I.
La scoperta dell’uomo.
La frattura epistemologica, Diderot, Hume
e la trasformazione illuministica
del diritto naturale in scienza morale dell’uomo «com’egli è e come dev’essere»
Nel 1741, in una lettera a Maupertuis allora presidente dell’Accademia delle Scienze di Berlino, Voltaire non esitava un istante a criticare i lavori sul diritto naturale di Leibniz e di Wolff («ce bavard germanique»), ritenuti espressione della peggiore eredità e di «toutes les horreurs de la scolastique». Non meno negativamente erano poi valutate le opere di Grozio e di Pufendorf, segnate da «un esprit faux, obscur, confus, incertain». Critiche altrettanto feroci e talvolta sprezzanti si possono trovare poi nei testi dei maggiori protagonisti dell’Illuminismo europeo, da Rousseau a Mably, a Diderot. In Italia, a Milano, come avremo modo di vedere, sulle pagine del «Caffè», gli amici di Beccaria misero in scena, nel 1765, un vero e proprio processo al povero Grozio, a Pufendorf e a tutti coloro che i contemporanei ritenevano gli epigoni settecenteschi del diritto naturale ispirato al neostoicismo.
Un processo altrettanto corrosivo e demolitore, anche dal punto di vista epistemologico, del diritto naturale del XVII secolo come rigorosa scienza della morale dalle fondamenta geometrico-deduttive si svolse infine sulle pagine dell’Encyclopédie per opera di Denis Diderot nelle vesti di implacabile pubblico ministero. La sua celebre e controversa voce Droit naturel rappresentava in tal senso qualcosa di simile a un moderno e sottile esercizio di decostruzionismo destinato ad avviare non solo un lungo e personale percorso di riflessione complessiva sulla morale, il diritto, la politica e più in generale sulle nascenti scienze dell’uomo, ma anche a dar vita a un dibattito controverso con Rousseau, Helvétius, e tanti altri intellettuali europei; un dibattito che ancora oggi – a ben vedere – resta aperto, impregiudicato, senza conclusioni definitive. Non bisognerebbe infatti mai dimenticare che la nuova cultura illuministica elaborò differenti e talvolta contraddittorie ipotesi di morale universale. Né poteva essere diversamente sulla base delle premesse epistemologiche adottate che si fondavano soprattutto sul carattere problematico, empirico e sperimentale di quel rivoluzionario progetto di emancipazione dell’uomo attraverso l’uomo rappresentato dall’Illuminismo. Come abbiamo cercato di spiegare altrove quel progetto non divenne mai una cultura della modernità dai tratti definitivi, bensì si concretizzò storicamente nella forma di un processo aperto a molteplici soluzioni: qualcosa di simile a un vero e proprio laboratorio della modernità che ancora oggi domina la scena e che risultava, ieri come oggi, fortemente caratterizzato unicamente dal fatto di porre al centro di ogni cosa – e per la prima volta nella storia – l’essere umano in tutte le sue dimensioni come inizio e fine di tutte le analisi, al di là dei punti di vista, degli strumenti d’indagine usati, dei risultati conseguiti, sempre precari e superabili in quanto umani. «L’uomo è il termine unico dal quale occorre partire e al quale occorre far capo», scrisse a tal proposito Diderot nella voce Encyclopédie, sintetizzando mirabilmente il modo in cui i philosophes intendevano ridisegnare la tradizionale mappa delle conoscenze proprio a partire dalla cosiddetta scoperta e «intronamento» dell’uomo nel corso del Settecento, secondo la celebre metafora di Michel Foucault:
Se si bandisce l’uomo – essere pensante e contemplante – dalla superficie della terra, lo spettacolo sublime e patetico della natura non è più che una scena triste e muta; l’universo tace, è invaso dal silenzio e dalla notte. Tutto si muta in gran solitudine, ove i fenomeni, inosservati, si susseguono in modo oscuro e sordo. Soltanto la presenza dell’uomo – spiegava Diderot – rende interessante l’esistenza degli esseri: qual proposito può essere migliore, per chi voglia far la storia di questi esseri, che l’accettare siffatta considerazione? Perché non introdurre l’uomo nell’opera nostra, allo stesso posto che occupa nell’universo? Perché non farne un centro comune? V’è forse nell’infinito spazio qualche altro punto dal quale si possono tracciare, con maggior profitto, le linee immense che ci proponiamo di estendere a tutti gli altri punti? Qual viva e dolce reazione ne scaturirà da parte degli esseri verso l’uomo e da parte dell’uomo verso gli esseri! Questo, appunto, ci ha indotto a fondare sulle principali facoltà dell’uomo la partizione generale sulla quale abbiamo modellato l’opera nostra.
Ciò nonostante, proprio questo nuovo umanesimo illuministico dai tratti così netti e radicali rispetto al recente passato, in cui i saperi e le conoscenze partivano empiricamente solo dalle principali facoltà dell’essere umano, non poteva e non doveva mai ignorare tutte le dimensioni della condizione esistenziale dell’individuo e in particolare la contemporanea presenza e interattività della potente «voce della natura» nella vita quotidiana accanto all’autonomia della volontà del soggetto. Dal punto di vista della morale, l’uomo come essere limitato e mortale, sebbene prigioniero della sua finitudine materiale, andava infatti sempre inteso nella duplice condizione esistenziale di chi sta dentro e allo stesso tempo fuori la natura in virtù del complesso e problematico rapporto tra mente e corpo: tra appartenenza alla catena degli esseri e riconoscimento della creatività e originalità individuale, sempre a cavallo tra mondo della natura e mondo della cultura. A tal proposito Diderot, e con lui molti altri illuministi europei, avrebbe probabilmente condiviso e applicato, nella sua lunga e tormentata ricerca sui principi del diritto naturale, la riflessione conclusiva di Kant del 1798 in merito alla necessaria trasformazione della filosofia in una nuova «scienza dell’uomo, delle sue rappresentazioni, del suo pensare e del suo agire». Una scienza dell’uomo che doveva studiare finalmente «l’uomo in tutte le sue componenti, com’egli è e come dev’essere, cioè tanto secondo le sue determinazioni naturali quanto anche secondo la condizione della sua moralità e della sua libertà».
Ma proprio a partire da questa prospettiva era inevitabile porsi una prima, fondamentale domanda: l’uomo era davvero un essere libero? E se la risposta era positiva, quali erano i suoi gradi di libertà rispetto alla «voce della natura»? Diderot era infatti consapevole che senza la libertà naturale, che andava comunque sempre distinta dall’atto volitivo, non vi poteva essere «bene né male morale, giusto né ingiusto, dovere né diritto». E tuttavia il suo continuo oscillare tra il determinismo materialistico di matrice spinoziana e la necessità di dare spazio anche al libero arbitrio, alla piena libertà di coscienza e quindi alla piena assunzione di responsabilità di ogni essere verso i propri simili rimase sempre il suo personale e insoluto rovello, così come quello di molti altri intellettuali di cultura illuministica di allora.
Per sincerarsene, basterebbe leggere altri suoi specifici interventi o gli articoli, per lo più anonimi, dedicati alla voce Liberté nell’Encyclopédie, e in particolare a Liberté naturelle, dove il diritto naturale e inalienabile di libertà di tutti gli uomini era polemicamente usato contro la tratta degli schiavi. In opposizione allo stato di natura e al feroce individualismo utilitaristico dell’amato e odiato Hobbes, che guardava anzitutto alle passioni violente e animalesche dei singoli per riflettere in materia di diritto naturale, Diderot preferiva invece insistere sul fatto che l’uomo non era «soltanto un animale, ma [anche e in particolar modo] un animale ragionevole», creatore di forme di cultura, deciso comunque a ricercare la felicità e capace di pervenire alla «verità» nel campo morale, interpretando e amministrando la stessa natura secondo gli insegnamenti di Bacone. Ma per fare ciò – e qui sta il suo specifico contributo originale al dibattito – occorreva però abbandonare la pista della centralità dell’individuo, nonché lo studio della sola volontà particolare a favore di una concezione universalistica e cosmopolita del genere umano:
Ma se togliamo all’individuo il diritto di decidere circa la natura del giusto e dell’ingiusto, dove discuteremo di questa grande questione? Dove? Dinanzi al genere umano; esso soltanto ha diritto di decidere, poiché ...