Morte della democrazia
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Morte della democrazia

L'ascesa di Hitler e il crollo della Repubblica di Weimar

Benjamin Carter Hett, Maria Baiocchi, Anna Tagliavini

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Morte della democrazia

L'ascesa di Hitler e il crollo della Repubblica di Weimar

Benjamin Carter Hett, Maria Baiocchi, Anna Tagliavini

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Come poté un governo democratico permettere ad Adolf Hitler di conquistare la Germania? Affermare che Hitler fu regolarmente eletto è troppo semplice. Il Führer non avrebbe mai potuto ottenere il potere se i politici di punta non avessero risposto a un'ondata di insurrezioni populiste cercando di cooptarlo; una strategia che invece li schiacciò in un angolo, dal quale l'unica via d'uscita fu quella di accogliere i nazisti in Parlamento. Benjamin Carter Hett mette a nudo la catastrofica sicurezza dei politici conservatori, convinti che i nazisti li avrebbero senza dubbio sostenuti, non capendo invece che i loro sforzi li stavano in realtà consegnando nelle mani di Hitler, a cui affidarono di fatto gli strumenti per trasformare la Germania in una feroce dittatura. L'autore è uno studioso di spicco della Germania del Ventesimo secolo e un narratore di talento, e nel ritrarre questi politici inetti mostra quanto fragile possa essere la democrazia quando chi è al potere non la rispetta.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2019
ISBN
9788858432662
Capitolo quarto

Il Cancelliere della Fame

Notte fonda, in un quartiere povero e depresso di Berlino nord. All’angolo tra la Wilkestrasse e la Schönholzer Weg, nella proletaria Reinickendorf est, i lampioni sono pochi e molto distanti tra loro. È la zona che chiamano dei «sette ponti». Il cavalcavia delle Ferrovie Nord si distingue appena nel buio. A ovest una ringhiera di ferro delimita la colonia di orti urbani di Felseneck e le squallide baracche della gente che ci abita: in gran parte disoccupati, i piú poveri dei poveri, quelli che «l’automazione e l’ultimo rantolo della crisi ha cacciato dai posti di lavoro»1, per usare le parole del quotidiano comunista «Die Rote Fahne».
Johann Banuscher2 e sua cognata percorrono a passo svelto la Wilkestrasse, i passi rimbombano nel silenzio della notte. A un tratto vengono fermati, proprio davanti alla casa di Banuscher nella colonia di Felseneck, da una banda di otto-dieci uomini dall’aria minacciosa. In borghese perché le uniformi sono state vietate per legge, ma quelli che accerchiano Banuscher sono indubbiamente nazisti delle SA. «È lui, l’abbiamo preso», dice uno. E un altro: «È uno dei rossi. Abita qui. È proprio lui». Un terzo: «Avete controllato?» Hermann Schuhr, il capo del drappello di SA, chiede: «Sei tu, Klemke?» Un altro gli apre il cappotto per vedere se sotto, come previsto, porta i pantaloni di velluto a coste. I nazisti si sfilano le cinture, pronti a usarle come armi. Ma Banuscher è in grado di dimostrare la sua identità. Cosí com’era iniziato, in modo altrettanto repentino il pericolo finisce. «Forza, andiamocene», dice Schuhr ai suoi.
Fritz Klemke, un giovane glabro, molto simile a Johann Banuscher nell’aspetto e nel modo di vestire, era rimasto coinvolto dieci giorni prima in una rissa con alcune SA all’ufficio di collocamento di Reinickendorf. E proprio il giorno precedente c’era stata un’altra scaramuccia, tra comunisti e nazisti, nella vicina Winterstrasse. Stavolta la sentenza è stata pronunciata. I nazisti vogliono vendetta. È l’alba del 16 gennaio 1932.
Due giorni dopo si ripresentano.
La sera del 18 gennaio diversi drappelli di SA provenienti da Berlino nord, circa duecento uomini in tutto, si incontrano per una serata conviviale in un ristorante, il Bergschloss, nel quartiere di Waidmannslust. Sul finire della serata il comandante, Werner Schulze, si alza per annunciare ai suoi uomini: «Abbiamo un’altra cosetta da fare, oggi». E ordina loro di mettersi in marcia verso Felseneck. «Se doveste incontrare un rosso, giú botte e via subito».
Felseneck è una delle 236 colonie di giardini e orti urbani, nel quartiere di Reinickendorf. In tempi normali, queste colonie offrono alla popolazione un fazzoletto di terra in cui rilassarsi e coltivare le rose la domenica pomeriggio. Ma quelli del gennaio 1932 non sono tempi normali. Adesso qui abitano i disoccupati, che passano l’inverno a tremare nelle minuscole baracche, a volte di legno, a volte solo di cartone.
Vale la pena notare che gli uomini di Schulze marciano fino a Felseneck scortati dalla polizia. Ed è ancora piú degno di nota che la polizia si dilegua non appena le SA si avvicinano alla colonia. I nazisti si schierano in formazione d’attacco, meglio nota come «linea del fuoco».
Stavolta trovano l’uomo che stavano cercando. Secondo il successivo racconto di un testimone, un ragazzo diciottenne delle SA di nome Heinrich Villwock, il gruppetto di nazisti comincia a picchiare Klemke con le spranghe di ferro, facendolo cadere a terra. A un tratto compare un tipo alto con gli occhiali, il bavero rialzato a nascondere la faccia, che fa allontanare tutti. Tira fuori una pistola e spara, colpendo alle spalle Klemke, che nel frattempo era svenuto. Il proiettile gli trapassa il cuore. Klemke muore sul colpo3.
I nazisti non se la cavano a buon mercato. Nei vicoli bui intorno alla colonia si scatena la battaglia. Qualcuno, un membro della Lega combattente comunista antifascista, pugnala a morte una SA di nome Ernst Schwartz. Con i suoi 58 anni Schwartz, insegnante d’arte, era un po’ anziano per militare nelle Squadre d’assalto.
L’inverno del 1932 è il momento piú critico della Grande Depressione in Germania. E questo è l’aspetto che assume la politica della Depressione.
Nelle prime ore del mattino del 15 settembre 19304 Hitler tornò alla Bürgerbräukeller di Monaco da cui, quasi sette anni prima, aveva tentato di lanciare il colpo di stato contro la repubblica. Quella notte invece i nazisti celebravano con fracasso il trionfo elettorale. I risultati avevano iniziato ad arrivare già dalle dieci di sera. Prima di mezzanotte sapevano di aver riportato una grande vittoria. Dopo la mezzanotte arrivò Hitler per parlare ai suoi seguaci.
Scelse con cura le parole. Voleva festeggiare la vittoria, ma sapeva quanto fosse facile istigare alla violenza quelle teste calde. In questa occasione non voleva comportamenti illegali o violenti. Il Partito nazista, insisté, avrebbe raggiunto i suoi obiettivi «in modo perfettamente legale». Ma siccome adesso gli altri partiti avrebbero cercato di «sovvertire» la loro compattezza, dovevano «essere fermi dietro ai loro capi, uniti come un sol uomo».
C’era un chiaro senso di allarme, in quelle parole, ma Hitler ostentava anche sicurezza: «Il tempo lavora per noi, – disse ai suoi seguaci. – Verrà l’ora in cui avremo finalmente il potere».
Neanche gli stessi nazisti si erano aspettati un simile successo. Stando a quanto dichiarato da Ernst Hanfstaengl, che stava per diventare il capo dei rapporti con la stampa estera del partito, Hitler gli aveva detto che si sarebbe considerato soddisfatto se avesse ottenuto quaranta seggi5. Secondo Rudolf Hess, Hitler si aspettava dai sessanta ai settanta seggi6. Ai nazisti ne andarono in realtà 107, e il 18,3 per cento dei voti, a fronte dei 12 seggi, con il 2,6 per cento, del 1928. In sessant’anni di elezioni politiche in Germania, nessun partito aveva mai conosciuto un simile incremento in un arco di tempo cosí breve. La vittoria nazista andava in gran parte a spese dei partiti delle classi medie protestanti: i nazional-popolari di Hugenberg, che videro dimezzarsi la già misera percentuale racimolata nel 1928; il Partito popolare tedesco del dopo-Stresemann; e l’ex Partito democratico, che si andava surrettiziamente spostando sempre piú a destra e adesso si faceva chiamare Partito dello Stato.
L’umore dei liberali tedeschi era naturalmente nerissimo. Il conte Harry Kessler, esponente dell’aristocrazia liberale, dichiarò che si trattava di «una giornata buia per la Germania»7. All’estero doveva aver prodotto un’impressione «catastrofica», disse, con «devastanti ripercussioni sulla politica estera e sull’economia». In un Parlamento che su 577 membri contava 107 nazisti, 49 «hugenberghiani» (nazional-popolari guidati da Hugenberg) e piú di 70 comunisti, «dunque circa duecentoventi deputati recisamente avversi all’attuale ordinamento statale tedesco», la Germania si trovava a dover affrontare una crisi che soltanto un’alleanza «tra tutte le forze favorevoli o che almeno sono disposte a tollerare la repubblica» avrebbe potuto superare. Allo stesso tempo però Kessler pensava che «non deponeva male per gli elettori tedeschi» che a trionfare fossero state le formazioni piú fortemente ideologizzate (nazisti, comunisti e Zentrum) anziché i partiti che si limitavano a rappresentare forti interessi economici. Secondo la memorialista e autrice di narrativa Thea Sternheim, «la maggior parte delle persone di ascendenza ebraica sono completamente disorientate», mentre la cronista di costume Bella Fromm già pensava a emigrare8. L’ambasciatore inglese Horace Rumbold si sentí dire da un alto funzionario prussiano che a suo parere la campagna elettorale nazista era stata finanziata dai sovietici9.
Per molti liberali, il risultato elettorale metteva in discussione la fattibilità stessa della democrazia. Come poteva funzionare, infatti, se dipendeva da simili elettori? Era «mostruoso», scrisse il quotidiano liberale «Berliner Tageblatt», che «sei milioni e quattrocentomila votanti di questa nazione cosí civile» avessero sostenuto «il ciarlatenesimo piú volgare, piú insulso e piú rozzo»10. Un comunicato stampa del Partito dello Stato lamentava che «l’estremismo ha sconfitto la ragione», ma il partito sperava che gli elettori tedeschi avrebbero «trovato la via per uscire dalla confusione e ritornare a un centro costruttivo»11.
In ottobre, quando si insediò il nuovo Reichstag12, Bella Fromm raccontò come i nazisti di Berlino avevano festeggiato l’occasione: perpetrando atti vandalici contro le attività di proprietà ebraica. I capi del partito, scriveva, avevano offerto «una spiegazione confusa», difendendo la violenza nazista in quanto risposta alla «provocazione» comunista. Era una difesa «senza vergogna», pensava lei, ma «quello che piú mi addolora è la reazione esageratamente prudente dei giornali conservatori, che sono stati i primi ad alludere discretamente alla “provocazione” contro le canaglie brune» (il marrone, o bruno, era il colore-simbolo dei nazisti).
I liberali tedeschi non erano gli unici a preoccuparsi13. Il responso delle urne provocò una crisi economica perché gli investitori stranieri, in preda al nervosismo, ritirarono i loro depositi dalle banche tedesche. In un solo mese la fuga dei capitali stranieri portò fuori dal paese 800 milioni di Reichsmark (circa 190 milioni di dollari al cambio del 1930, equivalenti a 2,8 miliardi di dollari attuali). Sui mercati internazionali i titoli di stato tedeschi crollarono e la Reichsbank perse metà delle sue riserve auree, tanto da essere costretta ad aumentare i tassi di interesse, portandoli al 5 per cento (quando quelli di New York erano al 2 e quelli di Londra al 3 per cento). Il conseguente crollo dei prezzi fece salire l’effettivo interesse sui mutui al 12 per cento: un disastro, per uno stato già in recessione. L’economia tedesca sprofondò ancora di piú nella Depressione.
Dalla Francia, Aristide Briand osservava il naufragio di tutto quello che lui e Stresemann avevano cercato di costruire. La sua reazione alla notizia del successo di Hitler fu simile a quella avuta l’anno prima, alla morte di Stresemann: si dichiarò «la prima vittima dei nazisti»14.
Come mai i nazisti avevano riportato un tale trionfo? Cosa offrivano agli elettori, e che cosa questi vedevano in loro?
Una delle difficoltà nel tentare di comprendere cosa sia stato esattamente il movimento nazista deriva da un dato fondamentale della politica. Quello nazista era un movimento politico15, e come tutti i movimenti politici, compresi quelli fascisti di altri paesi, si muoveva nello spazio politico che si trovava a disposizione, e il suo programma si evolveva per adeguarsi ai sostenitori che riusciva ad attrarre. Questo significa che ideologia e obiettivi dei nazisti erano sempre deliberatamente lasciati nel vago, e in continua trasformazione. Hitler nel 1920 aveva annunciato con grande enfasi i «venticinque punti» del programma nazista, dichiarandoli assolutamente inalterabili. Ma poi aveva proceduto a ignorarli, e le sue azioni dopo l’avvento al potere ebbero pochissimo a che fare con quel programma.
Eppure quei venticinque punti sono essenziali per capire il fascino esercitato dal nazismo nella sua prima fase.
Si trattava in parte dei sol...

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