I. L’officina di Voltaire
La rigida divisione tra un’Europa della libertà intellettuale (Inghilterra e Olanda) e un’Europa dell’Inquisizione (Spagna, Portogallo e Italia), che segnò il pensiero degli illuministi francesi nel corso del Settecento, era certo uno stereotipo consolidatosi nel tempo. E, tuttavia, pare evidente che i due mondi avessero trovato soluzioni diverse alla crisi religiosa e politica della prima età moderna. Soluzioni opposte, in realtà, in materia di riflessione sull’attività intellettuale: l’una era quella della libertà di stampa, cui aveva inneggiato fin dal 1644, durante la prima rivoluzione inglese, John Milton nell’Areopagitica; l’altra era quella elaborata l’anno dopo, nella Roma della Controriforma, dal gesuita Daniello Bartoli nel trattato Dell’uomo di lettere difeso et emendato, la cui fortuna editoriale assunse in realtà dimensioni europee (oltre che in francese nel 1654, il volume fu tradotto in inglese nel 1660, in tedesco nel 1677, in castigliano nel 1678 e in latino nel 1693). Non soltanto ai letterati Bartoli intimava il rispetto della censura: caso mai fosse scappato dalla penna qualche scritto «d’indole scelerata» conveniva «l’ucciderlo di vostra mano, lo sbranarlo facendone pezzi, l’incendiarlo nel fuoco». Meglio, però, non scriverlo.
È in terra protestante, inoltre, che era maturato, più in generale, un nuovo modo di pensare alla pratica intellettuale: in quanti, a partire dal secondo Seicento, avevano rivendicato pubblicamente la libertas philosophandi attribuendo al contempo un’inedita funzione critica all’art philosophique. In gioco non era più la libertà di pensiero dei savants, che aveva segnato dalle origini la repubblica delle lettere trovando una meditazione puntuale nei libertini: una libertà, riconosciuta nello spazio privato del dialogo tra uomini di cultura, che implicava l’accettazione dello status quo e conduceva l’homme de lettres all’allontanamento dalla vita politica. Vari autori manifestarono – in maniera più o meno cauta – il bisogno di andare oltre la libertà interiore del dotto. Pierre Bayle, rifugiato ugonotto, nel Dictionnaire historique et critique (1696-1697) definì la repubblica delle lettere «uno stato sommamente libero», ove le sole autorità riconosciute erano la verità e la ragione. Che scrivesse «tra le righe» oppure svelasse apertamente la sua posizione sulla libertà di stampa, Bayle offrì un contributo fondamentale in merito all’esercizio dell’esprit critique, funzionale ad attaccare ogni principio di autorità, comprese le verità imposte come dogmi ai fedeli. E ancora: è in un olandese, Baruch Spinoza, che si rintraccia un esplicito spostamento dalla libertà di pensiero alla libertà di espressione. Ciò che ha portato a scorgere una formulazione del principio della libertà di stampa nel Tractatus theologico-politicus (1670), ove l’autore difendeva in effetti non soltanto la libertà di pensare liberamente, ma anche quella di esprimere senza impedimenti i propri pensieri. Inglesi erano poi free-thinkers come John Toland, che meditò – non a caso – sugli intrecci fra libertà di stampa e arte della dissimulazione scritta.
In Gran Bretagna, inoltre, la libertà di stampare (1695) favorì la stabilizzazione di un sistema fondato sull’autocontrollo di scrittori e stampatori, connesso al senso di responsabilità di ciascuno e rafforzato dalla nascita, nel 1709, del copyright, ossia del riconoscimento della proprietà letteraria. Non si vuole certo affermare che l’Europa protestante sia stata esente da episodi di censura (e di autocensura): il Tractatus di Spinoza, segnato dall’attacco all’idea dell’origine divina delle Sacre Scritture, fu condannato pochi anni dopo dalle Corti dell’Olanda. D’altra parte, l’abolizione della censura preventiva nel contesto britannico non impedì processi legati all’attività editoriale, come si è ricordato. Resta, tuttavia, il fatto che nel mondo protestante il discorso sulla libertà intellettuale fu posto precocemente e, soprattutto, che tale discorso nel mondo cattolico trasse alimento da quella che era comunemente considerata, dai sostenitori così come dai detrattori, la libertà dei protestanti.
1. Il vento del Nord
Nell’Europa cattolica le riflessioni in direzione della nascita di nuove pratiche intellettuali – dai principi di libertà di pensiero e di espressione all’idea dell’esprit critique – arrivarono dal Nord attraverso i percorsi dell’editoria, su cui conviene richiamare l’attenzione. Se vogliamo ricostruire il processo con cui anche qui si definì pubblicamente (e progressivamente) un nuovo attore sociale, dobbiamo muovere dalla Francia e dal clima politico instauratosi nei decenni successivi alla morte di Luigi XIV.
Il punto di partenza del viaggio è Voltaire; e il suo libro, che ci ricollega al mondo inglese, si intitola Letters Concerning the English Nation. Frutto di un’analisi sulla Gran Bretagna, ove l’autore era stato in esilio tra il 1726 e il 1729, dopo avere trascorso quasi un anno in carcere nel 1717-1718 per la stesura di versi satirici, il volume fu pubblicato a Londra nel 1733; uscì l’anno dopo a Rouen nella più nota versione francese come Lettres philosophiques e, a causa del suo generale progetto di emancipazione umana, fu subito condannato al rogo dal Parlamento di Parigi.
Per cogliere l’originalità delle idee di Voltaire sullo statuto di quelli che all’epoca l’autore definiva letterati, bisogna sapere che nei dizionari contemporanei non era neppure attestato il sostantivo homme de lettre. Proprio a evidenziarne l’importanza era invece destinato il testo di Voltaire, che rivendicava tra l’altro la superiorità dell’attività letteraria sulle armi. Il discorso sul valore riconosciuto alle lettere in alcuni paesi europei costituiva al contempo una meditazione sulla libertas philosophandi. Trascurate nella Francia contemporanea, le lettere godevano di un grande prestigio in Inghilterra, grazie all’azione di un governo eretto a garanzia delle libertà di parola e di stampa. All’opposto si collocava la penisola italiana, a tal punto segnata dall’attività di Inquisizione e preti che «i miserabili abitanti/sono dannati in paradiso». Nella lettera XXIII dall’eloquente titolo Sur la considération qu’on doit aux gens de lettres si approfondiva l’analisi comparativa a sfondo europeo. Se il sistema francese era quello del mecenatismo legato all’elargizione di pensioni e onorificenze accademiche, quello inglese si basava sul conferimento di cariche pubbliche (esemplare il caso di Joseph Addison, giornalista, poi segretario di Stato): scelta migliore, secondo Voltaire, in quanto implicava una remunerazione che sanzionava l’idea dell’utilità pubblica dei letterati. L’accoglienza delle spoglie di Isaac Newton a Westminster esplicitava anche le gratificazioni simboliche concesse ai letterati. Voltaire poneva dunque il problema della considerazione sociale del letterato, ma implicito era quello della sua libertà, un tema che tornava nella stessa lettera XXIII attraverso i cenni alla censura religiosa francese contro gli spettacoli, definita una «barbarie gotica». Esemp...