Mussolini e Hitler
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Mussolini e Hitler

Storia di una relazione pericolosa

Christian Goeschel, Michele Sampaolo

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Mussolini e Hitler

Storia di una relazione pericolosa

Christian Goeschel, Michele Sampaolo

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L'alleanza tra Italia fascista e Germania nazista fu la conseguenza del progressivo avvicinamento tra Mussolini e Hitler. I due dittatori, infatti, coltivarono per oltre 10 anni un rapporto personale e diretto che ebbe enormi conseguenze sui rispettivi paesi e nella storia d'Europa. Ma cosa li legò fino al tracollo definitivo?

Illumina con luce inedita questa cinica e catastrofica 'relazione personale'. Un libro eccellente.Ian Kershaw

Affascinante, ben scritto, molto documentato.Lucy Riall

Brillante, dettagliato e di piacevole lettura.John Foot

Tra il 1934 e il 1944, Hitler e Mussolini si incontrarono diverse volte in Germania e in Italia. Questi eventi vennero celebrati dalla propaganda di entrambi i regimi come tappe nodali mentre la stampa internazionale li osservò con enorme attenzione, contribuendo a diffonderne il sinistro fascino in tutto il mondo. Nonostante il loro clamore e il loro enorme peso, in genere gli storici hanno dedicato poca attenzione alla relazione diretta tra i due dittatori, concentrandosi spesso su aspetti più specifici e legati alla dimensione nazionale. In realtà, questa relazione fu tesa, complessa ed esercitò un fortissimo peso nella diplomazia internazionale, nella preparazione della guerra e nelle decisioni strategiche dei due paesi. Spesso anche ben al di là delle reali intenzioni del Duce e del Führer. Fu, dunque, la relazione tra due uomini, due dittatori, a cambiare il corso della storia europea del XX secolo. Le pagine di questo libro la raccontano nei suoi aspetti più intimi e finora trascurati e lo fa in un momento in cui i timori e le preoccupazioni sulla gestione dei rapporti tra paesi tornano prepotentemente sulla scena pubblica.

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Information

Year
2019
ISBN
9788858140215

1.
All’ombra di Mussolini.
1922-33

I

Dopo la rivoluzione tedesca del novembre 1918 e l’instaurazione della Repubblica di Weimar, Monaco era diventata un focolaio di estremismo politico. Qui, all’inizio degli anni Venti, Hitler e i nazisti, una piccola frangia fra le tante dell’estrema destra, volevano conquistare il potere in Germania. Loro obiettivo era di ripulire la Germania dagli ebrei e creare per essa uno «spazio vitale» nell’Europa orientale. Per accrescere la loro reputazione internazionale e interna, i nazisti avevano puntato le antenne verso i fascisti italiani, formalmente costituiti da Mussolini nel marzo 1919 in movimento nazionale, determinato a vendicare la presunta vittoria mutilata dell’Italia nella Prima guerra mondiale e a trasformare l’Italia in una grande potenza. Da rilevare che l’iniziativa partì dai nazisti, non dai fascisti, il che rivela l’oscurità dei nazisti all’epoca e il fatto che i fascisti italiani erano il primo gruppo fascista del mondo. Nel settembre 1922, mentre Mussolini si preparava a conquistare il potere, Hitler mandò Kurt Lüdecke, un personaggio ambiguo, a incontrare il leader fascista a Milano. Mussolini, che teneva a coltivare buone relazioni con la destra europea in generale per promuovere l’influenza dell’Italia, ricevette Lüdecke, latore di una lettera di raccomandazione del più famoso alleato di Hitler, il generale Erich Ludendorff, considerato in Germania un eroe di guerra1. Fu probabilmente in quell’occasione che Mussolini sentì parlare per la prima volta di Hitler. Mussolini aveva visitato la Germania nel marzo 1922, quando calcolava che la Germania si sarebbe presto ripresa riconquistando il ruolo di grande potenza europea; ma in quel momento Hitler era ancora un personaggio troppo oscuro per lui. Mussolini si curava invece di intessere buone relazioni con una serie di gruppi e fazioni politicamente più promettenti, soprattutto l’Esercito tedesco e l’associazione paramilitare di veterani di estrema destra Stahlhelm. Data l’importanza di Mussolini come stella nascente della politica italiana, uomini politici di rilievo – fra cui il ministro degli Esteri liberale tedesco Walther Rathenau, il leader del partito liberal-nazionale DVP (Deutsche Volkspartei) Gustav Stresemann, e persino il cancelliere Joseph Wirth del Zentrum, il partito cattolico di centro – lo ricevettero2.
Dopo essere diventato capo del governo alla fine di ottobre 1922 a seguito della Marcia su Roma, Mussolini, che aveva tenuto per sé anche il ministero degli Esteri, non ricevette più Lüdecke perché ciò avrebbe compromesso le relazioni ufficiali col governo tedesco, nonostante il ministro degli Esteri tedesco – in uno scambio di comunicazioni con le autorità bavaresi, che mantenevano un occhio vigile sul nascente partito nazista – avesse liquidato Lüdecke come figura insignificante. È interessante notare che, contrariamente a quanto voleva il mito fascista, non fu la dimostrazione di forza messa in atto dai fascisti con la Marcia su Roma da sola a portare Mussolini al potere. Fu piuttosto il re Vittorio Emanuele III che gli conferì l’incarico. La combinazione della violenza fascista con una transizione apparentemente ordinata e costituzionale del potere fu un fatto notevole. Mussolini poté giustamente rivendicare il titolo di primo fascista in Europa ad essere capo di governo, e passò del tempo prima che venisse a conoscere qualcosa di più sul leader nazista3.
Vale la pena esaminare che cosa Hitler pensasse del nascente governo fascista in Italia. Pochi giorni dopo la nomina di Mussolini, Hitler disse a un attivista tedesco di destra: «Ci chiamano fascisti tedeschi. Non voglio discutere in che misura questo confronto sia giusto. Ma in comune con i fascisti abbiamo l’amore incondizionato per la patria, la volontà di strappare la classe lavoratrice agli artigli dell’Internazionale e il fresco spirito cameratesco da prima linea»4.
Hitler cercava qui di legittimare i nazisti e fargli pubblicità portando ad esempio l’evidente successo politico dei fascisti italiani, che avevano guadagnato notorietà fra alcuni e ammirazione fra altri in tutta Europa per la loro brutale violenza contro la sinistra italiana. Il salto di Hitler sul carro fascista fu una scelta rilevante, dal momento che in Germania i pregiudizi contro l’ex nemico della Grande Guerra erano diffusi: era corrente una visione degli italiani come inaffidabili, traditori e indisciplinati. Hitler, quindi, evitò ogni diretta associazione con l’Italia che potesse scoraggiare potenziali sostenitori del nazismo. Per lui era sottinteso che i nazisti, un gruppo tedesco ultranazionalista, non erano semplici emulatori dei fascisti italiani. Più che la semplice somiglianza dell’ideologia, furono delle considerazioni strategiche a suggerire a Hitler di richiamarsi ai fascisti italiani e di paragonarsi a Mussolini. Per Hitler, coltivare i legami con l’Italia di Mussolini era un mezzo per legittimare e promuovere i nazisti in Germania, mentre per Mussolini, i contatti con Hitler e i nazisti erano un modo per affermare il suo ruolo di decano del fascismo europeo e per estendere la potenza dell’Italia5.
In molte altre occasioni il leader nazista espresse la sua adorazione per il Duce. Ma Hitler non era il solo politico tedesco di estrema destra a riferirsi in questo modo a Mussolini6. Dopo la Marcia su Roma, i giornali bavaresi fecero propria la nuova terminologia politica introdotta dai fascisti italiani. Pubblicarono servizi sui «fascisti bavaresi» e il loro leader Hitler, «il Mussolini tedesco»7. È interessante che a guardare a Hitler come al «Mussolini tedesco» non furono solo i diplomatici tedeschi di estrema destra, ma ben presto anche diplomatici e giornali britannici. Liquidare riferimenti del genere come superficiali significa non cogliere il punto: essi, infatti, riflettevano il diffuso fascino esercitato dal nascente regime di Mussolini sulla destra tedesca. In Italia sembrava essersi realizzato un patto ideale tra i fascisti anticomunisti e le istituzioni tradizionali, soprattutto lo Stato italiano e la monarchia, una configurazione politica che avrebbe portato ordine e stabilità nel presunto caos sociale e politico del dopoguerra. Un anno dopo la Marcia su Roma, il 2 ottobre 1923, Adolf Hitler riecheggiò questo sentimento in un’intervista con il giornale conservatore britannico «Daily Mail»: «Se la Germania avesse il dono di un Mussolini tedesco [...] la gente gli si inginocchierebbe davanti e lo adorerebbe più di quanto Mussolini sia mai stato adorato»8.
Nel pieno delle crisi nazionali senza precedenti del 1923, con l’iperinflazione galoppante e l’occupazione franco-belga della Ruhr, Hitler comunque condivideva implicitamente la convinzione che i tedeschi fossero superiori agli italiani. Era sicuro che il popolo tedesco sarebbe stato più ricettivo nei confronti di un dittatore, magari pure più forte del Duce. Hitler puntava a un’alleanza antifrancese con l’Italia, a infilare quindi un cuneo tra l’Italia e la Francia, paesi già alleati (entrambi erano membri permanenti del Consiglio della Società delle Nazioni) che avevano sconfitto la Germania nella Grande Guerra9.
Ma Hitler non si rendeva conto appieno del fatto che il governo di Mussolini in Italia era ben lontano dall’essere totale. Contrariamente all’impressione che ne aveva Hitler, alimentata dalla propaganda fascista, Mussolini non era un dittatore forte. In realtà, almeno sino alla firma dei Patti Lateranensi con la Chiesa cattolica nel 1929, il Duce fu impegnato a consolidare il suo potere e a tenerlo in equilibrio tramite continue negoziazioni fra monarchia e burocrazia statale conservatrice, da un lato, e gli elementi radicali interni al partito fascista che chiedevano di mettere lo Stato italiano sotto il controllo del partito, dall’altro10. I riferimenti di Hitler all’Italia fascista e a Mussolini contribuirono a legittimare a poco a poco i nazisti fra ampie fasce della società al di là degli stessi nazisti. Per molti, in Germania e in altre parti d’Europa, il nascente regime fascista appariva come un compromesso fra la nuova destra estrema e le élites tradizionali, soprattutto la monarchia, e appariva quindi come un’arma potente contro la sinistra dopo che la rivoluzione bolscevica e altre similari di sinistra avevano suscitato notevoli turbamenti e paure fra la borghesia europea.
Altri commentatori tedeschi di destra sottolineavano che la Marcia su Roma costituiva un modello per la Germania. Arthur Moeller van den Bruck, l’intellettuale che coniò l’espressione «Terzo Reich», nel suo saggio del 1922 Italia docet si diceva convinto che l’ascesa al potere del fascismo – un movimento di giovani – in Germania era solo questione di tempo. Contrariamente alla maggior parte dei tedeschi, dunque, Moeller van den Bruck esaltava l’Italia come un esempio per la Germania, proprio come era accaduto nel XIX secolo quando la Germania seguì l’Italia nel compimento dell’unificazione...

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