In un volo di storni
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In un volo di storni

Le meraviglie dei sistemi complessi

Giorgio Parisi

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Le meraviglie dei sistemi complessi

Giorgio Parisi

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IL NUOVO LIBRO DI GIORGIO PARISI, VINCITORE DEL PREMIO NOBEL PER LA FISICA 2021 "Il lavoro migliore di una vita di ricerca può saltare fuori per caso: lo si incontra su una strada percorsa per andare da un'altra parte." "Le idee spesso sono come un boomerang: partono in una direzione ma poi vanno a finire altrove. Se si ottengono risultati interessanti e insoliti, le applicazioni possono apparire in campi assolutamente imprevisti." Realtà sperimentali che sembrano sfuggire a ogni legge, ricerche che portano a scoperte che sorprendono lo stesso ricercatore, il lampeggiare dell'intuizione fisica e matematica: è il mondo indagato da più di cinquant'anni da Giorgio Parisi, vincitore nel 2021 del premio Nobel. Dall'ingresso, nel 1966, all'istituto di Fisica di Roma (dal retro, perché gli studenti dei primi due anni non potevano passare dalla porta principale) al Nobel sfiorato già all'età di venticinque anni, dagli studi pionieristici sulle particelle all'interesse per fenomeni enigmatici come le trasformazioni di stato, i "vetri di spin" e il volo degli storni, dalle riflessioni su come nascono le idee a quelle sul senso della scienza nella nostra società, questo libro è un viaggio nella mente geniale di un fisico che ha cercato le regole dei sistemi complessi, perché quelli semplici gli sono sempre sembrati un po' troppo noiosi.

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Information

Publisher
RIZZOLI
Year
2021
ISBN
9788831806442

Vetri di spin: l’introduzione del disordine

Gran parte dell’intelligenza artificiale che si trova nelle applicazioni più comuni di internet si basa sulla teoria dei vetri di spin e le reti neuronali.
Il lavoro migliore di una vita di ricerca può saltare fuori per caso: lo si incontra su una strada percorsa per andare da un’altra parte.
A me è accaduto così. Quello che è ritenuto il mio miglior contributo alla fisica, ovvero la teoria dei vetri di spin, è nato mentre studiavo un problema di particelle elementari.
Per risolverlo, sembrava che lo strumento più adatto fosse una certa tecnica matematica, chiamata metodo delle repliche, che io ancora non conoscevo. Mi procurai tutta la letteratura esistente sull’argomento e iniziai a studiarla. Quello delle repliche è un metodo matematico in cui si prende un sistema e lo si replica diverse volte, quindi si confronta il comportamento delle diverse repliche. Sembrava effettivamente adatto alla risoluzione del mio problema ma, in uno dei casi descritti in letteratura, dava risultati del tutto incoerenti senza che se ne capisse il motivo.
Affrontare un problema nuovo, e quindi non chiaro per definizione, con uno strumento che forse non funzionava non era una buona idea. È come usare una bussola che ogni tanto segna sud invece che nord senza nemmeno che si sappia quando o perché.
Decisi quindi di capire quanto lo strumento fosse affidabile.
Era poco prima del Natale 1978, allora lavoravo a Frascati. Fotocopiai l’articolo che esponeva il caso in cui la tecnica delle repliche conduceva a risultati inattendibili e lo portai con me durante le vacanze.
L’articolo riguardava problemi legati a sistemi disordinati e vetri di spin, argomenti molto lontani dal mio campo di studio di quel periodo e di cui non mi ero mai occupato. D’altra parte era cruciale capire perché in quel caso il metodo non funzionasse. Studiai il modello e rifeci tutti i conti: erano giusti, ma il risultato era incongruente. La cosa meritava di essere approfondita.
Al ritorno dalle vacanze trovai alcuni lavori che presentavano progressi e la soluzione sembrava a portata di mano. Provai a risolvere il problema partendo da quegli studi più avanzati pensando che sarebbe stato facile, ma più ci lavoravo e più il problema appariva difficile.
Se alcuni risultati diventavano coerenti, altri si allontanavano dai valori delle simulazioni numeriche, e questo era un indizio che la soluzione non era vicina. Probabilmente sarebbe stato necessario un radicale cambiamento di prospettiva.
Senza che me ne fossi accorto, stavo esplorando un nuovo campo di ricerca. Non pensavo più al problema di particelle elementari dal quale ero partito; il mio interesse era stato attirato da tutt’altro.

I vetri di spin

I vetri di spin sono leghe metalliche che prendono questo nome perché la loro transizione di fase magnetica, dovuta al comportamento degli spin delle particelle che formano la lega, si comporta come le transizioni di fase del vetro.
Queste leghe sono formate da metalli nobili, come oro o argento, all’interno dei quali è stata diluita una piccola quantità di ferro. Ad alte temperature si comportano alla stregua di normali sistemi magnetici, ma quando la temperatura scende sotto un certo valore compaiono comportamenti simili a quelli del vetro, della cera o del bitume: i cambiamenti diventano sempre più lenti e sembra che il sistema non raggiunga mai uno stato di equilibrio.
A scuola abbiamo studiato che un liquido è un materiale che prende la forma del solido nel quale viene versato. È chiaro, quindi, che il vetro ad alta temperatura è un liquido, ma è anche evidente che questo liquido presenta dei comportamenti insoliti. Ad esempio, se prendiamo un contenitore pieno di vetro fuso (o di miele o di cera) e lo giriamo, il liquido non cade subito sul pavimento, ma comincia a «colare» pian piano dal recipiente. Più il vetro si raffredda e più lentamente cola: per qualche motivo il comportamento del sistema rallenta enormemente.
Il fortissimo rallentamento della dinamica del sistema all’abbassarsi della temperatura ha qualcosa in comune con il comportamento della magnetizzazione per le leghe metalliche. È come se, diminuendo la temperatura, diminuissero al tempo stesso le possibilità di movimento degli spin e quindi diventasse per loro impossibile raggiungere la posizione di equilibrio.
Torniamo all’esempio di prima e pensiamo a un autobus che si riempie di persone: finché la densità è relativamente bassa, una persona che vuole andare da un punto a un altro fa spostare le altre persone e passa. Ovviamente le persone che si spostano ne faranno spostare altre, a catena. Tutto funziona bene finché c’è molto spazio, ma più la densità diventa alta e i contatti si fanno stretti, più lo spazio fra una persona e l’altra diminuisce, più diventa difficile muoversi e ci si incastra sempre più. Gli inglesi lo chiamano traffic jam («ingorgo», «blocco del traffico»).
Il fenomeno era abbastanza generale (riguarda vetro, cera, miele, pece, leghe metalliche…) da spingere gli studiosi a indagarne il funzionamento. Il modo migliore per affrontarlo era quello di costruire un modello, inizialmente semplice, che riproducesse il fenomeno. Questo procedimento avrebbe permesso di trovare le caratteristiche o le interazioni essenziali che portano a un rallentamento della dinamica al variare della temperatura. Caratteristiche e interazioni che, presenti appunto nei vetri, nel miele, nella cera, nel bitume e in alcune leghe metalliche, dovevano invece essere assenti nell’acqua o in generale nella quasi totalità degli altri liquidi che non presentano questo comportamento.

I modelli

Studiare le transizioni di fase di questi materiali è difficile anche da un punto di vista sperimentale. Come nota curiosa, posso dirvi che in Australia stanno conducendo un esperimento unico nel suo genere. Hanno preso una quantità di pece a temperatura controllata in una situazione dove permane ancora un po’ di viscosità (quindi la pece continua a muoversi e può formare delle gocce) e misurano la frequenza con cui le gocce cadono. L’esperimento è cominciato nel 1927 e fino al 2014 erano cadute solo nove gocce. Poi non l’ho più seguito, ma è comunque difficile immaginare tra quanto tempo avremo qualche risultato interessante…
Questi sistemi sono complessi da studiare e l’idea migliore è sicuramente quella di costruire un modello sintetico più semplice delle situazioni reali, che ci possa aiutare a trovare delle soluzioni.
Per capire cosa sia un modello e quale sia la sua utilità per un fisico teorico possiamo pensare al gioco del Monopoli. È un modello di società in cui sono state inserite solo poche, semplici regole: la disposizione e il costo dei terreni, il costo delle costruzioni e il valore delle rendite immobiliari. Sono stati poi aggiunti elementi casuali sempre presenti nelle nostre vite: il lancio dei dadi per spostarsi, «imprevisti» e «probabilità» per uscire o entrare in situazioni difficili.
Con queste semplici regole, dopo un po’ che giocate vi accorgete che emerge una caratteristica dei sistemi capitalistici: chi ha più soldi diventa sempre più ricco.
Come il Monopoli non contiene tutta la complessità di una società reale, ma riesce a coglierne alcune caratteristiche, così i modelli costruiti dai fisici non contengono tutta la complessità dei sistemi reali ma, se siamo capaci di introdurre nel modello le regole significative, possiamo sperare che riescano a riprodurre alcune delle caratteristiche fondamentali del fenomeno che vogliamo studiare.
Una volta costruito il modello e inserite le regole che descrivono il suo funzionamento, possiamo far evolvere il sistema, cioè iniziare la nostra partita di Monopoli, oppure simulare al calcolatore la transizione di fase del nostro sistema, alzando o abbassando quella che abbiamo definito essere la temperatura del nostro modello sintetico.
Il modello, evolvendo, genererà alcuni risultati come, nel caso del Monopoli, «chi ha più soldi diventa sempre più ricco» o, nel caso del modello di Ising, la fase ferromagnetica che emerge all’abbassarsi della temperatura.
Quindi comincia il lavoro per sviluppare la teoria, cioè la struttura matematica che riproduca i risultati delle simulazioni, partendo dalle regole e dai dati iniziali del nostro modello sintetico. Il laboratorio sperimentale non consiste più in magneti, circuiti, fornelli o altro ancora: adesso è il nostro computer, con il quale non vogliamo più riprodurre il funzionamento delle leghe metalliche, ma quello del nostro modello.
Se riusciremo a farlo, ci occuperemo in un secondo momento di capire come la teoria trovata sia davvero utile nei casi reali: leghe metalliche, vetro, cera e molti, moltissimi altri sistemi.

Il modello dei vetri di spin

Nel modello di Ising che abbiamo visto in precedenza, le forze tra gli spin sono tali che, a bassa temperatura, essi tendono ad allinearsi nella stessa direzione, o tutti verso l’alto, o tutti verso il basso.
Nel modello dei vetri di spin, invece, la forza che agisce tra alcune coppie di spin tende a orientarli in direzione opposta, e questo complica la situazione.
Facciamo un esempio pratico. Nella vita ci accorgiamo facilmente che i nostri obiettivi sono spesso incompatibili con gli obiettivi degli altri: così siamo costretti a rinunciare a perseguire i nostri. Ad esempio io vorrei essere amico del signor Bianchi e del signor Rossi, ma purtroppo loro si odiano e così anche per me diventa difficile essere simultaneamente molto amico di tutti e due. Questa situazione, di per sé frustrante, diventa ancora più complessa quando sono coinvolti tanti individui.
Raffiguriamoci una tragedia di questo tipo: c’è una lotta tra due gruppi e ogni personaggio del dramma deve scegliere da che parte stare. Ognuno di loro, inoltre, ha forti simpatie o antipatie nei confronti degli altri (è proprio una tragedia!). Per semplicità possiamo assumere che i sentimenti di simpatia o antipatia siano reciproci (oggi sono stati sviluppati metodi che permettono di gestire anche situazioni in cui i sentimenti non sono reciproci).
Prendiamo tre personaggi di questo dramma, Anna, Beatrice e Carlo. Se tutti e tre si stanno simpatici a vicenda, non c’è nessun problema: sceglieranno lo stesso gruppo. Altrettanto semplice sarà la soluzione se due di loro si stanno simpatici e ambedue provano antipatia, ricambiata, per il terzo. In questo caso la coppia affiatata sceglierà un gruppo e il personaggio rimanente opterà per l’altro. Ma cosa accadrà se tutti e tre si stanno antipatici tra loro? Risulterà un certo grado di frustrazione perché due persone che provano reciproca antipatia dovranno necessariamente stare nello stesso gruppo.
Quando molte triplette sono frustrate, evidentemente la situazione inizia a diventare instabile, alcuni possono cambiare gruppo cercando di trovare uno stato in cui la frustrazione totale sia più bassa. Possiamo definire la «tensione drammatica» come il numero di triplette frustrate diviso il numero totale di triplette.
Studi dettagliati hanno mostrato come nelle tragedie di Shakespeare la tensione drammatica così definita sia abbastanza bassa all’inizio della tragedia, raggiunga un massimo circa a metà della rappresentazione, per poi decrescere verso la fine.
Figura 6. Schema di un vetro di spin. A bassa temperatura, gli spin collegati dalla linea tratteggiata cercano di sistemarsi in verso opposto tra loro, mentre gli spin collegati dalla linea continua cercano di allinearsi nello stesso senso.
Figura 6. Schema di un vetro di spin. A bassa temperatura, gli spin collegati dalla linea tratteggiata cercano di sistemarsi in verso opposto tra loro, mentre gli spin collegati dalla linea continua cercano di allinearsi nello stesso senso.
Nello schema di vetro di spin illustrato nella figura 6, in cui non ci sono più le triplette ma gli spin sono posizionati su un reticolo quadrato, ogni spin potrà orientarsi solo verso l’alto o verso il basso (è vietata qualsiasi altra orientazione). Quello che prima potevamo definire come «legame simpatia» adesso lo chiamiamo «legame ferromagnetico»: è una forza che tende ad allineare gli spin nello stesso verso e nella figura 6 lo abbiamo riprodotto con la riga continua. Il «legame antipatia» diventa invece il «legame antiferromagnetico»: è riprodotto con la riga tratteggiata e rappresenta una forza che tende ad allineare gli spin in verso opposto. Anche in questo caso possiamo verificare facilmente come esistano situazioni di frustrazione. Guardiamo ad esempio la figura 7.
Figura 7. I tre legami riprodotti con la linea continua sono ferromagnetici, mentre quello riprodotto con la linea tratteggiata è antiferromagnetico.
Figura 7. I tre legami riprodotti con la linea continua sono ferromagnetici, mentre quello riprodotto con la linea tratteggiata è antiferromagnetico.
In questo caso, lo spin in alto a sinistra ha un legame antiferromagnetico con lo spin sottostante e uno ferromagnetico con lo spin a destra, quindi può soddisfarne solo uno dei due e non sa se allinearsi verso l’alto o verso il basso.
I primi modelli di vetri di spin erano stati utilizzati da Edwards e Anderson, ma il modello più semplice era stato costruito da Sherrington e Kirkpatrick nel 1975.
Tornando al mio problema, se si usava la tecnica delle repliche per calcolare le grandezze fisiche del sistema dei vetri di spin descritto dal modello di Sherrington e Kirkpatrick, si arrivava a una serie di incongruenze. Ad esempio il calcolo dell’entropia portava a valori negativi e questo non è possibile, dato che in ogni sistema fisico l’entropia è una variabile per definizione positiva. Se il calcolo dell’entropia di un sistema porta a risultati negativi, o sono sbagliati i calcoli (cosa che capita, ma non era questo il caso, come tutti avevamo controllato), oppure da qualche parte c’è un errore concettuale.

La ricerca della soluzione

Gli errori concettuali che facevo inizialmente erano due. Il primo era un errore tecnico, e in quanto tale è difficile da spiegare ai non addetti ai lavori; era legato comunque ad assunti matematici sbagliati.
L’altro era un errore di fisica e dipendeva dal fatto che proprio non avevo idea delle caratteristiche del fenomeno che stavo studiando (e ci sarebbero voluti più di tre anni per cogliere il senso fisico della soluzione m...

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