I ferri del mestiere
eBook - ePub

I ferri del mestiere

Manuale involontario di scrittura con esercizi svolti

Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Domenico Scarpa

Share book
  1. 280 pages
  2. Italian
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

I ferri del mestiere

Manuale involontario di scrittura con esercizi svolti

Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Domenico Scarpa

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Un manuale di scrittura creativa cresciuto inconsapevolmente negli anni, nato dal divertimento e dalla smemorata precisione con cui F&L hanno sempre affrontato il cosiddetto «lavoro culturale»: la traduzione, le schede editoriali, le quarte di copertina; ma anche la fantascienza, i fumetti, la ghost-story. Maestri inconsapevoli e riluttanti, in questo libro F&L ci parlano di letteratura per parlare di tutto il resto, e ci permettono di estrapolare un decalogo semiserio a uso dell'aspirante scrittore. Mezzo secolo di attività editoriale prende forma in un «diario di lavoro ben fatto»: un libro divertentissimo, zigzagante tra i piú diversi generi letterari, strabordante di umori, invenzioni e colpi di scena.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is I ferri del mestiere an online PDF/ePUB?
Yes, you can access I ferri del mestiere by Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Domenico Scarpa in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Filología & Escritura creativa. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Publisher
EINAUDI
Year
2015
ISBN
9788858421000

Una sola parola: Murder!

Delitti in v.o.
Quanto segue è firmato scherzosamente da F&L, ma l’autore della lezione è in realtà Lucentini, che credeva fermissimamente nel metodo di apprendimento delle lingue straniere qui delineato. Prendere un autore dal lessico molto «concreto» e andare avanti con quel poco che si sa SENZA MAI CONSULTARE IL DIZIONARIO. Le parole che uno cosí decifra per via della loro collocazione nella frase restano poi per sempre impresse nella memoria, mentre col dizionario te le scordi dopo cinque minuti. Franco mi convinse a tentare tale strada col tedesco, scegliendo romanzi del concretissimo Simenon tradotti in quella lingua. Ne lessi una mezza dozzina con crescente profitto, poi, esultante, decisi di passare a qualcosa di piú impegnativo, i racconti di Hugo von Hofmannsthal. Errore fatale. Non ritrovavo una sola parola e scoraggiato lasciai perdere. «Ma perché non provi con Goethe, con Kafka? – incalzava lui. – Vedrai che dopo un po’ sono facilissimi». La pigrizia m’impedí di dargli retta e ancora me ne pento.
Chiunque abbia studiato sia pure affrettatamente, a scuola o per conto proprio, una qualsiasi Grammatica elementare della lingua inglese, è già in saldo possesso d’un certo numero di «parole basiche» come le seguenti:
The aunt = la zia; the garden = il giardino; the table = il tavolo; the cupboard = l’armadio; the penknife = il temperino; the straw hat = il cappello di paglia.
Ma bastano dei sostantivi di questo genere – con l’aggiunta degli aggettivi e dei verbi piú usitati – ad affrontare la lettura di romanzi inglesi nella versione originale?
Bastano e avanzano se i romanzi sono quelli di Agatha Mary Clarissa Christie (1891-1976), perché questa scrittrice senza eguali parte sempre da situazioni semplicissime, della vita di tutti i giorni, quali per l’appunto: «Il temperino è sul tavolo. La zia è in giardino. Il suo cappello di paglia è nell’armadio».
Poi subentrano enigmatiche complicazioni, ma il linguaggio resta chiaro, fattuale, preciso. «La zia e il temperino sono nell’armadio», veniamo per esempio a sapere piú avanti.
O magari abbiamo capito male? Forse siamo vittime di un qualche tranello dell’inglese? No, nessun tranello. La zia si trova effettivamente nell’armadio e col temperino (del robusto tipo svizzero, con lama affilatissima) fermamente piantato tra le costole. Ce ne dà conferma nelle pagine seguenti l’ispettore Dobson, della polizia di Chelmsford (Essex), chiamato dalla domestica Gladys che ha rinvenuto il cadavere.
Solo che in casi del genere, com’è noto, questi ispettori inglesi di provincia tirano sempre a invocare le cause accidentali pur di lavarsene le mani. Per cui secondo Dobson (a quanto con un po’ di pazienza e buona volontà finiamo per appurare) la zia era venuta a prendere il temperino sul tavolo e l’aveva aperto per servirsene in giardino, ma addentrandosi poi nell’armadio per cercarvi il cappello era caduta, trafiggendosi accidentalmente da sé.
Resterebbe l’ipotesi del suicidio, che però i familiari – e in particolare la nipote Janet – escludono tassativamente. Ed eccoci pertanto all’arrivo di Poirot, chiamato dalla suddetta nipovte. Che cosa ne pensa, che cosa ne dice, il supremo detective?
L’attesa è spasmodica sia tra i familiari che tra gl’inglesisti principianti, cui il silenzio prolungato e l’espressione impenetrabile dell’indagatore fanno temere una dichiarazione troppo difficile da capire in v.o.
Ma la Christie non tradisce mai i suoi fedeli. E terminato il paragrafo, andando a capo, una sola riga le basta per illuminarci tutti:
Murder! said Poirot.
Dopodiché, soltanto un vile potrebbe tirarsi indietro e ricorrere a una traduzione per andare avanti. Gli altri, di pagina in pagina, impareranno invece a districarsi sempre meglio fino alla scoperta del vero assassino (che non era il nipote Jeremy) e alla chiusa sacramentale: THE END = (la) FINE.
Buon proseguimento!
CHARLES FRUTTERO & FRANK LUCENTINI
[1996].
Giallo e fs.
«A. si voltò di scatto, tendendo l’orecchio. Il rumore si ripeté». Una storia che contenga una frase come questa, teoricamente può essere di qualsiasi genere; ma in pratica si può scommettere che sarà o poliziesca, o di fantascienza. E già questo dimostra l’affinità tra i due generi di narrativa. Nell’uno, il rumore sarà in relazione con un delitto; nell’altro, con un arrivo di marziani e magari con la fine del mondo, ma in entrambi i casi la faccenda in relazione col rumore è un’incognita: ed è quest’ultima, non A., né qualsiasi altro personaggio, la vera protagonista del libro. Perché la storia sia poliziesca o di fantascienza, tuttavia, non basta che ci siano una o piú incognite: bisogna che queste siano contenute nella storia allo stesso modo, appunto, delle incognite algebriche, e che la storia sia l’equazione che permette di risolverle. Altrimenti – se cioè l’elemento strano e sorprendente resta irrisolto, fine a se stesso – avremo soltanto quel prodotto dell’irrazionalismo di tutti i tempi, che sono le storie di horror da una parte, e quelle di fantasmi dall’altra. Cosí impostato, il problema dei rapporti tra narrativa poliziesca e fantascientifica si lascia risolvere con facilità anche per quanto riguarda la differenza specifica tra i due generi: la quale dipende infatti, semplicemente, dall’estensione delle due equazioni. Torniamo al nostro esempio. A. si volta di scatto, tendendo l’orecchio. Il rumore si ripete. Nel caso del poliziesco, la spiegazione del misterioso rumore è contenuta in una cerchia molto ristretta di elementi noti, in un sistema di dati estremamente limitato nello spazio e nel tempo. Anzi, tutti sanno che quanto piú è ristretta la cerchia, tanto piú emozionante e sospensivo potrà riuscire il giallo, laddove quando l’assassino, poniamo, viene dall’Australia, o quando la causale del delitto implica il bisnonno dell’assassinato, quasi sempre il lettore s’addormenta a pagina 28. Nel caso della storia di fantascienza, invece, la «cerchia dei sospetti» comprende potenzialmente l’intero universo fisico, con tutto il suo spazio e tutto il suo tempo trascorso e da trascorrere. Il rumore sentito da A., per esempio, può essere quello fatto da un mostro che occhieggia da fuori della finestra, o quello d’una strana crepa che lentamente si va allargando nel muro della stanza accanto. Ma la terra incognita che si estende dietro la mostruosità di quel mostro, dietro la stranezza di quella crepa, non c’è Fbi che basti a sorvegliarla, e le auto dell’87º Distretto, se avranno la temerarietà di avventurarvisi, difficilmente faranno ritorno. No, qui per capire cosa sta succedendo ci vorranno fior di scienziati, e per ristabilire l’ordine bisognerà mobilitare l’esercito, l’aviazione e la marina degli Stati Uniti al completo. Né è detto che gli scienziati capiranno, o che gli Stati Maggiori (i quali, anzi, due volte sí e una no ci fanno delle meschine figure), riusciranno a risolvere la situazione. Un’altra differenza col poliziesco, infatti, è che in fantascienza «la crepa nel muro», la misteriosa perturbazione dell’ordine dell’universo, non sempre si risolve con la punizione del colpevole. O meglio, non sempre il colpevole è la crepa, il mostro, l’assassino. Spesso il colpevole è l’assassinato, cioè la stessa umanità, che da sé medesima s’è tirata addosso il disastro.
[1963].
Squisiti brividi.
Conversazione davanti a un caminetto acceso, in campagna, sulla natura del terrore. Non quello politico, oggi; l’altro, quello di Hitchcock, la cui morte è sentita da quasi tutti i presenti come una perdita definitiva. È concepibile un Bergman sovietico, argentino; un Rossellini cambogiano; ma non potrà esserci un secondo Hitchcock, che apparteneva all’ultima grande stagione della civiltà borghese; per riprodursi dovrebbe avere attorno Fred Astaire, Cocteau, Aldous Huxley, Coco Chanel, Ravel, Pirandello.
Brividi, ma entro cornici squisite. Terrore, ma sotto il controllo di una dizione impeccabile. Istante supremo: quello in cui la ragazza di Psycho vede spalancarsi la tenda della doccia e apparire la mostruosa vecchia armata di coltello.
Un amico americano dissente: sono giochi a fior di pelle, che nulla hanno a che fare col vero terrore. E racconta una sua recente esperienza, l’aereo su cui viaggiava uscí di pista ad Atene, fiamme, fumo, centocinquanta persone che premevano urlando verso l’unico portello non bloccato. Folle terrore, da cui non si è ancora ripreso. Peggio del fronte nelle Ardenne, assicura passandosi una mano tra i capelli grigi.
Confronti di ricordi bellici. Terrorizzava di piú un bombardamento o la vista di tre carri armati nemici che sbucavano guardinghi da un bosco? Il tocco hitchcockiano, però, c’era anche lí, qualcuno rievoca il cannone della torretta che cominciava a ruotare lentamente in perfetto silenzio, come se stesse cercando proprio te. Schianti e boati non avrebbero aggiunto niente a quella immagine di minaccia individuale.
Ma durante la Prima guerra mondiale gl’inglesi dovettero inventare il termine shell shock, trauma da bombardamento, per mandare qualche giorno nelle retrovie, a riaversi, ufficiali e soldati semi-impazziti dalla paura dopo un cannoneggiamento. L’eufemismo fu adottato dall’esercito americano, che lo usava ancora durante la guerra in Vietnam per passar sopra benevolmente a fughe, diserzioni, imboscamenti e altre manifestazioni d’incontrollabile paura, quasi mai provocate da bombardamenti, non avendo i Vietcong a disposizione le artiglierie del Kaiser.
E poi comunque quella del carro armato è piuttosto un’immagine fantascientifica, è il mostro, l’insettone extraterrestre che mette fuori le sue antenne per scoprirti e misurarti prima del balzo finale. Incute terrore soprattutto perché non è umano.
E allora le orde di pellirosse, di dervisci, di barbari che si precipitano con grida ferine sull’accampamento? Non c’è contraddizione, in quei casi gli assalitori erano percepiti appunto come aliens, cui non si riconosceva in pratica nessuna umanità. Del resto, anche nell’ultima guerra, che cos’era per un soldato giapponese un marine se non una specie di androide assetato di sangue? E viceversa. Di qui tutta la letteratura di guerra in cui scopri che il tuo nemico è un uomo come te.
Si cerca di precisare alla buona qualche ingrediente fondamentale: terrorizza una cosa non umana, sovrumana, o perlomeno estranea, ignota. Fantasmi e demoni in testa. Ma anche angeli e arcangeli biblici. Perfino divinità benigne, come la Madonna (al primo momento, si capisce). Qualcuno ricorda una pagina mirabile: il terrore di Robinson quando vede l’orma sulla sabbia.
Ma una signora confessa che le bastò, per avere le convulsioni, un pettirosso entrato dalla finestra in camera sua. Non c’era il minimo pericolo o mistero, l’amabilissimo uccellino non mirava (come fa invece l’orrido pipistrello) ad annidarsi tra i suoi capelli; eppure quella piccola palla di piume che sbatacchiava contro pareti e mobili risultò per lei sconvolgente quanto l’arrivo di uno stormo di piovre alate originarie di Aldebaran.
Altri parlano di terrori sportivi: il subacqueo cui viene a mancare l’ossigeno, l’alpinista cui sfugge la presa sulla parete rocciosa, lo sciatore prigioniero di una valanga. Sono tutte situazioni dominate da solitudine e silenzio.
Niente affatto: sono tutte situazioni dominate dall’impotenza, dal sentimento di avere a che fare con qualcosa di enormemente piú forte di noi. Il fuoco, o un terremoto, o un vulcano in eruzione, possono scatenare indicibili terrori collettivi. E la folla stessa, presa come «elemento naturale» (cieca, la definisce infatti il cliché), è terrorizzante, come ben sapeva il Manzoni, che a Parigi, durante una grande festa di popolo, rischiò di esserne travolto e non superò mai quel trauma, per tutta la vita non andò piú per strada se non accompagnato.
Dunque: senso di non avere scampo da una minaccia incombente, inarrestabile, dotata di soverchiante superiorità (già, ma e il pettirosso?) e animata (ecco il pettirosso!) da una sua furia imprevedibile e inconoscibile. Psycho, Frenzy, Gli uccelli ne fanno fede. Altro esempio da manuale, il vecchio film Il terrore corre sul filo, dove il telefono annunciava a una donna paralizzata a letto (Barbara Stanwyck?) che un ignoto killer si stava avvicinando passo passo alla sua stanza.
Citiamo prontamente L’assassinio come una delle belle arti di De Quincey, ripubblicato pochi anni fa dal «Formichiere» in edizione integrale, ossia con l’eloquente appendice sui delitti del marinaio John Willi...

Table of contents