Capitolo 1
Al cancello
#piattaforma
Il brand è una piattaforma dinamica che si alimenta delle relazioni con i suoi stakeholder. Il brand va ben oltre la facciata del logo.
1.1Metti il nome sul citofono se vuoi che ti trovino
Scena 1. Vienna, ottobre 2019. Dopo 42.195 metri, la distanza netta di una maratona, Eliud Kipchoge ferma il cronometro a 1 ora 59’40’’. Tecnicamente non si può parlare di record, ma l’impresa passa alla storia. Nessun uomo era mai riuscito a correre quella distanza in così poco tempo.
Scena 2. Brackley, dicembre 2020. Mercedes AMG Petronas, incontrastata protagonista delle ultime stagioni di Formula 1, cede il 33% delle sue quote a un nuovo azionista. La stella d’argento aggiunge definitivamente alla sua livrea un tocco di rosso.
Scena 3. Auckland, gennaio 2021. Agguerriti contendenti della 36° edizione dell’America’s Cup, i britannici, guidati dal pluricampione olimpico Ben Ainslie, vincono sei gare su sei e passano di diritto alla finale della Prada Cup (poche settimane dopo cederanno le armi e la vittoria a una strepitosa Luna Rossa, ma questa è un’altra storia).
Un trittico di cronache sportive che hanno in comune, oltre al fascino dell’impresa, una corporation – INEOS – che negli ultimi anni ha deciso di puntare moltissimo sull’associazione del suo brand a valori come la velocità, la performance, l’innovazione. Una mega azienda del settore chimico, con un volume di affari globali di circa 61 miliardi di dollari, 26 mila dipendenti e 184 siti operativi distribuiti in 29 Paesi. Un colosso di cui, fino a poco tempo fa, si dicesse fosse “la più grande azienda di cui nessuno ha mai sentito parlare”.
INEOS WHO? è, non a caso il titolo dell’intervista1 del 2011 in cui Tom Crotty, Group Director for Corporate Affairs and Communication, e Richard Londgen, Group Communication Manager, raccontano il perché di una revisione sostanziale dei principali touchpoint di INEOS, dal sito web alla newsletter passando per il company profile e i social. Sì, perché anche un gruppo che crea volume d’affari per miliardi di dollari deve a un certo punto fare i conti con il tipo di relazione creata con tutti gli stakeholder. Se l’identità di INEOS sul mercato era chiarissima, lo era molto meno sia per i team interni (cosa che può succedere quando si hanno siti operativi in 29 diversi Paesi) sia per prospect e clienti.
A una crescita decisa e repentina in termini di acquisizioni, joint venture e quote di mercato, non era difatti seguito un allineamento del brand e del suo valore percepito. Detto in parole povere, l’aumento di complessità del gruppo non era stato accompagnato da un percorso di consolidamento dell’immagine e della reputazione. Estremizzando potremmo dire che INEOS procedeva fuori sincrono rispetto a se stessa. Un problema per i commerciali, innanzitutto, che non potevano sfruttare al massimo la potenza del gruppo nelle trattative, e per gli HR, costretti a faticare di più nella talent acquisition e nel recruiting.
Riprendendo la metafora che guida questo libro, per gli stakeholder era come arrivare davanti al citofono di un palazzo immenso e non capire bene a quale dei 184 campanelli suonare.
Un palazzo con fondamenta solide, ben radicate nel terreno (il mercato), con strategie di business efficaci ma nessuna insegna, segnaletica o altra indicazione che potesse aiutare collaboratori, clienti e prospect a capire con chiarezza di chi fosse il palazzo, cosa si potesse fare nelle sue stanze e perché.
Una situazione tutt’altro che rara, soprattutto in quel mondo B2B che, in nome di un certo pragmatismo, vede il branding come un investimento secondario o, addirittura, un costo inutile.
1.2Lead from the front
Ecco, ogni volta che pensate al branding come a un costo inutile ricordatevi la domanda da cui è partito il management dell’azienda britannica – INEOS WHO? – e, soprattutto, ricordatevi Hamilton che vince il suo settimo campionato di F1, Kipchoge che vola a una media di 21,18 km orari, una barca a vela che sfrutta l’aerodinamica degli aerei e sfiora velocità impensabili fino a pochi anni fa.
Through grit, determination and rigour, INEOS Sport teams lead from the front, take technology and human performance to the next level, and never shy away from a challenge2.
Non è solo una questione di sponsorizzazioni di team importanti in diverse discipline sportive. La posta in gioco, per INEOS, è molto più alta. Si tratta di:
•Scegliere dove posizionare il brand. Più che rispetto ai competitor3 (a quello ci pensa già il mercato), rispetto a valori assoluti come la tecnologia e la performance. INEOS vuole essere l’avanguardia, presidiare l’avamposto e comunicare sfacciatamente la propria ambizione di guidare dalle prime file. Nel medio e lungo termine questo consentirà al brand di avere una brand reputation consolidata presso pubblici B2B e anche B2C.
•Creare valore potenziale attraverso le attività di branding sportivo: i meteorologi del team di vela hanno dato le indicazioni sulle condizioni necessarie perché Kipchoge potesse correre a quella velocità; il team Mercedes supporta, con i suoi studi di aerodinamica, la squadra ciclistica (un altro degli investimenti di INEOS). Il brand è quindi interpretato come un ecosistema vivente, che si nutre ed evolve grazie alla comunicazione tra i diversi organi. Il brand è un vivaio, dove poter coltivare, disciplinare e monitorare l’evoluzione del proprio business.
•Associarsi a valori forti, favorevoli e unici. In un periodo storico di grande attenzione del pubblico ai temi ambientali, nell’epoca di Greta Thunberg e dei Fridays for Future la terza industria chimica al mondo imprime il suo brand nelle nostre menti associandolo a valori transculturali, che uniscono pubblici differenti, in tutti gli angoli del pianeta. Valori che focalizzano l’attenzione sulla dimensione immateriale del brand, su quell’aura impalpabile che profuma di vittoria invece che di petrolio.
•Accrescere il valore finanziario del brand incrementandone la forza di penetrazione.
Vabbè, direte voi, ma quando uno ha i soldi è facile fare branding, stare sul podio, farsi applaudire per le proprie imprese. Invece no, ve lo possiamo assicurare, fare branding non significa mettere il proprio nome sul fronte del palazzo, attaccare una insegna luminosa e dire “noi siamo qui, guardaci”. Fare branding significa piuttosto progettare strategicamente che tipo di edificio si vuole essere, quale architettura si vuole dare alle relazioni con i diversi stakeholder, quali infrastrutture sono necessarie perché i processi siano fluidi ed efficienti.
Questa considerazione ci aiuta a eliminare il primo grande errore che fanno in molti: pensare che basti un logo per creare un brand. Certamente, il lo...