Ravenna
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Ravenna

Capitale dell'Impero, crogiolo d'Europa

Judith Herrin

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Ravenna

Capitale dell'Impero, crogiolo d'Europa

Judith Herrin

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Nel 402 d.C., sotto la pressione delle tribù barbariche che, superate le Alpi, minacciano Milano, il giovane imperatore Onorio prende la decisione epocale di trasferire la sua capitale in una postazione fortificata e ben difendibile sull'estuario del Po. Da questo momento, e fino al 751, Ravenna sarà dapprima il centro dell'Impero romano d'Occidente, poi dell'immenso regno di Teodorico il Grande e infine del potere bizantino in Italia. Judith Herrin ci spiega con entusiasmo come una folla di studiosi, medici, uomini di legge, artigiani, cosmologi e teologi confluì a Ravenna e ne fece una grande capitale culturale e politica destinata a dominare l'Italia settentrionale e l'Adriatico. Raccontandoci le vite dei suoi legislatori, dei cronisti, dei semplici cittadini, ci fa comprendere come la città diventò il crocevia ideale dove la tradizione greca e latina si fonde con le innovazioni portate dal cristianesimo e dalle popolazioni barbare; il luogo dove Oriente e Occidente si incontrano; il formidabile crogiolo dove si forma la cultura europea. Un passato glorioso che spesso viene descritto come un'epoca buia. In parte perché «si è perso e dimenticato molto di Ravenna, e molto è stato smantellato: un'altra forma di oblio». Ma anche per quell'appellativo di «tarda antichità» associato alla città, che sovente ha fatto pensare al tramonto di un'era di magnificenza. Eppure, mentre Roma era schiacciata dalle invasioni di goti e longobardi e la Cristianità era scossa dalle devastanti divisioni interne, Ravenna conosceva un periodo di straripante creatività. Della città si sono conservate soprattutto le chiese, con i mosaici, barbari e cristiani, che incantano ancora oggi i visitatori. Splendidamente illustrato con fotografie commissionate per l'occasione e aggiornato sugli ultimi ritrovamenti archeologici e documentari, Ravenna: capitale dell'Impero, crogiolo d'Europa è la memorabile rievocazione di un luogo unico nella storia dell'umanità.

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Information

Publisher
RIZZOLI
Year
2022
ISBN
9788831807296
1

La nascita di Ravenna come capitale imperiale dell’Occidente

Nei secoli precedenti all’adozione da parte di Roma del cristianesimo come religione ufficiale, la Città Eterna rappresentò il simbolo della dominazione del mondo imposta da energici comandanti militari ed efficienti amministratori civili. All’interno delle sue ampie fortificazioni, lungo le sue famose strade, tra i suoi magnifici edifici pubblici, gli imperatori proclamavano le proprie vittorie su lontani sovrani stranieri attraverso cortei trionfali, statue e iscrizioni. Il Senato romano commemorava quelle manifestazioni di potere e la plebe romana partecipava alle celebrazioni, un elemento essenziale della politica imperiale del «panem et circenses». La corte imperiale, con sede nei grandi palazzi del colle Palatino, esaminava gli appelli giudiziari, i rapporti militari, i documenti fiscali e le notizie provenienti dalle frontiere, mentre i sacerdoti assegnati ai templi assicuravano l’appoggio divino all’impero attraverso sacrifici e preghiere. Era a Roma che giovani ambiziosi (uomini e donne), poeti di talento, scultori, mercanti, mercenari e intrattenitori, venivano a cercare la protezione degli aristocratici e a costruire la propria fortuna. La città era il centro del mondo conosciuto e tutte le strade portavano a Roma.
Eppure, nel corso del III secolo i sovrani non vi risiedevano più in modo permanente. Un numero crescente di imperatori che provenivano dall’esercito si stabilirono in altre città, più importanti dal punto di vista strategico, e ovunque l’imperatore andasse la corte e parte dell’amministrazione dovevano seguirlo. Nell’antica capitale si continuava a nominare un prefetto che governasse la città e aveva la responsabilità di procurare le scorte di grano per la popolazione urbana. Il primo gennaio di ogni anno, il Senato conferiva il massimo onore del consolato a due individui, scelti dall’imperatore, il quale dava i loro nomi all’anno, stabilendo così un sistema di datazione. Inoltre, dai consoli ci si aspettava che finanziassero intrattenimenti popolari stravaganti, come le corse dei cavalli e delle bighe, i combattimenti tra belve e gli spettacoli di danzatori, mimi e acrobati. Mentre il Senato rimaneva la sede del potere delle famiglie aristocratiche, che tradizionalmente avevano fornito figli ben istruiti che governassero le province, comandassero gli eserciti e proteggessero il sistema di diritto, lo spostamento da Roma in quanto unico centro dell’impero creò un nuovo stile di governo imperiale: un’attenzione più diretta alla sicurezza delle frontiere, un aumento dell’efficienza militare e dei rifornimenti per combattere le incursioni ostili. Il regno di Diocleziano (284-305) segnò una rottura decisiva, con cambiamenti che inaugurarono una nuova era. Durante questo periodo, Ravenna emerse dai suoi trascurabili esordi per diventare una capitale imperiale.

Le riforme di Diocleziano

Diocleziano era un comandante militare della Dalmazia che venne acclamato imperatore dalle proprie truppe nel 284 e si impegnò per invertire il declino politico ed economico definito dagli storici moderni come la «crisi del III secolo».1 Iniziò rafforzando i confini settentrionali dell’impero, minacciati dalle forze sarmatiche e germaniche, e riorganizzando la sua amministrazione. Con un gesto clamoroso, nel 286 spostò la corte imperiale da Roma a Milano, e nominò un commilitone, Massimiano, coimperatore, con l’autorità di governare la metà occidentale dell’impero. Diocleziano stabilì la propria capitale a Nicomedia (l’odierna Õzmit nel Nordovest della Turchia), una città dalla quale avrebbe potuto proteggere più efficacemente l’impero dalla minaccia di un’invasione persiana. Questa iniziale divisione dell’autorità imperiale fu seguita nel 293 dalla designazione di due vice imperatori, chiamati «cesari», che avrebbero ereditato pieni poteri al momento dell’abdicazione o della morte del rispettivo augusto. In questo modo, Diocleziano cercò di introdurre un sistema che permettesse una successione ordinata, in modo da prevenire gli scontri che spesso venivano generati dai rivali che aspiravano al titolo imperiale.
Mentre i due imperatori augusti edificavano palazzi e edifici amministrativi nelle loro nuove capitali, Nicomedia e Milano, i due cesari stabilirono le proprie corti in sedi più vicine ai confini: Sirmium (l’odierna Sremska Mitrovica in Serbia) e Treviri (in Germania). Altri centri, come Serdica (l’odierna Sofia in Bulgaria) e Tessalonica (Salonicco, in Grecia), furono a loro volta utilizzati per produrre nuove capitali «imperiali» che simbolizzavano l’estensione e il consolidamento del potere romano lontano dall’Italia. Le vie principali che partivano da Milano per l’Europa centrale e per l’Oriente, e per l’Europa transalpina a nord e a ovest, costituirono un sistema di comunicazioni più spostato a nord che in parte sostituì la centralità di Roma. Tra il 337 e il 402 gli imperatori che si susseguirono da Costanzo II a Onorio fecero di Milano la loro residenza preferita, e cortigiani e funzionari imperiali vi costruirono delle ville eleganti.2
Il governo dei quattro di Diocleziano, la «tetrarchia», concepito per esercitare un maggiore controllo sulle frontiere molto distanti da Roma, fu accompagnato da drastiche riforme della gestione imperiale. L’amministrazione civile venne separata da quella militare e fu riorganizzata per aumentare l’efficienza della riscossione delle tasse. Vennero costruite fortificazioni, opifici (per le armi come per le uniformi) e strade, mentre venne perfezionata una tassazione sotto forma di approvvigionamenti per gli eserciti locali, tutto progettato per facilitare le vittorie militari. Molte province furono divise in territori più piccoli, con una distinta gerarchia di funzionari al servizio di un governatore e con un magistrato stipendiato. All’interno di questo processo, nel 297 Ravenna divenne la capitale della provincia della Flaminia, la zona costiera del Nordest dell’Italia.
Oggi, Diocleziano è generalmente ricordato per la sua persecuzione dei cristiani dal 303 al 311, e per il suo tentativo di regolamentare i prezzi con l’editto sui prezzi massimi del 301. Nessuna di queste due politiche ebbe successo, ed entrambe vennero ribaltate dal suo successore definitivo Costantino. Il suo enorme palazzo a Spalato dimostra un’ambizione megalomane che includeva l’adozione delle prerogative regali persiane, come indossare una corona e un abito specificatamente imperiale, e un cerimoniale che richiedeva ai visitatori di inchinarsi profondamente davanti al suo trono.3 Lui e il suo coimperatore Massimiano abdicarono nel 305 come pianificato, ma il pacifico passaggio dei poteri si dimostrò illusorio. Spesso gruppi dell’esercito si rifiutarono di accettare i cesari designati, e invece nominarono imperatori i propri comandanti. Costantino I fu uno di essi, acclamato dalle proprie truppe a York nel 306. Egli si fece strada combattendo in lungo e in largo per il mondo romano, eliminando tutti i rivali, fino a diventare imperatore unico nel 324.

Le innovazioni di Costantino I

Nel 330 Costantino inaugurò una nuova capitale nella metà orientale dell’impero romano, dandole il proprio nome, Costantinopoli, la città di Costantino, e un’identità cristiana. Entro la fine del IV secolo divenne nota come la città imperiale (basileuousa) o la regina delle città, basilis ton poleon, anche basilissa polis. Oltre a riconoscere la fede cristiana, Costantino finanziò l’edificazione di grandi chiese situate in posizione di primo piano all’interno delle maggiori città, ordinò ai vescovi di riunirsi in concili da lui presieduti ed emanò regole di dottrina cristiana che vennero incorporate in leggi imperiali. L’imperatore garantì ai cristiani la tolleranza religiosa e stabilizzò i prezzi coniando un’affidabile moneta in oro. Una prova della sua attività edilizia sopravvive a Treviri, che era cresciuta fino a divenire un magnifico centro fortificato che protesse la frontiera dell’impero lungo il Reno per più di un secolo, fino al 395. Là egli edificò l’enorme basilica, inizialmente destinata a fungere da sala del trono, e le terme. Nella sua nuova capitale sul Bosforo, egli stabilì una Nuova Roma, un nome che voleva sia imitare sia sfidare il proprio modello. Anche se le antiche famiglie aristocratiche che formavano il Senato mantenevano il controllo dell’amministrazione civica, delle tradizioni repubblicane e dei culti politeistici dell’antica Roma, il loro potere venne gradualmente indebolito dalla creazione da parte di Costantino di un Senato orientale nella sua nuova capitale.
Il grado di adesione di Costantino alla nuova fede è al centro di un ampio dibattito. Per quanto gli autori cristiani, seguendo Eusebio, insistano su una sua conversione precedente alla battaglia di ponte Milvio, avvenuta alle porte di Roma nel 312, Costantino continuò a promuovere un culto imperiale associato a specifiche divinità pagane. Nondimeno, un anno dopo, in un decreto noto come l’editto di Milano, al cristianesimo vennero concessi gli stessi privilegi degli altri culti, a condizione che tutti i suoi seguaci pregassero il loro dio per il benessere e la gloria dell’impero romano, così come gli altri gruppi erano obbligati a fare. Nonostante i cristiani costituissero una minoranza e non fossero per niente uniti, la protezione dell’imperatore favorì il loro predominio, che venne celebrato nel concilio che ebbe luogo a Nicea nel 325. L’imperatore convocò tutti i vescovi dell’impero romano e li incaricò di trovare una definizione della fede cristiana – la professione di fede o credo – e di risolvere problemi di ordine ecclesiastico. L’assemblea identificò la dottrina elaborata da Ario, un diacono della chiesa di Alessandria, come eterodossa ed eretica. In seguito, venne commemorato come il primo concilio ecumenico (universale), la sua definizione di fede divenne il credo (o simbolo) niceno e i suoi sostenitori possono essere identificati come cristiani cattolici.
Costantino abolì la guardia pretoriana di Roma per essersi schierata contro di lui a ponte Milvio, e fece costruire diverse delle più importanti chiese della città; fece dono di una grande basilica e del patriarchio, che divenne il palazzo del Laterano, al suo vescovo, mentre sua madre, l’imperatrice Elena, sovrintendeva alla costruzione di edifici simili a Gerusalemme, Betlemme e Roma.4 Sul suo letto di morte, Costantino chiese di essere battezzato dal vescovo di Nicomedia e fu il primo imperatore romano a ricevere una sepoltura cristiana, in un sarcofago all’interno del mausoleo che aveva fatto costruire per sé e per la propria famiglia, una struttura a pianta rotonda annessa alla chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli.5 Dopo la sua morte nel 337, i suoi figli si combatterono per succedergli nella carica di imperatore unico, ma gradualmente s’instaurò una separazione di fatto dell’impero, secondo cui l’imperatore supremo, che risiedeva a Costantinopoli, normalmente nominava un imperatore «minore» associato, che governava sull’Occidente.6
Nel corso del IV secolo, le due metà dell’impero romano divennero sempre meno equilibrate. Sotto la dinastia costantiniana la nuova capitale Costantinopoli accrebbe il proprio prestigio, mentre Roma proseguiva il suo declino; le province occidentali transalpine rimanevano più povere dell’Oriente, dove il potere veniva esercitato con più efficacia. Alla morte dell’imperatore Giuliano l’Apostata nel 363, degli ufficiali dell’esercito si assunsero la responsabilità di assegnare la carica imperiale. Un anno dopo, Valentiniano, un generale della Pannonia, nei Balcani occidentali, venne acclamato dai capi militari e dai funzionari civici, ed egli promosse il suo fratello minore Valente coimperatore. Entrambi i sovrani furono costretti ad affrontare minacce militari, che portarono Valentiniano a Milano e quindi a Treviri, mentre Valente si stabilì ad Antiochia per fronteggiare i persiani. Entrambi furono cristiani, sebbene Valente sostenesse gli ariani.

La teologia di Ario

Nonostante la creazione nel 325 del credo niceno da recitare durante ogni messa, Costantino non riuscì a risolvere il dibattito sull’arianesimo. Alcuni cristiani ritenevano che l’insistenza su un Dio unico (monoteismo), che forniva alla loro fede un carattere così differente dai culti degli antichi dei e dee (politeismo), fosse compromessa dalla fede nella Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Altri insistevano che non fosse appropriato che il Padre non avesse la precedenza sul Figlio, in quanto i padri naturalmente creavano i propri figli. All’inizio del IV secolo, Ario aveva elaborato questa obiezione all’uguaglianza delle tre forme di Dio in una dettagliata tesi teologica che influenzò molto del pensiero successivo. Alla sua definizione si opponeva l’affermazione cattolica secondo cui tutti e tre i membri della Trinità condividevano la stessa sostanza, essenza e natura, che precedevano la nascita di Gesù, il figlio di Dio, come raccontata nei Vangeli. Gli ariani ribattevano che la natura del Figlio poteva essere soltanto simile a quella del Padre (in greco, homoios, da cui deriva l’aggettivo «omoiana» riferito a questa teologia). Malgrado la sconfitta di Ario nel 325, i successori di Costantino considerarono questa teologia omoiana come ortodossa e si servirono di missionari per diffonderla tra le tribù germaniche. Gli ariani riuscirono a fondare una chiesa rivale che si assicurò la fedeltà degli imperatori del IV secolo, e stabilirono le proprie definizioni «ortodosse» (e «cattoliche» nel senso di «universali») della fede corretta, opposte a quelle degli avversari cattolici, che avevano le stesse rivendicazioni.7
A Costantinopoli il clero ariano ebbe un supporto considerevole da parte dei comandanti militari di origine germanica e gotica. I goti erano stati convertiti al cristianesimo ariano in quanto dottrina ufficiale «ortodossa», e il loro vescovo fondatore, Ulfila (che ricoprì la carica dal 341 al 381), aveva ideato un alfabeto per la propria gente e quindi aveva tradotto la Bibbia e i testi liturgici in gotico, in modo che i goti potessero professare la fede nella propria lingua. In concomitanza con l’appoggio di Costanzo II (al trono dal 337 al 361) e Valente (coimperatore dal 364 al 378), l’arianesimo si diffuse nell’Occidente, in particolare a Milano, allora capitale della metà occidentale dell’impero romano. La popolazione cristiana della città era divisa in due fazioni rivali: da una parte i sostenitori di Ario e dall’altra gli oppositori che rimanevano fedeli alle decisioni del concilio di Nicea. Nel 355, un sinodo locale tenuto a Milano impose la visione a favore degli ariani e nominò vescovo Aussenzio, un discepolo di Ulfila originario dell’Oriente.8 Nonostante i molti tentativi di spodestarlo, egli mantenne il controllo di Milano per vent’anni sostenendo la dottrina ariana, che continuò a generare violenti scontri come ricordato da Ambrogio, vescovo cattolico di Milano (dal 374 al 397).
Al contrario, l’arianesimo ebbe un impatto minore a Roma, che era ancora dominata da un Senato ampiamente pagano. La comunità cristiana, guidata da vescovi che facevano risalire le loro origini a san Pietro, era emersa molto gradualmente dai culti politeistici cittadini profondamente legati ai loro impressionanti templi sul Campidoglio, dove erano praticati sacrifici all’imperatore, e in tutto il Foro, dove le vergini vestali custodivano la sacra fiamma presso il tempio di Vesta. Gli imperatori si recavano molto di rado a Roma; la visita ufficiale di Costanzo II nel 357 fu un evento eccezionale che non si ripeté finché Teodosio I non fece lo stesso viaggio più di trent’anni dopo.9 Il destino dell’impero, tuttavia, sarebbe stato deciso sui distanti confini, lontano dalle immediate preoccupazioni del Senato romano o del vescovo della città, da eserciti germanici che avevano abbracciato il cristianesimo ariano.
Una debolezza significativa dell’intera amministrazione romana può essere riconosciuta nel numero crescente di mercenari non romani presenti nell’esercito. Spesso arruolati nelle regioni balcaniche e guidati dai loro stessi comandanti, che venivano pagati per ogni campagna a cui partecipavano, alcuni perseguivano l’ambizione di occupare un territorio imperiale come alleati confederati dell’imperatore, altri minacciavano semplicemente invasioni e devastazioni. Dal momento che l’influenza di queste truppe ausiliarie crebbe nel corso di tutto il IV secolo, esse iniziarono a dominare l’esercito romano e a diffondere la propria adesione al cristianesimo ariano.10 I loro generali germanici e gotici raggiunsero alte cariche militari, aggravarono una profonda divisione all’interno dell’esercito e promossero la dottrina cristiana rivale che era spesso condivisa dai popoli ostili al di là dei confini dell’impero. La riduzione del potere imperiale militare divenne chiara nella disastrosa battaglia di Adrianopoli del 378, quando le forze gotiche uccisero l’imperatore Valente con molti dei suoi generali in una disfatta totale e senza precedenti.

I successi di Teodosio I (379-395)

In seguito a questa devastante sconfitta, il giovane imperatore d’Occidente, Graziano, dovette rivolgersi a Teodosio, un generale romano in disgrazia che si era ritirato in Spagna dopo l’esecuzione di suo padre, affinché salvasse Costantinopoli dai goti. Puntualmente, Teodosio intraprese il lungo viaggio dalla Spagna all’Oriente. Dopo aver sconfitto i sarmati nei pressi di Sirmium nei Balcani, Teodosio venne acclamato imperatore dalle sue truppe, e Graziano rese la sua nomina ufficiale il 19 gennaio 379 (Tavola 1). Il primo periodo del suo regno fu caratterizzato prima dagli scontri e quindi dai negoziati con i goti, che riguardavano il loro proposito di stabilirsi all’interno dell’impero nelle ricche terre a sud del Danubio. Quindi, Teodosio insediò un gran numero di famiglie gotiche su territorio imperiale come forze confederate, obbligate a combattere per l’impero. Il suo lungo governo costituì un a...

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