La nuova costituzione economica
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La nuova costituzione economica

Sabino Cassese

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La nuova costituzione economica

Sabino Cassese

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Gli Stati sono sostituiti, nella disciplina dell'economia, da istituzioni sovranazionali; l'ordinamento nazionale è parte di quello europeo, al quale deve adeguarsi; il diritto europeo finisce per stabilire le teste di capitolo del diritto pubblico dell'economia: sono solo alcuni degli importanti mutamenti con cui si è chiuso il secolo XX. Le tre crisi del primo ventennio del nuovo millennio portano nuovamente in rilievo lo Stato finanziatore, regolatore e imprenditore. L'Unione europea, a sua volta, ne condiziona e finanzia le iniziative. I capitoli di questo volume forniscono una attenta analisi dei rapporti attuali Stato-economia e seguono le trasformazioni e le prospettive aperte dalle politiche dell'Europa unita. Questa sesta edizione, diretta e coordinata da Sabino Cassese, è il frutto di una completa revisione del precedente fortunato manuale.

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Information

Year
2021
ISBN
9788858144237

VII.
Il controllo sui mercati finanziari

1. La tripartizione dei mercati finanziari

I mercati finanziari sono tradizionalmente divisi in tre settori: bancario, mobiliare, assicurativo. Si può dire, semplificando, che a ciascuno dei tre corrisponde un diverso tipo di operatore (impresa bancaria, intermediario finanziario non bancario e investitore istituzionale, impresa assicurativa) e un organo di controllo (Banca d’Italia, Commissione nazionale per le società e la borsa-CONSOB e Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni-IVASS).
Questi settori del mercato finanziario continuano ad essere disciplinati separatamente, anche se – come vedremo – i confini tra essi sono ormai labili (imprese bancarie e assicurative sono presenti sui mercati dei valori mobiliari; vengono offerti servizi misti o ibridi, in parte bancari, in parte assicurativi, in parte mobiliari; le reti di distribuzione dei tre settori vanno unificandosi). Tuttavia, poiché la disciplina è ancora propria a ciascuno di questi settori (anche se è retta da principi comuni), l’esposizione dei tratti fondamentali della normativa va fatta settore per settore.
Le interferenze tra questi segmenti del mercato finanziario e tra le competenze delle autorità a essi preposte, istituite con la funzione di svolgere valutazioni tecniche di tipo neutrale, sono continue e richiedono pertanto che dopo le diverse discipline di settore siano trattati i principi comuni alle diverse discipline, le modalità con cui sono ripartite le rispettive competenze e le forme di coordinamento scaturite dalla più recente evoluzione dell’ordinamento finanziario. Questa ha prodotto intense forme di cooperazione internazionale e un nuovo sistema di vigilanza finanziaria in ambito europeo, basato anch’esso sulla tripartizione di compiti tra autorità europee di supervisione, ma caratterizzato da una marcata integrazione, finalizzata ad assicurare livelli di regolamentazione e di vigilanza prudenziale efficaci ed uniformi.
Infine, verranno esposti i tratti fondamentali della disciplina antiriciclaggio, che interessa i diversi mercati finanziari (nonché vari altri settori dell’economia): infatti, poiché attraverso il riciclaggio i proventi di attività illecite sono immessi nell’economia legale, la disciplina di prevenzione è volta principalmente a preservare l’integrità dei mercati bancario e finanziario e dell’economia, attraverso un articolato apparato di autorità e un sistema di obblighi di collaborazione a carico degli operatori, anche non finanziari.

2. La disciplina del credito

La disciplina del credito, a livello nazionale, è contenuta principalmente nel decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Questa norma, entrata in vigore il 1° gennaio 1994, ha modificato tutta la normativa preesistente, sia quella di più antica data, sia, anche, quella più recente, delineando un nuovo assetto dell’ordinamento bancario.
Le tappe principali dell’evoluzione dell’ordinamento bancario sono quattro. La prima è incentrata sulla legge bancaria del 1926 e, successivamente, su quella del 1936, che, salvo modificazioni minori, del 1944 e del 1947, ha resistito fino al 1993. La seconda tappa ha avuto inizio quando, a partire dagli inizi degli anni ’70 del secolo XX, alla legge bancaria del 1936 si sono affiancate le norme comunitarie e, in particolare, la prima (1977) e la seconda (1989) direttiva in materia bancaria. La terza tappa ha inizio con l’emanazione, nel 1993, della terza legge bancaria, alla quale hanno fatto seguito interventi normativi finalizzati, da un lato, all’armonizzazione e al coordinamento delle regole comuni agli altri settori del mercato finanziario, dall’altro, al recepimento di direttive comunitarie. Contestualmente, i principi elaborati a livello internazionale hanno contribuito a rafforzare e perfezionare le modalità di esercizio dei controlli bancari. L’evoluzione dell’ordinamento bancario dopo il testo unico del 1993, indotta dai principi internazionali e dal diritto europeo, è culminata nel recepimento del cosiddetto secondo «Accordo di Basilea sul capitale delle banche». La quarta e ultima tappa, infine, è incentrata sugli sviluppi che la regolamentazione e le prassi di vigilanza hanno registrato dopo la crisi finanziaria internazionale del 2008-2009. La crisi ha infatti prodotto, nel mercato del credito, una radicale riforma delle istituzioni, delle regole e dei controlli, che si è tradotta, in Europa, in una nuova architettura della vigilanza. A seguito di tali cambiamenti, i controlli bancari in Italia sono esercitati nei limiti e secondo le modalità stabilite a livello europeo dalle disposizioni del «Meccanismo di vigilanza unico-MVU», operativo dal 2014.

a. La legge bancaria del 1936, le modificazioni del 1944-1947 e la programmazione

La prima legge bancaria è quella contenuta nei regi decreti-legge 7 settembre 1926, n. 1511, e 6 novembre 1926, n. 1830, convertiti con leggi 23 giugno 1927, n. 1107, e 23 giugno 1927, n. 1108. Queste norme regolavano per la prima volta la materia bancaria con una disciplina ad hoc. Il credito veniva, così, sottratto alle norme generali del codice di commercio e sottoposto ad uno statuto speciale.
La norma storicamente più importante e più ampia è, però, quella contenuta nel regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito con legge 7 marzo 1938, n. 141, adottato dopo la grande crisi, durante la quale era fallita l’esperienza della banca holding (tali erano le tre principali banche, Banca commerciale italiana, Credito italiano e Banco di Roma).
L’assetto predisposto dalla normativa del 1936 – alla quale si è fatto riferimento, in tutto il periodo successivo, con l’espressione «legge bancaria» – può essere riassunto in quattro punti.
In primo luogo, la nuova disciplina unificava poteri sparsi tra numerose autorità, affidandoli ad un apparato composto di quattro organismi: un Comitato di ministri; il Ministero del tesoro; un Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito, istituito presso il Ministero del tesoro, ma diretto dal governatore della Banca d’Italia; la Banca d’Italia, trasformata da società di diritto speciale in ente pubblico a struttura corporativa.
In secondo luogo, la disciplina del 1936 attribuiva la guida del credito ai poteri pubblici. Il loro compito era duplice: da un lato, difendere il risparmio; dall’altro, indirizzare il credito. Ma questo indirizzo veniva attribuito senza una finalità precisa, secondo i criteri dell’epoca. Per cui può dirsi che quella norma si rivelerà elastica ed adattabile a numerosi indirizzi legislativi successivi.
In terzo luogo, la legge bancaria del 1936 attribuiva all’apparato pubblico poteri amministrativi pervasivi, riguardanti, in particolare, l’entrata nel settore bancario, le dimensioni territoriali e funzionali delle imprese, la loro gestione e il controllo dello stato di crisi. Questi poteri venivano attribuiti all’apparato di controllo senza una indicazione precisa di limiti (significativo il caso dell’autorizzazione all’inizio dell’attività bancaria, che poteva essere data o negata in relazione alle esigenze del mercato). Poteri così ampi, non legati a specifiche finalità, si presteranno, da un lato, ad essere utilizzati per scopi diversi; dall’altro, sottoporranno l’impresa bancaria al principio di funzione, consentendo ai poteri pubblici di indicare non limiti, ma fini all’azione dei privati.
In quarto luogo, la legge bancaria del 1936 stabiliva una divisione del lavoro tra le banche, sotto il profilo funzionale e territoriale. Essa consolidava la separazione tra banca e industria, attuata nel 1934, a seguito dell’istituzione dell’Istituto per la ricostruzione industriale-IRI e del salvataggio delle tre maggiori banche con le convenzioni tra il Ministero delle finanze, l’Istituto per la ricostruzione industriale-IRI e le banche; separava nettamente la raccolta a breve termine da quella a medio e lungo termine; stabiliva una specializzazione territoriale, per cui ad ogni categoria giuridica corrispondeva un ambito territoriale di azione (le tre principali banche, che saranno definite di interesse nazionale, potevano operare su tutto il territorio; le banche enti pubblici avevano una dimensione prevalentemente regionale o pluriregionale; le casse di risparmio una dimensione locale).
Liberato l’ordinamento dalle sovrastrutture corporative, il liberismo predominante nel dopoguerra influenzò ben poco l’ordinamento bancario. Il decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 226, soppresse l’Ispettorato istituito nel 1936 e ne trasferì le funzioni alla Banca d’Italia. Esso soppresse anche il Comitato dei ministri. Il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, istituì il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio-CICR, tuttora vigente.
Quanto alla Costituzione del 1948, questa, all’art. 47, si limitò a riecheggiare l’art. 1 della legge bancaria.
Dunque, alla metà del secolo XX, il credito si presentava come un ordinamento sezionale, retto da organi amministrativi, fondato sul concetto che l’impresa bancaria fosse soggetta agli indirizzi pubblici (impresa-funzione) e che l’attività bancaria fosse servizio in senso oggettivo.
Nel campo pubblicistico, la legge bancaria riprese quota con la programmazione. Per il legame tra questa ed il credito sono importanti due aspetti. Da un lato, il decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1968, n. 626, secondo il quale il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio-CICR deve attenersi «alle direttive generali del Comitato interministeriale per la programmazione economica-CIPE per la ripartizione globale dei flussi monetari tra le varie destinazioni, in conformità alle linee fissate dalla programmazione economica nazionale» (questa norma è stata abrogata dall’art. 1, comma 7°, del decreto-legge 5 dicembre 1991, n. 386, convertito con legge 29 gennaio 1992, n. 35).
Il secondo aspetto importante è costituito dallo sviluppo dei crediti agevolati e di quelli speciali. Questi connettevano attività creditizie con agevolazioni, finalizzavano il credito alla programmazione e inserivano le banche in un circuito governativo più complesso (ad esempio, sottoponendole ad indirizzi del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato).

b. Le modificazioni indotte dall’ordinamento europeo

Negli anni ’70 del secolo XX, la situazione mutò sotto la pressione, da un lato, della disciplina comunitaria; dall’altro, dei cambiamenti economici (despecializzazione ed omogeneizzazione delle imprese bancarie) e delle iniziative assunte dalla Banca d’Italia nella direzione della concorrenza.
Le direttive comunitarie modificarono il regime dell’entrata nel settore; la disciplina dell’attività; le caratteristiche della vigilanza; la divisione del lavoro bancario; le finalità dei controlli.
Per quanto riguarda i controlli sull’entrata, la direttiva CEE n. 780/1977, del 12 dicembre 1977, attuata con il decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1985, n. 350, consentì l’ingresso sul mercato bancario a qualunque impresa che presentasse qualità oggettive indicate dalla legge. In tal modo, l’autorizzazione all’esercizio del credito non fu più uno strumento di guida di settore, ma un mezzo di controllo dell’esercizio di un diritto.
La seconda direttiva comunitaria in materia bancaria (n. 646/1989, del 15 dicembre 1989), attuata con il decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481, fece un passo avanti, prevedendo un’autorizzazione unica per operare nel territorio degli Stati membri della Comunità europea. Non erano richieste altre autorizzazioni, oltre quella del paese di provenienza. L’impresa bancaria restava soggetta ai controlli dell’autorità che aveva autorizzato (controllo dello Stato di origine, o home country control).
Questo principio venne attuato con la tecnica del mutuo riconoscimento, secondo cui gli enti creditizi potevano svolgere negli altri paesi membri della Comunità tutte le attività che essi fossero autorizzati ad esercitare nel proprio paese. Il mutuo riconoscimento tra gli ordinamenti aveva bisogno, in via preliminare, di una armonizzazione minima delle condizioni per autorizzare e controllare, i cui contenuti furono dettati dalla stessa direttiva n. 646/1989 e da altri provvedimenti comunitari più specifici in materia di vigilanza consolidata, di coefficienti patrimoniali per valutare la solvibilità delle banche, di conti annuali e consolidati, di grandi fidi.
Il secondo mutamento, quello relativo al regime dell’attività, derivò dal cambiamento della giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte costituzionale che, nel 1987-1988, riconobbero che l’attività bancaria non doveva essere intesa come servizio pubblico, avendo, invece, carattere di impresa.
Il terzo mutamento riguardò la vigilanza. Questa da guida, consistente nell’indicazione di finalità e nel controllo della corrispondenza dell’attività agli obiettivi indicati, divenne vigilanza prudenziale o di stabilità, tesa, cioè, a verificare che le banche operassero secondo criteri di oculata assunzione dei rischi, di piena efficienza funzionale, di correttezza nello svolgimento degli affari. Corrispondentemente, le direttive comunitarie indicarono parametri quantitativi da rispettare e il controllo dell’autorità centrale – pur conservando la sua discrezionalità – divenne verifica della corrispondenza tra la condotta dell’operatore e i parametri imposti dalla norma.
Quarto: la divisione del lavoro bancario si attenuò, per effetto di numerosi interventi. In primo luogo, le aziende ordinarie di credito e gli istituti creditizi furono sottoposti agli stessi controlli (con la legge 10 febbraio 1981, n. 23, poi abrogata dal testo unico bancario). In secondo luogo, si realizzò la riforma delle banche pubbliche, avviata con due documenti di indirizzo della Banca d’Italia negli anni ’80 del secolo XX ed attuata dapprima con la legge 30 luglio 1990, n. 218, e il decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e, successivamente, con la legge 23 dicembre 1998, n. 461, con il decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, con l’art. 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (finanziaria per il 2002), e con il decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143, convertito con la legge 1° agosto 2003, n. 212. Questi provvedimenti consentirono la trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni mediante la dismissione del controllo delle imprese bancarie da parte delle fondazioni, ricondotte alla natura di enti senza scopo di lucro. In terzo luogo, si introdusse la figura del «gruppo bancario polifunzionale» (con la direttiva comunitaria n. 350/1983 del 13 giugno 1983, attuata con legge 17 aprile 1986, n. 114, e con il decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356), al quale si affiancò la «banca universale» (con la già menzionata seconda direttiva comunitaria e con il decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481, di recepimento). Il gruppo polifunzionale era un aggregato imprenditoriale composto da più soggetti con propria specializzazione operativa, ma sottoposti ad unica direzione, quella dell...

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