Nulla al mondo di più bello
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Nulla al mondo di più bello

L'epopea del calcio italiano fra guerra e pace 1938-1950

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Nulla al mondo di più bello

L'epopea del calcio italiano fra guerra e pace 1938-1950

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«Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre», disse una volta Winston Churchill. Con l'abilità del narratore, la documentazione dello storico e la passione del tifoso, Enrico Brizzi racconta il calcio che nessuno ha mai visto in televisione: prendono vita in queste pagine i protagonisti, le partite e i retroscena di anni drammatici e appassionanti, quelli che vanno dalla vittoria italiana della Coppa del mondo nel '38 agli scalcagnati tornei di guerra, e da questi alla stagione della ricostruzione dominata dagli 'invincibili' del Grande Torino.

Parigi, 1938, Vittorio Pozzo, commissario tecnico della Nazionale, festeggia la Coppa del mondo vinta dall'Italia per la seconda volta consecutiva. «Nulla al mondo di più bello», afferma commosso. È l'apogeo del calcio italiano con i suoi campioni e le loro storie fantastiche: Meazza, il fuoriclasse nato poverissimo e diventato grazie al calcio l'uomo più popolare della sua Milano; il cannoniere Silvio Piola, sottratto in nome della ragion di Stato alla Pro Vercelli e consegnato alla Lazio; il 'Fornaretto' Amedeo Amadei e gli altri alfieri giallorossi che riusciranno infine a portare lo scudetto sulle sponde del Tevere; e ancora, il bolognese Biavati, imprendibile inventore del 'doppio passo', e lo scatenato triestino Colaussi. Mentre l'Italia tutta festeggia, ha inizio l'odiosa discriminazione razziale e i venti di guerra travolgono il pallone. La fortissima Austria viene 'annessa' alla Germania, in Francia i nazionalisti storcono il naso di fronte alla presenza dei primi giocatori arabi e neri fra i ranghi della Nazionale, in Russia le purghe decimano intere squadre, gli esuli baschi e catalani in fuga dalla Spagna di Franco si rifugiano a giocare in Messico. Quando la parola spetterà agli eserciti, i calciatori italiani saranno chiamati a mandare avanti sino all'ultimo momento possibile il torneo di Serie A, la 'distrazione di massa' che più di ogni altra dovrebbe garantire una parvenza di normalità al Paese prossimo a trasformarsi in campo di battaglia. Con la pace, ecco Valentino Mazzola chiamare il Toro alla carica rimboccandosi le maniche della casacca; l'epopea granata restituirà orgoglio e fiducia a un'Italia battuta, umiliata e smaniosa di riscatto sotto le nuove insegne repubblicane. I campioni del pallone sono gli spiriti benevoli che presiedono al 'meraviglioso giuoco', gli uomini che hanno regalato emozioni ai padri dei nostri padri e, così facendo, hanno accompagnato e reso unica la storia del nostro Paese.

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Information

Dalla parte del torto

1938-39.
Il torneo degli ariani

Il testa a testa fra Veltri e Biancocerchiati – Per mano a Hitler sull’orlo dell’abisso – Gli Azzurri campioni del mondo contro la Perfida Albione – Lo scudetto sotto le Due Torri e la Mitropa a Budapest
Le notizie di calciomercato, nell’estate dorata del 1938, erano passate in secondo piano ad eccezione del trasferimento di Andreolo, per la cifra-monstre di 480.000 lire, dal Bologna al Milan. Notizia che, alla prova dei fatti, si rivelò una bufala: il pilastro della Nazionale, infatti, rimase sotto le Due Torri.
I Bolognesi, infatti, più che a cedere i propri pezzi pregiati pensavano a rafforzare la squadra: liberati gli sconcertanti Albanese e Liguera – il primo tornò in Uruguay, il secondo si accasò fra i Giallorossi dell’Anconitana-Bianchi – mister Weisz si assicurò i servigi di un oriundo uruguagio di ben altro spessore. Proveniva dal Central di Montevideo, era un centravanti longilineo, fortissimo nei colpi di testa, e aveva nome Ettore Puricelli. Si presumeva che, imbeccato dai compatrioti Fedullo e Sansone, e rifornito dai cross di Reguzzoni e Biavati, avrebbe potuto finalmente regalare al Bologna un centravanti di prim’ordine, in grado di raccogliere l’eredità di “Anzlèn” Schiavio.
Oltre a Puricelli, il Bologna si assicurò Piero Andreoli, mezzala della Lucchese; Aurelio Marchese, interno della Sanremese ch’era risultato uno dei migliori elementi nell’ultimo torneo di Serie B. E, ancora, il terzino romagnolo Secondo Ricci, proveniente dalle serie minori; l’altro difensore Aldo Tugnoli da San Giorgio di Piano, lo stesso paese di Dino Fiorini, e l’attaccante reggiano Alcide Ivan Violi, che rientrava alla base dopo le esperienze al Bari e al Liguria.
Quanto al Milan, terzo nell’ultimo torneo e guidato dalla diarchia Bánás-Felsner, dovette accontentarsi di colpi di qualità ma meno clamorosi: acquistò dal Torino Pietro Buscaglia e Giacinto Ellena, dalla retrocessa Fiorentina il mediano Teresio Traversa, dalla Lucchese l’ala Elpidio Coppa. Per rimpolpare la squadra riserve, arrivò dai Verdi della Falck di Sesto San Giovanni il mediano Riccardo Alberto Villa, dal Pavia Giuseppe Vigo, e richiamò dal prestito a Cremona Ettore Girardengo, il figlio del “Campionissimo” del ciclismo.
Aldo Olivieri, il portiere della Nazionale, passò dalla Lucchese al Torino insieme all’allenatore Ernest Erbstein, demiurgo del “miracolo” delle “Pantere”. Aveva lasciato la Toscana perché il clima d’intolleranza creato dai fascisti locali lo inquietava: non consentivano più ai figli degli ebrei di frequentare le scuole pubbliche.
All’Ambrosiana-Inter campione d’Italia si registrò il ritorno di Attilio Demaria dall’Argentina, e l’ingaggio di Tony Cargnelli come allenatore al posto di Armando Castellazzi, dimissionario dopo il trionfo dell’anno precedente.
Clamoroso ritorno anche a Roma: Attilio Ferraris rientrò nelle file giallorosse per giocare l’ultima stagione a fianco del vecchio compagno Fulvio Bernardini.
Numerosissimi gli acquisti del Genova di Culiolo e mister Garbutt, che fece letteralmente incetta di giocatori nelle serie minori. I nomi più in vista erano quelli di Sergio Bertoni, centravanti di riserva della Nazionale e campione olimpico nel 1936, che arrivò dal Pisa portandosi dietro il terzino Sergio Marchi; del portiere livornese Agostini e del mediano viola Renato Tori. Fra gli altri giunsero anche i terzini Borelli, in arrivo dal Liguria, e Sardelli, diciannovenne promessa dell’Ampelea di Isola d’Istria, l’ala dei Lilla di Legnano Cattaneo e l’attaccante della Cremonese Lazzaretti.
Al Napoli arrivarono l’universale Italo Romagnoli, che alla Lucchese aveva dimostrato di poter coprire qualsiasi ruolo, nel caso anche il portiere; il centrosostegno Aldo Fabbro dal Grion Pola, nipote della leggenda milanista e triestina Rodolfo Ostromann; gli ex viola Achille Piccini e Alfonso Negro da Brooklyn; il terzino riminese Zanni dal Liguria e Paone dagli “Stellati” dell’ILVA Bagnolese.
Quasi immobile invece la Juventus, che era alle prese con un importante ridimensionamento del budget: i Bianconeri si limitarono a due acquisti di second’ordine come Busidoni, in arrivo dalla Triestina, e Giaretta dal Padova.
Parca anche la Lazio, che puntava soprattutto sui giovani del vivaio: da fuori arrivarono soltanto il vecchio Allemandi, e il venticinquenne centromediano della Pro Vercelli Luciano Ramella.
La grande sorpresa del torneo, però, sarebbe stata rappresentata da una squadra che non aveva messo a segno colpi di mercato da prima pagina, e che nessuno si sarebbe azzardato ad annoverare tra le favorite.
In Coppa Mitropa, le ostilità si aprirono a fine giugno.
Ritirate le squadre austriache, il cui campionato si era ridotto a diventare un girone del torneo germanico, e assenti quelle elvetiche, partecipavano quattro club per Italia, Cecoslovacchia e Ungheria, due per la Romania e altrettanti per la Jugoslavia.
Al primo turno, l’Ambrosiana si trovò di fronte un avversario inedito, i Rossoneri d’Ungheria del Kispest: li regolò vincendo 4-2 a Milano e contentandosi di un pareggio in trasferta.
La Juventus fu invece abbinata all’Hungária MTK di Budapest: vinse all’andata sulle rive del Danubio, e dilagò a Torino mettendo a segno un clamoroso 6-1.
Da far tremare le vene dei polsi l’impegno del Genova, opposto allo Sparta Praga. I Grifoni di Garbutt, però, sovvertirono i pronostici vincendo a Marassi e pareggiando 1-1 in Boemia.
Sembrava assai più morbido l’impegno che attendeva il Milan, che si era trovato come avversaria il Ripensia Timişoara, serbatoio di giocatori della modesta Nazionale rumena eliminata ai Mondiali dai Cubani: eppure la trasferta in Transilvania portò i “Diavoli” a una amara sconfitta per 3-0, e il 3-1 del ritorno a San Siro non fu sufficiente per rimediare.
Passarono così ai quarti tre formazioni italiane, insieme a due cecoslovacche, due rumene e un’ungherese.
All’Ambrosiana toccò il cliente più ostico, lo Slavia di “Pepi” Bican. La trasferta a Praga si risolse in una Caporetto per i colori nerazzurri, con l’incredibile score di 9-0 per i padroni di casa, così che al ritorno si giocò unicamente per salvare l’onore: 3-1 a favore dei Milanesi, per i quali la manifestazione continuava a dimostrarsi indigesta.
Ebbe vita facile, molto più facile la Juventus, opposta ai Boemi del Kladno: 4-2 a Torino e vittoria di misura in trasferta.
Quanto ai Grifoni, toccò loro il Rapid Bucarest: i “Ferrovieri” rumeni dalle maglie amaranto furono regolati 3-0 a Marassi, e a nulla valse loro vincere in casa per 2-1: il Genova viaggiava a braccetto della Juventus verso le semifinali.
Al Genova toccò lo Slavia Praga di Bican e Kopecký, per la prima volta orfano del grande Plánicˇka; alla Juventus il Ferencváros di Lázár, Toldi e Sarosi.
Entrambe le italiane si trovarono a giocare in casa il primo turno, ed entrambe vinsero la propria sfida: Genova-Slavia finì 4-2, Juventus-Ferencváros 3-2.
Entrambe, però, caddero malamente in trasferta: i Grifoni persero 4-0 a Praga, i Bianconeri 2-0 nella tana dei Biancoverdi, e dovettero cedere il passo verso la finale alle avversarie.
L’andata, allo Strahov, terminò in pareggio con due reti per parte.
Il Ferencváros aveva quindi l’opportunità di conquistare la coppa davanti al proprio pubblico, ma nel match di ritorno a Budapest non riuscì a perforare la difesa avversaria: intorno all’ora di gioco passò invece lo Slavia, che raddoppiò con Simunek al settantesimo, e si aggiudicò per la prima volta il massimo trofeo continentale per club.
Ben presto, i venti di tempesta che spiravano sull’Europa avrebbero ridotto la manifestazione a una triste parodia di se stessa.
Hitler non sentiva ragioni: le popolazioni di ceppo germanico, vittime degli umilianti accordi internazionali seguiti alla Grande Guerra, andavano unificate sotto le gloriose insegne del Terzo Reich.
Dopo aver destabilizzato, invaso e inglobato l’Austria, adesso pretendeva l’annessione delle regioni cecoslovacche a maggioranza germanofona. Anzi, per dare al Reich il necessario “spazio vitale”, era meglio che la Cecoslovacchia tutta rinunciasse alla sua libertà.
Batteva i piedi, il pazzo. Minacciava.
Il solo modo per scongiurare una nuova guerra europea – si pensava a Londra come a Parigi – era dargli corda nella speranza che si placasse. E l’unico uomo in grado di mediare con quel folle si chiamava Benito Mussolini.
Fu così che la Francia e il Regno Unito, la Germania e l’Italia diedero vita alla Conferenza di Monaco, salutata come la migliore occasione per riportare l’armonia nel Vecchio continente.
Le decisioni che vennero prese furono a danno di chi non c’era: si stabilì che la Cecoslovacchia avrebbe ceduto le regioni di confine di lingua tedesca, e peggio per lei se non era d’accordo.
Mussolini venne insignito, con suo vivo fastidio, del titolo di “arbitro della pace europea”: non era alla pace che mirava, ma a creare i presupposti per una guerra vittoriosa al fianco della Germania.
Tanto Chamberlain quanto Daladier, invece, tornarono a casa soddisfatti: la fame del mostro nazista sembrava placata.
Solo Churchill, a Londra, inquadrò la situazione come meritava: «Dovevate scegliere fra guerra e disonore», apostrofò il primo ministro. «Avete scelto il disonore, e otterrete la guerra».
Hitler, infatti, si preparava ad avanzare ben altre pretese.
Il campionato di Serie A ebbe inizio con un ospite inatteso in testa alla classifica.
Dopo due giornate sono a punteggio pieno solo il Bologna e il Liguria allenato da Baloncieri. Alla terza, il Bologna cade a Livorno mentre il Liguria pareggia a Napoli: i Biancocerchiati vengono raggiunti in testa da Ambrosiana e Torino.
Alla quarta, restano in testa due sole squadre: il Torino, che umilia il Bologna al Littoriale, e il Liguria, che riesce a battere a Cornigliano l’Ambrosiana campione d’Italia.
Qualcuno ritiene che la presenza d’una formazione che ha sempre lottato per salvarsi ai piani alti della classifica sia un semplice caso, forse dettato da una buona preparazione atletica, ma deve subito ricredersi. Sette giorni dopo, infatti, i Biancocerchiati replicano l’impresa del febbraio ’38, vincendo nuovamente il “derby della Lanterna” e facendo piombare nello sconforto i Grifoni.
Allora torna in mente a tutti come il Liguria, nel girone di ritorno del campionato precedente, si sia fatto valere contro le pretendenti allo scudetto: che sia cominciato un clamoroso ciclo in grado di proiettare stabilmente i Biancocerchiati ai piani nobili?
Passa una settimana, e i ragazzi di Baloncieri vincono anche a Bari: ora sono primi in solitaria.
Il primato in classifica si consolida ulteriormente la giornata successiva con la nuova vittoria corsara a Livorno: Liguria primo a 13 punti, Ambrosiana seconda a 11, Bologna, Roma e Torino a 10. Nel frattempo il Genova è fermo a 6 punti, la Juve ne conta appena 5, il Milan è ultimissimo con 2. Cosa cavolo sta succedendo in Serie A?
La verità è che ne stanno succedendo di cotte e di crude, e non solo in campo.
L’Italia, ormai, è al traino delle politiche del Terzo Reich: si corre al riarmo, si compiace la vocazione espansionistica del Führer sostenendo i diritti germanici sulla Cecoslovacchia e, per conto nostro, ci si prepara a invadere l’Albania. Ma non solo. Si imita la Germania anche negli aspetti più opachi e odiosi delle sue dottrine basate “sulla terra e sul sangue”, avviando una politica di discriminazione del tutto aliena rispetto alla tradizione culturale italiana: ci si prepara, infatti, a promulgare le mostruose “leggi razziali”, che entreranno in vigore nel mese di novembre, e intanto si fa terra bruciata intorno agli ebrei.
Se gli ex sudditi austro-ungarici, i Tirolesi di lingua germanica e gli Slavi dell’Istria e della Venezia Giulia possono essere assimilati – a patto, però, che accettino di cambiare i loro scandalosi cognomi con dei più aggraziati patronimici dalla musicalità latina –, sugli ebrei, presenti nel nostro Paese sin dai tempi dell’antica Roma e perfettamente integrati nella società, non si può più transigere: sono meno di cinquantamila, in Italia, le persone di religione israelita, con forti radicamenti nel mondo della cultura e dell’industria, nelle professioni liberali e nelle forze armate, persino nel Partito Fascista, ma la loro lealtà al tricolore va sacrificata in nome della nuova amicizia con la Germania.
I primi a pagare devono essere gli ebrei arrivati dall’estero, capri espiatori perfetti della cattiva coscienza del Regime, che da un giorno all’altro si scopre razzista, odiatore del complotto giudeo-bolscevico, dell’internazionalismo insito negli eredi di Abramo, amici dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti, della Francia e dell’Inghilterra, di tutti tranne che nostri e della brava, ariana, gente di Germania.
Finisce così nel...

Table of contents

  1. È morto il Toro!
  2. 1938
  3. Dalla parte del torto
  4. La guerra in casa
  5. Il gioco degli Italiani