Febbraio 2017
Ciao Edo,
una sola cosa non riesco a perdonarti: la rabbia.
La rabbia con cui mi hai costretto a cacciarti dalla mia vita, dalla mia pelle, dai miei ricordi. Ho preso un paio di forbici e ho dato un taglio netto.
Ho separato l’uomo che sei dall’uomo che ho amato.
Ho detto addio al primo.
Ho cancellato il secondo.
È stato un addio rumoroso, gridato. Eppure trattenuto. Un addio fatto anche di parole non dette. Di sguardi mancati.
Un “me ne vado”, così, nel silenzio assordante di una sconfitta.
Come quando si conclude una guerra.
Probabilmente non esistono finali sussurrati in pace.
Probabilmente ogni amore quando finisce fa un gran frastuono.
Ti perdono ogni cosa. Però la rabbia, quella proprio no.
Vorrei non sentirla. Vorrei non sentirti.
È l’unica cosa che mi lega a te, ormai.
Rabbia per il tempo perso. Per essermi smarrita. Rabbia per l’ennesimo muro.
Per la diffidenza. Per la delusione.
La delusione. Anche quella non ti perdono.
Ho provato a darti ciò che volevi.
Sono stata più donna. Più attenta. Più dolce. Più troia.
Sono stata la donna di una volta e allo stesso tempo la donna che non hai mai avuto.
Sono stata me, e anche lei, quella che ti ho scoperto desiderare.
Ti ho rincorso. Mi sono data e negata.
E mentre tentavo disperatamente di mancare a te, mancavo a me stessa.
Vorrei darti la colpa di tutte quelle volte in cui ti ho permesso di non avere rispetto per me, di tutte quelle volte in cui mi sono addormentata in un letto vuoto, delle colazioni da sola e delle lacrime che nessuno mi ha mai asciugato.
Ma la verità è che sto ancora cercando di perdonarmi per tutte le mancanze che ho avuto nei miei stessi confronti, presa com’ero a perdonarti le tue.
Quando ti ho scoperto senza vestiti con un’altra donna ho sentito i nostri ricordi andare in frantumi.
Mi abituerò a tutto quanto: all’idea delle tue bugie, alle assenze, alla solitudine, al tempo che mi hai rubato.
Ma al fatto che in realtà tu non sia mai esistito, a quello no.
Perché mi fa sentire smarrita. Vuota.
Che fine ha fatto tutto l’amore che ti ho dato?
Chi sei davvero?
Chi ho amato?
Chi ero quando mi stringevi tra le tue braccia?
Sofia
Leggo queste parole e mi commuovo un po’, perché so molto bene quanto si senta sola la donna che le ha scritte. Vorrei rassicurarla dentro il calore di un abbraccio, incontrarla fra qualche anno e poterle dire che queste notti trascorse a chiedersi se fosse colpa sua sono solo lacrime sprecate. E che, contrariamente a quanto pensava, ce l’ha fatta.
A quel pensiero sorrido, perché quella donna sono io.
Ho scritto questa lettera tre giorni fa, la sera in cui ho scoperto l’uomo che amo a letto con un’altra donna. La sera in cui ho dovuto guardare il mio mondo andare in mille pezzi, e cestinare il sogno di una casa insieme, del futuro che immaginavo, di quella vita semplice ma soddisfacente che avevo sempre desiderato.
Sono seduta a gambe incrociate nella piccola cucina di quella che fino a qualche giorno fa era casa nostra e che adesso, invece, è diventata casa mia.
Il lavandino è stracolmo di piatti da lavare che rimarranno lì tutta la notte, la radio fa da sottofondo ai miei movimenti, le scatole vuote che sto riempiendo con gli oggetti che mi ricordano Edoardo sono come il tramonto fuori dalla finestra: rappresentano la fine della donna che sono stata, l’inizio della donna che diventerò.
Chissà, invece, che cosa sarò io per lui.
Chissà se sarò ancora la casa alla quale tornerà il suo pensiero quando qualcosa non andrà. Chissà se resterò quella degli sguardi intensi appena sveglia, quella che ha il potere di farlo ridere, quella che lo ha fatto sentire il più bello di tutti.
Chissà se quando dirà di nuovo “ti amo”, gli verrò in mente io, almeno per un attimo. Chissà se nel posticino del cuore in cui mi ha nascosto mi sente ancora, se un pugno di rimpianti ce l’ha anche lui. Chissà se ha mai pensato di tornare.
Chissà se cambierà, chissà perché.
Avrei voluto fare ancora tante cose: fotografarlo mentre dormiva, leggergli un libro alle cinque di mattina, spingere insieme il carrello della spesa, ballare con lui in giro per casa, mettermi i calzini di lana per farlo ridere. Preparargli i pancake a colazione, fargli fumare una sigaretta dopo l’amore, andare al Sant Ambroeus a prendere la sua brioche preferita, e sapere che l’avrebbe divisa con me. Lamentarmi del suo disordine, ben consapevole del mio, provare a essere attenta, sorridere perché lui lo era a modo suo. Tornare indietro nel tempo a qualche giorno fa per chiedergli di restare ancora dieci minuti prima di cacciarlo per sempre dalla mia vita.
Dieci minuti per guardarlo un’ultima volta, salutarlo in un modo che sia all’altezza dell’amore che ci siamo dati. Per leggere ancora i suoi occhi e scoprire se davvero non c’è più nessun mare che ci unisce, per fargli capire che questo mio silenzio è solo uno stratagemma per impedirmi di far ritorno da lui.
Il mio silenzio, e quello di questa casa.
Dirgli addio è stato difficile, ma essere rimasta qui da sola mi fa mancare l’aria. Perché noi ce lo siamo sempre detti, no? La casa, quando diventa parte dell’amore che vivi, non è solo un luogo nel quale ritrovarsi la sera, ma un nido in cui sentirsi al sicuro, in cui rifugiarsi, in cui si costruiscono tanti minuscoli ricordi indelebili.
Quelli che molto spesso sfuggono via inosservati, quelli che prima sembravano solo quotidianità e che invece si fanno sentire come aghi nella pancia quando a un certo punto tutto finisce: lavarsi i denti insieme, preparare il caffè al mattino, stare sul divano in pigiama, scattarsi fotografie di nascosto, ordinare la pizza, fare la spesa insieme, pensare tutto per due.
Quando c’era lui, i silenzi non erano veramente tali. In sottofondo si sentiva il tintinnio del cucchiaio mentre mescolava il caffè, lo scroscio della doccia che arrivava fino in soggiorno, il rumore del suo respiro, regolare, sul cuscino accanto al mio.
Adesso, invece, è un silenzio reale, eppure la casa mi racconta ancora di lui. Perché, anche se non c’è più, è dappertutto.
Ci sono ancora le sue sigarette nel cassetto del comodino, il suo accappatoio in bagno, i suoi libri mescolati ai miei, il servizio di piatti che ci ha regalato la sua famiglia, la macchina del caffè che abbiamo comprato solo per lui, perché tanto io preferisco la moka, i suoi attrezzi in cantina, la bottiglia di vino che ha acquistato per un’occasione speciale.
Nonostante questo, la casa sta cambiando odore.
Non ha più il suo, non ha più il nostro. Ha un profumo che non riconosco. Come fa a essere già così lontano?
Come fa il silenzio a fare così rumore dentro?
Come si spengono i pensieri?
Come si cancellano i ricordi?
Come siamo arrivati a questo punto?
Ci eravamo promessi di farci bene.
Quando si è allontanato dall’immagine di noi due che avevamo costruito? Quelli che si sono guardati di nascosto per settimane solo perché volevano stare insieme?
Eravamo felici.
Sapevamo ridere.
Come si cancella il suono delle nostre risate?
Magari sono io quella sbagliata, quella che continua a non darsi pace, quella che ogni giorno quando rientra in casa si guarda attorno per verificare se davvero lui non c’è più, quella che nonostante tutto, nonostante questo nodo che non va via dallo stomaco, lotta con la speranza che tutto possa tornare come prima.
La speranza anche solo di sentirmi dire qualcosa, di riuscire a capire, di rispondere a tutti questi perché.
“Dimmi che le tue parole erano reali, dimmi che sei quello che mi sembrava che fossi” vorrei chiedergli. Che quando abbiamo fatto l’amore l’ultima volta tu eri lì con me, che mi hai sentito come ti ho sentito io, e che quando mi hai detto “ti amo” non era un capriccio.
Che io non sono stata un capriccio.
Se così fosse sarebbe più facile andare avanti, credo.
Il difficile non è dimenticare qualcosa che finisce, ma qualcosa che magari non è nemmeno iniziato.
Ti va di ricominciare dall’inizio? Ti va di tornare a guardarci di nascosto? Hai voglia di lasciarmi ancora quell’indirizzo per farti raggiungere?
Ti va di ricominciare dai primi abbracci, dai tramonti, quelli belli, e dai tuoi “Ho paura di amare” e dai miei “Ho paura di amare”, ma poi tanto ci innamoriamo lo stesso? Ti va?
Prima di chiudere un altro scatolone di quella parte della mia vita, sono rimasta per un po’ in silenzio a guardare l’appartamento svuotato da tutte quelle cose.
Non è mai stata la casa dei miei sogni: ne ho sempre desiderata una più grande, spesso mi immaginavo in un altro posto; pensavo ...