I sonnambuli
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I sonnambuli

Come l'Europa arrivò alla Grande Guerra

Christopher Clark, David Scaffei

  1. 736 pages
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I sonnambuli

Come l'Europa arrivò alla Grande Guerra

Christopher Clark, David Scaffei

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1914. Re, imperatori, ministri, ambasciatori, generali: chi aveva le leve del potere era come un sonnambulo, apparentemente vigile ma non in grado di vedere, tormentato dagli incubi ma cieco di fronte alla realtà dell'orrore che stava per portare nel mondo.

La Grande Guerra continua a essere studiata come un modello di catastrofe evitabile… se solo se ne smontano con lucidità tutti i meccanismi. È quello che fa Clark nel suo magistrale, avvincente affresco. Federico Rampini, "la Repubblica"

I sonnambuli descritti da Clark sono i governi che scivolarono nella guerra presentendo il cataclisma, simulando allarmi, ma senza far nulla per scongiurarla. Da allora sono passati quasi cent'anni, e molte cose sono cambiate. L'Europa ha istituzioni comuni, l'imperialismo territoriale è svanito. Non si combatte più per spostare confini ma l'Unione non è in pace, e la crisi che traversa la sta squarciando come già nel 1913-14. Gli Stati odierni, oggi come allora, sono incapaci di trarre conseguenze da quello che apparentemente presagiscono. Barbara Spinelli, "la Repubblica"

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Information

Year
2016
ISBN
9788858127308

1. Fantasmi serbi

Assassinio a Belgrado

Poco dopo le due del mattino dell’11 giugno 1903, ventotto ufficiali dell’esercito serbo si avvicinano all’ingresso principale del Palazzo reale di Belgrado*. Dopo uno scontro a fuoco, le sentinelle che montano di guardia davanti all’edificio vengono arrestate e disarmate. Con le chiavi sottratte al capitano responsabile della sorveglianza, i cospiratori irrompono nel salone d’ingresso e si avviano verso le camere dei sovrani, correndo su per le scale e nei corridoi. Le due massicce porte di quercia che impediscono l’accesso agli appartamenti reali vengono fatte saltare con una carica di dinamite. L’esplosione è talmente forte che le porte vengono scardinate e scaraventate nell’anticamera interna, uccidendo l’aiutante reale che si trova lì dietro. Salta anche l’impianto elettrico del palazzo, e l’edificio sprofonda nel buio. Imperturbabili, gli invasori trovano alcune candele in una stanza vicina ed entrano nell’appartamento reale. Ma quando raggiungono la camera da letto, il re Alessandro e la regina Draga ormai non sono più lì. Il romanzo francese che la regina stava leggendo è aperto a faccia in giù sul comodino. Qualcuno tocca le lenzuola e sente che il letto è ancora caldo: sembra che siano andati via da poco. Dopo aver cercato invano nella camera da letto, gli invasori perlustrano il palazzo a lume di candela, con le pistole in pugno.
Mentre gli ufficiali passano di stanza in stanza, sparando ai mobili, alle tappezzerie, ai divani e ad altri possibili nascondigli, i sovrani se ne stanno rannicchiati al piano di sopra, in un piccolo annesso contiguo alla camera da letto, usato di solito dalle cameriere per stirare e rammendare. La ricerca va avanti per quasi due ore. Il re approfitta di questo intervallo di tempo per vestirsi con tutta la calma possibile, indossando un paio di pantaloni e una camicia di seta rossa: vuole evitare di farsi trovare nudo dai suoi nemici. La regina, per coprirsi, non trova altro che una sottoveste, un corsetto di seta bianca e un’unica calza gialla.
A Belgrado il complotto farà anche altre vittime: i due fratelli della regina, fortemente sospettati di nutrire propositi di conquista del trono serbo, vengono indotti a lasciare la casa della sorella e «portati in un posto di guardia nei pressi del Palazzo, dove [vengono] insultati e barbaramente accoltellati»1. Gli assassini fanno irruzione anche negli appartamenti del primo ministro, Dimitrije Cincar-Marković, e del ministro della Guerra, Milovan Pavlović. Entrambi vengono uccisi; contro Pavlović, che si è nascosto in una cassa di legno, vengono sparati venticinque colpi. Il ministro dell’Interno Belimir Theodorović viene ferito da colpi di arma da fuoco e creduto morto, ma riuscirà a salvarsi; altri ministri vengono arrestati.
Nel Palazzo, intanto, il fedele primo attendente del re, Lazar Petrović, che è stato disarmato e catturato dopo uno scontro a fuoco, viene condotto lungo le sale buie e costretto a chiamare il re affacciandosi ad ogni porta. Ritornati nella camera del sovrano per ripetervi la ricerca, alla fine i cospiratori trovano un passaggio mimetizzato dalla tappezzeria. Quando uno di loro propone di sfondare il muro con una scure, Petrović si rende conto che non è più possibile continuare la finzione e accetta di chiedere al re di uscire. Da dietro i pannelli, il re domanda chi è che lo sta chiamando, e il suo attendente gli risponde: «Sono io, il vostro Laza, aprite la porta ai vostri ufficiali!». Il re chiede allora: «Posso fidarmi del giuramento dei miei ufficiali?», ricevendo assicurazioni dai cospiratori. Secondo una testimonianza, a questo punto il sovrano, grassoccio, con gli occhiali sul naso e vestito con la sua assurda camicia di seta rossa, sbuca dal nascondiglio, cingendo la regina con le braccia. La coppia viene falciata da una scarica di colpi sparati a bruciapelo. Petrović estrae allora la rivoltella che finora ha tenuto nascosta, nel disperato tentativo di proteggere il suo signore (o perlomeno così fu detto in seguito), ma rimane anch’egli ucciso. Poi, si scatena una scia di violenze gratuite. I cadaveri vengono infilzati con le spade, lacerati con una baionetta, in parte sventrati e fatti a pezzi con una scure, quindi mutilati fino a renderli irriconoscibili, come riferirà poi il traumatizzato barbiere italiano del re, al quale viene ordinato di raccogliere i corpi e di vestirli per le esequie. Il corpo della regina viene sollevato fino all’inferriata della finestra della camera e gettato, praticamente nudo e imbrattato di sangue, nei giardini sottostanti. Si disse che quando gli assassini tentarono di fare lo stesso con Alessandro, una mano gli si impigliò per un attimo nell’inferriata, e che un ufficiale gliel’avesse mozzata con una sciabolata, facendo cadere a terra il corpo assieme ai pezzi delle dita. Quando gli assassini si radunano in giardino per fumare e verificare l’esito della loro opera, è appena cominciato a piovere2.
Gli eventi dell’11 giugno 1903 segnarono l’apertura di una nuova fase nella storia politica serba. La dinastia Obrenović, che aveva regnato in Serbia per la maggior parte della breve vita del paese come Stato indipendente, non esisteva più. Poche ore dopo l’assassinio, i cospiratori annunciarono la fine della linea ereditaria degli Obrenović e la successione al trono di Pietro Karadjordjević, in quel momento esule in Svizzera.
Quale fu il motivo di una resa dei conti così brutale con la dinastia degli Obrenović? In Serbia la monarchia non aveva mai raggiunto una salda stabilità istituzionale. La radice del problema risiedeva in parte nella coesistenza di due dinastie rivali. Due grandi clan familiari, gli Obrenović e i Karadjordjević, si erano distinti nella lotta di liberazione del paese dal controllo ottomano. L’ex pastore dalla pelle scura «Kara Djordje» (in serbo «Il Nero Giorgio») Petrović, fondatore della dinastia Karadjordjević, nel 1804 capeggiò una rivolta che riuscì a cacciare gli ottomani dalla Serbia per qualche anno, ma nel 1813, quando gli ex dominatori organizzarono la controffensiva, fuggì in esilio in Austria. Due anni dopo, scoppiò una seconda rivolta, sotto la guida di Miloš Obrenović, un duttile politico che riuscì ad ottenere dalle autorità ottomane il riconoscimento di un principato serbo. Quando Karadjordjević rientrò in Serbia dal suo esilio, venne assassinato per ordine di Obrenović, con la connivenza degli ottomani. Avendo soppresso il suo principale avversario politico, Obrenović ottenne il titolo di principe di Serbia. Alcuni membri del suo clan familiare governarono la Serbia per gran parte della sua esistenza come principato nel contesto dell’Impero ottomano (1817-1878).
La presenza di due dinastie rivali, la collocazione geografica priva di protezione fra l’Impero ottomano e quello austriaco e una cultura politica decisamente poco incline alla deferenza e dominata dai piccoli proprietari rurali: fu il combinarsi di questi fattori a far sì che la monarchia rimanesse un’istituzione tormentata. È significativo che nel diciannovesimo secolo ben pochi dei regnanti serbi siano riusciti a rimanere sul trono fino alla loro morte naturale. Il fondatore del principato, il principe Miloš Obrenović, fu un brutale autocrate, il cui regno fu segnato da frequenti rivolte. Nell’estate del 1839 abdicò a favore del figlio maggiore, Milan, il quale era di salute talmente precaria che, quando tredici anni dopo morì, praticamente non si era ancora reso conto di essere stato elevato al trono. Il regno del figlio minore di Miloš, Michele, ebbe una fine prematura, poiché nel 1842 il giovane fu deposto da una rivolta, che aprì la strada all’insediamento sul trono serbo di un Karadjordjević – vale a dire Alessandro, il figlio di «Kara Djordje». Ma nel 1858 lo stesso Alessandro fu costretto ad abdicare, e gli successe nuovamente Michele, che ritornò sul trono nel 1860. Durante il secondo periodo di regno, la sua popolarità non si accrebbe: otto anni dopo fu assassinato, insieme a una sua cugina, in seguito a un complotto che forse era stato appoggiato dal clan dei Karadjordjević.
Il lungo regno del successore di Michele, il principe Milan Obrenović (1868-1889), garantì una certa continuità politica. Nel 1882, quattro anni dopo che il Congresso di Berlino aveva accordato alla Serbia il rango di Stato indipendente, Milan istituì la monarchia e si autoinvestì del titolo regio. Ma l’elevato livello di turbolenza politica interna continuò ad essere un problema. Nel 1883, i tentativi del governo di disarmare le milizie contadine nel Nord-est del paese innescarono una grande sollevazione provinciale, la rivolta del Timok. Milan reagì scatenando brutali rappresaglie contro i ribelli e una caccia alle streghe contro alte personalità politiche di Belgrado, sospettate di aver fomentato i disordini.
La cultura politica serba subì una trasformazione all’inizio degli anni Ottanta in conseguenza dell’emergere di partiti politici di tipo moderno, con il connesso apparato di giornali, riunioni, manifesti, campagne elettorali e comitati locali. A questa formidabile nuova forza operante nella sfera pubblica, il re rispose con provvedimenti autocratici. Quando le elezioni del 1883 portarono al formarsi di una maggioranza ostile nel parlamento serbo (la Skupština), il sovrano si rifiutò di nominare un governo formato dagli esponenti del principale partito, quello radicale, scegliendo invece di formare un gabinetto composto da burocrati. La Skupština fu aperta per decreto, e quindi chiusa dopo dieci minuti, sempre per decreto. Una disastrosa guerra contro la Bulgaria nel 1885 – conseguenza di decisioni assunte dall’esecutivo regio senza consultare né i ministri...

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