1.
Che io che sono uno squilibrato questo l’avevo già capito io da solo tanto tempo fa e poi me l’ha detto anche quello psichiatra che gli avevo telefonato la settimana scorsa ed era il quinto della lista degli psichiatri della mia città ma che però era anche quello che mi ha preso per primo oggi pomeriggio perché gli altri, certi non prendevano più pazienti nuovi e altri mi prendevano solo fra più di un mese, ma io non c’ho tempo da perdere che sto vivendo in un delirio.
2.
Salgo tre piani di scale al buio, cinquantadue cinquantatré cinquantaquattro, nel palazzo dove abito devo farne ottanta, di scalini, non ho mica pensato di accendere le luci ma però qui adesso le dovrei accendere che non vedo più niente, ecco qua l’interruttore rosso ed ecco che le ho accese ed ecco là la porta dello studio dello psichiatra con su scritto suonare ed entrare. Suono ed entro e mi accoglie questa bella segretaria con le tette grandi e i denti da cavallo, si accomodi pure in fondo a destra, sono l’unico che aspetta, c’è un silenzio, mi viene di muovermi piano per non fare rumore, prendo una rivista la sfoglio poi ne prendo un’altra ma quant’è che mi fanno aspettare che non c’è qui nessuno, c’è l’Arcuri in topless e poi anche la Canalis che fa vedere il culo, ma guarda ‘ste due... Poi arriva lo psichiatra, non mi ricordo già più come si chiama, uno dei tanti della lista, doppiomento, mi stringe la mano una stretta moscia e umida buongiorno prego da questa parte, lo seguo e mi asciugo la mano sui pantaloni mente entro in una stanzetta, le pareti spoglie un tappeto rotondo e due poltrone in pelle bianca dell’Ikea. Io le cose dell’Ikea le conosco tutte che all’Ikea ci vado quando non so cosa fare o quando piove o quando, con mia moglie, ci portiamo nostro figlio e lui lo lasciamo all’Enchanted Forest che è dove i genitori lasciano i figli a giocare e a guardare i cartoni per un’ora e intanto i genitori tirano il fiato e fanno finta che devono andare a comperare qualcosa come un divano o una cucina o un armadio ma poi invece comprano solo una candela profumata o dei biscotti svedesi o niente. Qui vicino a me c’è un mobiletto bianco anche quello dell’Ikea con sopra una scatoletta quasi vuota di Clinex. Leggo cosa c’è scritto sulla scatoletta di Clinex, c’è scritto carta riciclata, poi guardo lo psichiatra che mi sta guardando, mi guardava da quando mi ero messo comodo sulla poltrona e mi fa un cenno con la testa come per dirmi d’iniziare a parlare e quindi a quel cenno io gli scarico addosso ogni cosa che mi salta in mente come per esempio che sono anni che non ne posso più di tutto e di tutti e che non sopporto più la vita e le persone e divago e parlo e parlo che mi si secca la bocca e mi ci vorrebbe un bicchiere d’acqua, poi infine dico che ultimamente sto vivendo male la separazione dalla moglie ma che è stata lei a volerla, erano già mesi o addirittura da un anno che lei la voleva e lo scorso febbraio si è decisa ed è andata da un avvocato e poi quell’avvocato mi ha spedito questa lettera sulla quale c’era scritto che mia moglie vuole la separazione e che mi vuole fuori di casa il più presto possibile e che lei si tiene nostro figlio e io posso tenermi la macchina. Prendo fiato. Per un attimo c’è questo gran silenzio, poi lui, Manomoscia, guarda l’orologio e si schiarisce la voce, bene per oggi ci fermiamo qua vuole fissare un appuntamento per settimana prossima? Non lo so non lo so ci penso, e già volo fuori da quel palazzo senza nemmeno contare gli scalini e mi fermo al primo bar che incontro. Una birra, da mezzo.
3.
Sto aspettando nel bel giardino di questa casetta in riva al lago alla periferia della città. Abito in città da un anno, in un quartiere residenziale con tanto verde che si affaccia su questo lago, e allora sono qui che aspetto lo psichiatra numero dodici della lista che mi sono scritto su un foglietto e che in verità è una psichiatressa, un attimo fa mi ha chiesto se preferisco attendere fuori o dentro e io ho detto fuori, che qui fuori c’è questo bel sole di maggio e c’è questo bel rosmarino contro il muro che è una meraviglia che a me il rosmarino mi piace parecchio come anche quei tre rododendri là in fondo, va che belli fammeli andare a vedere da vicino, poi vedo anche delle azalee, oh che belle piante, a me le piante sempreverdi mi piacciono di più che le altre. Sto guardando queste piante e mi perdo via nei miei pensieri ma poi sento una porta aprirsi alle mie spalle e una voce di donna dire arrivederci dottore e grazie e allora mi volto e faccio un passo verso l’entrata della casa e un uomo con i capelli biondi che sembrano una parrucca mi viene incontro e passa oltre e la psichiatressa rimane sull’uscio e accompagna con lo sguardo quel paziente, un uomo con la voce da donna, l’ho visto in volto appena di sfuggita, gli ho visto il rossetto sulle labbra e cammina con quei passetti corti e veloci, il portamento eretto e rigido che per quei dieci passi che lo guardo andare verso la strada mi sembra un burattino di legno, di quelli che gli carichi la chiave dietro la schiena. Poi la psichiatressa, magra e piccinina, uno scricciolo di donna, passa lo sguardo su di me e allunga la mano che ho paura di stringere troppo forte, salve buongiorno scusi se l’ho fatta attendere e mi fa entrare e mi fa accomodare in uno studiolo seminterrato, una finestra in alto dà sulla strada e vedo le gambe di legno dell’uomo con la voce da donna che entrano in una Mercedes bianca nuova di pacca che s’avvia e dobbiamo aspettare che il rumore e il tremare dei vetri cessa. Dopo alcuni lunghi secondi di silenzio la psichiatressa apre la bocca, le prime domande di rito uguali agli altri psichiatri che ho incontrato nelle ultime settimane e allora io cerco di parlare il meno possibile per vedere dove lei vuole andare a parare, ma dopo alcuni minuti lei arriva alla stessa conclusione degli altri che sono uno squilibrato ma fondamentalmente un esistenzialista, dice lei, esistenzialista, e a me vengono in mente quegli scrittori francesi che avevo letto come la nausea e tanti altri, che io i titoli e i nomi non li ricordo mai ma che però la nausea lo ricordo bene perché l’ho letto in italiano in inglese e in francese, anche. Sto pensando che poi con il libro inglese ci avevo fatto un decoupage incollando le pagine strappate a pezzetti su un’anfora che mi aveva regalato la Manuela e non mi rendo conto che la psichiatressa mi sta congedando ecco bene mi telefoni pure quando ne sentirà il bisogno, si era alzata in piedi e con un gesto secco di una mano mi invita a lasciare quella stanzetta senza nemmeno chiedermi se non è che per caso le posso far giù la ricetta per un qualche farmaco, e che cosa pensa che sono venuto fin qui per cosa per guardare il giardino e per raccontarle tutte le balle che le ho raccontato? E allora non trovo chi mi può dare dei medicamenti che il mio amico Carlo me li passava ma che adesso non me li passa più e mi stanno per finire. Allora telefono a un altro psichiatra poi a un altro finché arrivo alla fine della lista degli psichiatri della mia città e non concludo niente. Telefono ancora a casa del Carlo e risponde la moglie ma ancora tu guarda che il Carlo è via per lavoro e te l’avevo già detto ieri e poi ti ripeto anche per l’ultima volta che il Carlo ha smesso non chiamare più. Allora a questo punto non mi resta che estrarre la lista degli psichiatri di un’altra città. Il terzo della lista mi prende domani mattina alle nove ma però ho la macchina in garage che ha qualcosa che non va, quando è a bassi giri si spegne e il meccanico mi ha detto che può essere una stupidata ma che invece può anche essere qualcosa di serio allora la deve attaccare al computer.
4.
Mi devo svegliare presto, nostro figlio sta dormendo da parte a me e mia moglie sta dormendo sul divano, è tornata tardi, lei esce quasi tutte le sere. Mi alzo piano in silenzio, mi vesto e vado su in stazione a piedi, arrivo giusto in tempo per prendere il treno che parte alle sette e trentaquattro precise, viaggia viaggia ed ecco che arrivo all’altra città, devo camminare solamente trecento metri ed eccomi di nuovo seduto su un’altra cazzo di poltrona dell’Ikea. Lo psichiatra che mi siede di fronte è un tipetto anzianotto, ma perché non va in pensione? che ha questo riporto nero tinto che gli dà l’aria di essere il più furbo sulla faccia della terra, sto zitto finché è lui il primo ad aprire la bocca, faccio finta di essere lì solamente con il corpo perché uno che parla troppo come faccio io di solito non è che è veramente depresso e questo me l’aveva detto la moglie del Carlo al telefono e poi mi ha anche detto che uno veramente depresso ha il cervello scollegato e ha le budella attorcigliate attorno alla testa e non parla, così mi ha detto, che quella frase delle budella io me la sono scritta perché mi pareva interessante e l’ho anche spedita con un messaggio alla Manuela. Allora, questo gran volpone d’uno psichiatra mi fa diverse domande e alcune sono dei trabocchetti belli e buoni che riconosco subito e quindi non ci casco, ma con chi crede d’avere a che fare? Si alza in piedi e fa un giro su se stesso, poi ne fa un altro mi guarda fisso per alcuni secondi prima di aprire la bocca vuole ritornare tra una settimana? e io scatto in piedi se mai sarò ancora vivo tra una settimana e mi metto a piangere per davvero sorprendendomi di me stesso che non è che mi viene facile di piangere e soprattutto al momento giusto. Dopo venti minuti esco da una farmacia sorridente con in tasca dell’Efexor e del Distraneurin, mi fermo in un bar e ordino una birra e ne inghiotto un po’ d’ognuna e nel giro di alcuni minuti mi sento inchiodato a questo seggiolino di plastica e capisco che le mie labbra formano un sorriso ebete, la barista ripassa e le ordino un macchiato. Caldo? Le sorrido, ho la mandibola rigida. Bevo il caffè, la barista ripassa, un altro? La guardo di sbieco mentre si allontana galleggiando, ripulisce alcuni tavolini, forse, o sta servendo qualcuno. Non so da quanto tempo sono qui seduto in questo bar. Di sicuro un bel po’. Mi alzo e vado in stazione.
5.
Una volta in casa mi lancio sotto la doccia. Mia moglie e nostro figlio non ci sono. Nostro figlio ha quattro anni, figlio unico. Mia moglie è australiana, siamo sposati da otto anni e ha appena chiesto la separazione, mi vuole fuori di casa al più presto ma io non riesco a trovare un appartamento qui in città che a un disoccupato nessuno affitta nemmeno una cantina. La doccia di martedì pomeriggio non la faccio mai, la doccia la faccio o appena sveglio o prima di andare a letto, e poi di martedì è il turno del bucato e di solito me ne occupo io che mia moglie non lo fa mai, e poi dopo che faccio il bucato incontro sempre l’Anna. Sotto la doccia penso che potrei andare a vivere su in montagna, su là ho una baita che avevano comperato i miei genitori l’anno che venni al mondo, ma è a un’ora di macchina dalla città e io voglio stare vicino a mio figlio. Sotto la doccia mi perdo via poi guardo l’ora, sono in ritardo, non faccio il bucato, mi rivesto con gli stessi vestiti e vado a incontrare la mia amica Anna e ci sediamo al solito tavolino di questo solito bar e ordiniamo il solito cappuccino. Lei vuole sapere come sto, come va con la separazione, con la ricerca del lavoro, come sta mio figlio e presto mi manda in paranoia che devo inghiottire due Distraneurin, lei vede che ora non ho più l’Imap che prendevo prima e fa su la faccia che si fa quando apri una busta e salta fuori un precetto esecutivo hei, ma dai, ma che stai combinando? Ma poi comincio a parlare solo io e per mezz’ora scarico tutto quello che devo scaricare sull’Anna che non la vedevo da una settimana ma io la vorrei vedere più spesso anche tutti i giorni, ma lei è sposata con due figli che fanno le elementari in una scuola privata, loro stanno bene il marito è medico e lei lavora a metà tempo alla libreria di un museo d’arte contemporanea, e poi l’Anna vuole mantenere una certa distanza da me che non posso neppure telefonarle, tanto per fare un esempio, non ho nemmeno il numero e fa bene a fare così, l’Anna, che da quasi un anno è diventata la mia sola confidente, lei e la Manuela, però io con la Manuela ci scriviamo messaggi e ci sentiamo per telefono ogni tanto perché abita troppo lontano, a Genova, a due passi dal mare. L’Anna deve andare ad aprire la libreria, libri di dipinti e sculture, lasciamo il bar, l’accompagno a piedi fin fuori il museo, la guardo mi guarda ed è chiaro a entrambi che vogliamo baciarci o forse è chiaro solo a me, mi fa un sorriso, magari mi stava leggendo nel pensiero, le apro il portone e poi la guardo scomparire. Mi fermo in un bar per una birra e ingurgito dell’Efexor. Controllo quanto mi rimane in tasca e dal cesso esce uno con le mani sulla zip che non riesce a tirarla su e si appoggia al bancone e ordina un caffè.
6.
Appena sveglio ho ancora fresco in testa il sogno che stavo facendo. Stavo sognando dell’impiccagione del Saddam Hussain, ho trovato il video in internet ma nel mio sogno il corpo si staccava dalla testa e cadeva giù sotto e la testa rimaneva legata al cappio e lui mi sorrideva in silenzio.
7.
Mancano due giorni al mio compleanno. Sono al computer a navigare per cercare un appartamento, nell’ultima settimana ne ho visitati alcuni ma tutte le volte che ho dovuto dire che sono disoccupato mi hanno chiuso la porta in faccia. Forse è un segno, io ci credo ai segni, forse è la baita di montagna che mi chiama. E allora sono lì che cerco e ricerco e mia moglie non la smette un attimo d’importunarmi, lei si è appena svegliata, è mezzogiorno e nostro figlio l’ho portato io all’asilo tre ore fa perché lei, la viveur, ieri sera è uscita ed è tornata che era quasi giorno. Adesso sta aspettando che viene su il caffè, ha tutti i capelli per aria e il fiato pesante e intanto che aspetta il caffè con un commento prima e uno poi e uno dopo mi manda su tutte le f...