GiĂ piĂš dâuna volta câè occorso di far menzione della guerra che allora bolliva, per la successione agli stati del duca Vincenzo Gonzaga, secondo di quel nome; ma câè occorso sempre in momenti di gran fretta: sicchè non abbiam mai potuto darne piĂš che un cenno alla sfuggita. Ora però, allâintelligenza del nostro racconto si richiede proprio dâaverne qualche notizia piĂš particolare. Son cose che chi conosce la storia le deve sapere; ma siccome, per un giusto sentimento di noi medesimi, dobbiam supporre che questâopera non possa esser letta se non da ignoranti, cosĂŹ non sarĂ male che ne diciamo qui quanto basti per infarinarne chi nâavesse bisogno.
Abbiam detto che, alla morte di quel duca, il primo chiamato, in linea di successione, Carlo Gonzaga, capo dâun ramo cadetto trapiantato in Francia, dove possedeva i ducati di Nevers e di RhĂŠtel, era entrato al possesso di Mantova; e ora aggiungiamo, del Monferrato: che la fretta appunto ce lâaveva fatto lasciar nella penna. La corte di Madrid, che voleva a ogni patto (abbiam detto anche questo) escludere da queâ due feudi il nuovo principe, e per escluderlo aveva bisogno dâuna ragione (perchè le guerre fatte senza una ragione sarebbero ingiuste),1 sâera dichiarata sostenitrice di quella che pretendevano avere, su Mantova, un altro Gonzaga, Ferrante,2 principe di Guastalla; sul Monferrato Carlo Emanuele I,3 duca di Savoia, e Margherita Gonzaga,4 duchessa vedova di Lorena. Don Gonzalo,5 châera della casa del gran capitano, e ne portava il nome, e che aveva giĂ fatto la guerra in Fiandra, voglioso oltremodo di condurne una in Italia, era forse quello che faceva piĂš fuoco, perchè questa si dichiarasse; e intanto, interpretando lâintenzioni e precorrendo gli ordini della corte suddetta, aveva concluso col duca di Savoia un trattato dâinvasione e di divisione del Monferrato; e nâaveva poi ottenuta facilmente la ratificazione dal conte duca, facendogli creder molto agevole lâacquisto di Casale, châera il punto piĂš difeso della parte pattuita al re di Spagna. Protestava però, in nome di questo, di non volere occupar paese, se non a titolo di deposito, fino alla sentenza dellâimperatore; il quale, in parte per gli ufizi altrui, in parte per suoi propri motivi, aveva intanto negata lâinvestitura al nuovo duca, e intimatogli che rilasciasse a lui in sequestro gli stati controversi: lui poi, sentite le parti, li rimetterebbe a chi fosse di dovere. Cosa alla quale il Nevers non sâera voluto piegare.
Aveva anche lui amici dâimportanza: il cardinale di Richelieu,6 i signori veneziani,7 e il papa, châera, come abbiam detto, Urbano VIII.8 Ma il primo, impegnato allora nellâassedio della Roccella9 e in una guerra con lâInghilterra, attraversato dal partito della regina madre, Maria deâ Medici,10 contraria, per certi suoi motivi, alla casa di Nevers, non poteva dare che delle speranze. I veneziani non volevan moversi, e nemmeno dichiararsi, se prima un esercito francese non fosse calato in Italia; e, aiutando il duca sotto mano, come potevano, con la corte di Madrid e col governatore di Milano, stavano sulle proteste, sulle proposte, sullâesortazioni, placide o minacciose, secondo i momenti. Il papa raccomandava il Nevers agli amici, intercedeva in suo favore presso gli avversari, faceva progetti dâaccomodamento; di metter gente in campo non ne voleva saper nulla.
CosĂŹ i due alleati alle offese poterono, tanto piĂš sicuramente, cominciar lâimpresa concertata. Il duca di Savoia era entrato, dalla sua parte, nel Monferrato; don Gonzalo aveva messo, con gran voglia,11 lâassedio a Casale; ma non ci trovava tutta quella soddisfazione che sâera immaginato: che non credeste che nella guerra sia tutto rose. La corte non lâaiutava a seconda deâ suoi desidèri, anzi gli lasciava mancare i mezzi piĂš necessari; lâalleato lâaiutava troppo: voglio dire che, dopo aver presa la sua porzione, andava spilluzzicando quella assegnata al re di Spagna. Don Gonzalo se ne rodeva quanto mai si possa dire; ma temendo, se faceva appena un poâ di rumore, che quel Carlo Emanuele, cosĂŹ attivo neâ maneggi e mobile neâ trattati, come prode nellâarmi, si voltasse alla Francia, doveva chiudere un occhio, mandarla giĂš, e stare zitto. Lâassedio poi andava male, in lungo, ogni tanto allâindietro, e per il contegno saldo, vigilante, risoluto degli assediati, e per aver lui poca gente, e, al dire di qualche storico,12 per i molti spropositi che faceva. Su questo noi lasciamo la veritĂ a suo luogo, disposti anche, quando la cosa fosse realmente cosĂŹ, a trovarla bellissima, se fu cagione che in quellâimpresa sia restato morto, smozzicato, storpiato qualche uomo di meno, e, ceteris paribus, anche soltanto un poâ meno danneggiati i tegoli di Casale.13 In questi frangenti ricevette la nuova della sedizione di Milano, e ci accorse in persona.
Qui, nel ragguaglio che gli si diede, fu fatta anche menzione della fuga ribelle e clamorosa di Renzo, deâ fatti veri e supposti châerano stati cagione del suo arresto; e gli si seppe anche dire che questo tale sâera rifugiato sul territorio di Bergamo. Questa circostanza fermò lâattenzione di don Gonzalo. Era informato da tuttâaltra parte, che a Venezia avevano alzata la cresta, per la sommossa di Milano; che da principio avevan creduto che sarebbe costretto a levar lâassedio da Casale, e pensavan tuttavia che ne fosse ancora sbalordito, e in gran pensiero: tanto piĂš che, subito dopo quellâavvenimento, era arrivata la notizia, sospirata da queâ signori e temuta da lui, della resa della Roccella. E scottandogli molto, e come uomo e come politico, che queâ signori avessero un tal concetto deâ fatti suoi, spiava ogni occasione di persuaderli, per via dâinduzione, che non aveva perso nulla dellâantica sicurezza; giacchè il dire espressamente: non ho paura, è come non dir nulla. Un buon mezzo è di fare il disgustato, di querelarsi, di reclamare: e perciò, essendo venuto il residente di Venezia a fargli un complimento, e ad esplorare insieme, nella sua faccia e nel suo contegno, come stesse dentro di sè (notate tutto; chè questa è politica di quella vecchia fine),14 don Gonzalo, dopo aver parlato del tumulto, leggermente e da uomo che ha giĂ messo riparo a tutto; fece quel fracasso che sapete a proposito di Renzo; come sapete anche quel che ne venne in conseguenza. Dopo, non sâoccupò piĂš dâun affare cosĂŹ minuto e, in quanto a lui, terminato; e quando poi, che fu un pezzo dopo, gli arrivò la risposta, al campo sopra Casale, dovâera tornato, e dove aveva tuttâaltri pensieri, alzò e dimenò la testa, come un baco da seta15 che cerchi la foglia: stette lĂŹ un momento, per farsi tornar vivo nella memoria quel fatto, di cui non ci rimaneva piĂš che unâombra; si rammentò della cosa, ebbe unâidea fugace e confusa del personaggio; passò ad altro, e non ci pensò piĂš.
Ma Renzo, il quale, da quel poco che gli sâera fatto veder per aria, doveva supporre tuttâaltro che una cosĂŹ benigna noncuranza, stette un pezzo senzâaltro pensiero o, per dir meglio, senzâaltro studio, che di viver nascosto. Pensate se si struggeva di mandar le sue nuove alle donne, e dâaver le loro; ma câeran due gran difficoltĂ . Una, che avrebbe dovuto anche lui confidarsi a un segretario, perchè il poverino non sapeva scrivere, e neppur leggere, nel senso esteso della parola; e se, interrogato di ciò, come forse vi ricorderete, dal dottor Azzeccagarbugli, aveva risposto di sĂŹ, non fu un vanto, una sparata, come si dice; ma era la veritĂ che lo stampato lo sapeva leggere, mettendoci il suo tempo: lo scritto è un altro par di maniche. Era dunque costretto a mettere un terzo a parte deâ suoi interessi, dâun segreto cosĂŹ geloso: e un uomo che sapesse tener la penna in mano, e di cui uno si potesse fidare, a queâ tempi non si trovava cosĂŹ facilmente; tanto piĂš in un paese dove non sâavesse nessuna antica conoscenza. Lâaltra difficoltĂ era dâavere anche un corriere; un uomo che andasse appunto da quelle parti, che volesse incaricarsi della lettera, e darsi davvero il pensiero di recapitarla; tutte cose, anche queste, difficili a trovarsi in un uomo solo.
Finalmente, cerca e ricerca, trovò chi scrivesse per lui. Ma, non sapendo se le donne fossero ancora a Monza, o dove, credè bene di fare accluder la lettera per Agnese in unâaltra diretta al padre Cristoforo. Lo scrivano prese anche lâincarico di far recapitare il plico: lo consegnò a uno che doveva passare non lontano da Pescarenico; costui lo lasciò, con molte raccomandazioni, in unâosteria sulla strada, al punto piĂš vicino; trattandosi che il plico era indirizzato a un convento, ci arrivò; ma cosa nâavvenisse dopo non sâè mai saputo.16 Renzo, non vedendo comparir risposta, fece stendere unâaltra lettera, a un di presso come la prima, e accluderla in unâaltra a un suo amico di Lecco, o parente che fosse. Si cercò un altro latore, si trovò; questa volta la lettera arrivò a chi era diretta. Agnese trottò a Maggianico, se la fece leggere e spiegare da quellâAlessio suo cugino: concertò con lui una risposta, che questo mise in carta; si trovò il mezzo di mandarla ad Antonio Rivolta nel luogo del suo domicilio: tutto questo però non cosĂŹ presto come noi lo raccontiamo. Renzo ebbe la risposta, e fece riscrivere. In somma, sâavviò ...