate al vento. Ecco che torna a echeggiare il coro prepotente dei sentimenti. Via, via. Ci sono cose piú importanti da fare. Non adesso, via! Su un tavolo di design, freddo, quasi ascetico nel suo quadrettato bianco e nero, c’è una scultura. Un giocoliere beffardo, col volto del Joker di Heath Ledger. Maneggia due palle che intuisco di materia pesante, bronzo, probabilmente. Non posso toccare, solo immaginare. Mi lascio sfuggire un sorriso. I giocolieri, di solito, di palle ne hanno tre. Qui manca quella centrale, a far perno sulle altre due, ciascuna in una mano della statuina. Calcolo la distanza fra il corpo e il tavolo, la posizione di Giada dopo la caduta, e sono certo di aver trovato l’arma del delitto. La terza palla, quella che manca. Lei di spalle. L’assassino che la colpisce con tutta la forza che ha. E le spacca la testa. Bravo, commissario Brandi. Puoi giocartici la paga di un mese. C’è una certa trivialità, in fondo, nella scelta del «corpo contundente». Giada viveva circondata da oggetti d’arte. È fin troppo ovvio che un frammento di scultura abbia spento la sua giovane vita. Torno sul corpo. Quegli occhi. E gli occhi della bambina nel quadro. La bambina che accende un fiammifero. Come nella fiaba di Andersen. Ma la bambina della fiaba vende i fiammiferi. E Giada? Cosa vendeva? Oggetti d’arte, immagino. Che altro? Sogni? Felicità? Disperazione? Sei tu la «Piccola Fiammiferaia»? I capelli sono biondi, ma quella è una bambina, e tu eri una donna bellissima con un corpo da modella. Hai acceso passioni e le hai pagate. Sembra quasi scontato. Il delitto passionale per eccellenza. Una crisi di gelosia, un amante respinto. Il quadro, lei… Quegli occhi che sembrano seguirmi… D’improvviso capisco. Muovo un passo a sinistra, poi uno a destra. Gli occhi della Piccola Fiammiferaia continuano a seguirmi. Mi allontano dal quadro. Gli occhi continuano a seguirmi. Sposto lo sguardo sulla gamba, all’estremità opposta del dipinto. Sembra essersi mossa, impercettibilmente. Un trompe-l’œil. Uno scherzo visivo. Una prospettiva sfalsata. L’artista ha giocato con l’inganno. E l’inganno, realizzo, sarà la chiave di volta di questa storia. Ma quale inganno? Squilla una suoneria. Anonima, niente melodia personalizzata. L’apparecchio è in terra, accanto a un pouf sul quale è aperto il catalogo di una mostra sulla transavanguardia. Reprimo l’impulso di rispondere. La Scientifica tarda. Forse hanno trovato traffico. Torno a concentrarmi sul cadavere. Mi sembra di cogliere, e prima non l’avevo notata, una sorta di smorfia crudele nella piega delle labbra. Eri una donna cattiva, Giada? Hai condotto il tuo amante all’esasperazione e sei stata punita? Torno alla Piccola Fiammiferaia, ai suoi occhi che continuano a inseguire i miei movimenti. Piú vivi di quelli freddi e straniti del cadavere. C’è la stessa cattiveria nella fisionomia dipinta? Non direi. Ma posso sbagliarmi. Se avanzo mi sembra di affe...

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Cataldo, G. D., Giovanni, M., & Scalia, C. C. (2020). Tre passi per un delitto ([edition unavailable]). EINAUDI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3426417/tre-passi-per-un-delitto-pdf (Original work published 2020)

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Cataldo, Giancarlo De, Maurizio Giovanni, and Cristina Cassar Scalia. (2020) 2020. Tre Passi per Un Delitto. [Edition unavailable]. EINAUDI. https://www.perlego.com/book/3426417/tre-passi-per-un-delitto-pdf.

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Cataldo, G. D., Giovanni, M. and Scalia, C. C. (2020) Tre passi per un delitto. [edition unavailable]. EINAUDI. Available at: https://www.perlego.com/book/3426417/tre-passi-per-un-delitto-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Cataldo, Giancarlo De, Maurizio Giovanni, and Cristina Cassar Scalia. Tre Passi per Un Delitto. [edition unavailable]. EINAUDI, 2020. Web. 15 Oct. 2022.