Chi impugna la Croce
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Chi impugna la Croce

Lega e Chiesa

Renzo Guolo

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Chi impugna la Croce

Lega e Chiesa

Renzo Guolo

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Nelle terre un tempo bianche le camicie verdi hanno impugnato il crocefisso. In quello che fu il regno della Dc sembra vincere un cristianesimo senza Cristo agitato da un partito che perfino la Chiesa, dopo aspri conflitti, ritiene ormai un legittimo interlocutore.Perché il Carroccio si espande in quella Italia bianca in cui il cattolicesimo ha sempre avuto un peso rilevante? Perché incontra a lungo una sola resistenza nel territorio: quella della Chiesa? Perché, dopo il periodo neopagano, la Lega riscopre il cristianesimo? Perché oggi Carroccio e vertici ecclesiali sembrano avviati verso strade meno conflittuali?«Quella tra Lega e Chiesa non è certo una sfida per la salvezza delle anime, quanto per la definizione di un'identità strettamente legata alla religione, a un cattolicesimo che il Carroccio vuole locale e localista e declinato in chiave etnoidentitaria, in antitesi al messaggio universale della Chiesa. Un conflitto che si alimenta anche perché entrambe ambiscono, in maniera diversa, a dare forma a una società locale che di cattolicesimo si è nutrita per secoli e che della religione ha fatto uno strumento di orientamento e di senso.»

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Information

Year
2012
ISBN
9788858103210

1. Dal voto del cielo al voto della terra

1. Anatomia politica della Lega

Per analizzare il rapporto tra la Lega e la Chiesa è indispensabile innanzitutto gettare lo sguardo sulle relazioni tra la politica e il territorio nelle aree in cui il Carroccio si è radicato: in queste stesse aree, infatti, in passato aveva esercitato un peso rilevante la subcultura politica di tradizione cattolica[1]. Richiamando un’efficace immagine cromatica, possiamo dire che, in quella parte del Paese, si è passati da un’Italia bianca (democristiana) a un’Italia verde (leghista). Il territorio, naturalmente, non è solo luogo di organizzazione e azione dei partiti ma anche uno scenario simbolico e di riferimento identitario. Da questo punto di vista, e nonostante i mutamenti intervenuti nel tempo, la religione ha esercitato e continua a esercitare una funzione centrale in quanto fonte di senso, riferimento culturale e organizzativo della società locale.
Ma procediamo con ordine: l’Italia bianca aveva il suo cuore nel Nordest, nelle province montane e pedemontane della Lombardia, in qualche appendice del Nordovest come il Cuneense. In queste aree, soprattutto fuori dai centri urbani e nei piccoli comuni, la Dc registrava, con continuità, un consenso assai elevato. Molto simile a quello che, in seguito, raggiungerà, nel corso del tempo, la Lega. Se si guarda alle prime trenta province[2] in cui il Carroccio ha ottenuto di recente risultati elettorali significativi, ovvero nelle elezioni regionali del 2010, si nota che compaiono nell’ordine: Treviso, Sondrio, Vicenza, Bergamo, Verona, Como, Belluno, Lecco, Padova, Brescia, Varese, Pavia, Venezia, Lodi, Cremona, Cuneo, Vercelli, Monza Brianza, Novara, Asti, Biella[3]. Terre storicamente di subcultura politica bianca in cui il Carroccio raggiunge percentuali che oscillano tra il 20 e il 40%, con la punta massima, il 48,5%, proprio in quel trevigiano che si è caratterizzato a lungo come una delle casseforti di voti democristiani[4]. Sia pure a titolo indicativo, dal momento che non sono confrontabili elezioni svolte con sistemi elettorali e partiti diversi e in un contesto storico assai differente, va ricordato che, ancora nel 1979, nelle sole circoscrizioni venete la Dc oscillava tra il 44 e il 53%. Un tale radicamento sembrerebbe smentire la definizione, che in passato ha ottenuto una certa eco mediatica, della «Lega come costola del Pci», per far pensare invece al Carroccio nei termini di una «costola della Dc».
Al di là dell’anatomia politica, quello che balza agli occhi è, come si è detto, l’evidente sovrapposizione elettorale tra l’Italia verde e quella bianca, in particolare a Nordest. Sovrapposizione riconducibile a fattori che rimandano alla specifica conformazione di quella parte del Paese. Una struttura economica e sociale, demografica e urbana che, per marcare la sua diversità dal Nordovest metropolitano e fordista, oltre che dal Mezzogiorno, è stata in passato definita «terza Italia»[5]. Un territorio caratterizzato da: una rete molto estesa di piccole e piccolissime imprese, per lo più del settore manifatturiero; una forte etica del lavoro, in cui la religione cattolica ha avuto un ruolo rilevante, declinata in una sorta di «protestantesimo dell’opera»; un tessuto demografico e residenziale diffuso, articolato anziché in grandi centri o contesti metropolitani, prevalentemente in città di medie e piccole dimensioni. E ancora: il riferimento a istituzioni tradizionali come la famiglia e la comunità locale, della quale la Chiesa è stata parte attiva e integrante; la partecipazione a una vasta rete di associazioni e organizzazioni. Insomma, un territorio caratterizzato da uno stretto rapporto tra politica e società locale; in cui gli stessi partiti sono a loro volta espressione di subculture territoriali che alimentano condizioni favorevoli allo sviluppo, garantiscono integrazione e coesione sociale, continuità rispetto alla tradizione. Una realtà in cui il localismo sostiene le subculture politiche territoriali e queste, a loro volta, favoriscono lo sviluppo locale. Non è un caso che, in queste aree, si sia votato per lungo tempo più che per provocare mutamento politico, per rafforzare un’identità e un’appartenenza e premiare il localismo[6].
La Lega si espande in questo ambiente; in particolare nei comuni dove, almeno fino agli anni Settanta, il voto alla Dc era assai diffuso ma meno lo era la frequenza alla messa, uno degli indicatori usati solitamente – nonostante altri indicatori, come l’adesione ai principi di credenza o alla dottrina sociale della Chiesa, siano maggiormente significativi – per misurare il rapporto tra fede e comportamenti elettorali tra gli elettori che si definiscono credenti. Così come il voto alla Dc era, in quegli anni, largamente secolarizzato, così a votare per i partiti di centrodestra, Carroccio compreso, sono elettori che si autodefiniscono cattolici ma esercitano la pratica religiosa in modo saltuario. Elettori di fatto poco sensibili agli insegnamenti ecclesiali, che interpretano e praticano la religione secondo una concezione individualizzata e privatizzata.
Il voto cattolico alla Lega è, dunque, il voto del cattolicesimo secolarizzato, della religione «a modo mio», dell’antropologia del mondo cattolico come «ideologia localista»[7], della religione dello sviluppo locale. Un partito che nasce in un territorio in cui Chiesa e mondo cattolico hanno storicamente avuto un peso influente non può, però, ignorare quell’eredità.
Nell’Italia bianca la Chiesa ha, infatti, svolto un ruolo rilevante: agli albori della Repubblica ha fornito alla Dc l’ispirazione ideale per costituire il «partito cristiano» e, ricalcando l’insediamento parrocchiale, anche la propria organizzazione territoriale. Come è noto, i quadri democristiani provenivano in larga parte dall’Azione cattolica, le Acli, la Coldiretti, la Cisl[8]. Un collateralismo che farà sì che le associazioni di matrice cattolica restino a lungo più solide e strutturate del partito stesso, caratterizzato da un’adesione più limitata[9]. Almeno fino ai primi anni Sessanta, il peso di Chiesa e associazionismo cattolico si farà sentire sulla linea politica democristiana.
Non meno rilevante è il contributo ecclesiale nel plasmare il territorio. La Chiesa non solo contribuisce in modo decisivo a dare forma alla società locale, sostenendola nei processi di trasformazione sociale ed economica, ma svolge anche un ruolo importante sul piano educativo, ricreativo e culturale e fornisce servizi sociali alla famiglia. Questa molteplicità di funzioni le permetterà, anche quando secolarizzazione, pluralismo dei valori, autonomia della politica, si manifesteranno con forza, di mantenere nel territorio prestigio e ruolo.

2. La religione locale

Concentriamoci sul Nordest, il cui caso è paradigmatico. Qui la religione come fonte di senso, riferimento culturale e organizzativo della società locale, non solo influenza a lungo valori e etica degli individui ma contribuisce, insieme agli interessi che agiscono in ambito locale, a determinare la genesi della subcultura politica territoriale «bianca». Per una lunga fase la dimensione simbolica e organizzativa fornita dalla Chiesa costituisce, in particolare in Veneto, la cornice in cui si realizza non solo la coesione e il controllo sociale ma anche la regolazione e la soddisfazione delle domande collettive. La religione si impone come «campo» all’interno del quale si scambiano non solo beni simbolici e normativi ma anche benefici e prestazioni materiali. Il «partito cattolico», la Dc, svolge il ruolo di mediatore nei confronti dello Stato, facendosi portavoce di istanze tese a garantire identità e integrazione alla società locale. In questo quadro la Chiesa cattolica è passata, come è stato osservato, da una dimensione «egemonica e propulsiva», tipica degli anni Cinquanta, a una dimensione «adattiva» nei decenni successivi[10]. A partire dagli anni Sessanta la Chiesa, che in passato aveva eretto simbolicamente la civiltà contadina a paradigma della cattolicità[11], diviene il medium della transizione allo sviluppo industriale. A essa guardano i contadini diventati prima operai e poi piccoli imprenditori, nel tentativo di elaborare un nuovo sistema di significati capace di orientarli in un mutamento che stravolge stili di vita e concezioni del mondo sedimentati nel tempo. La Chiesa produce, infatti, risorse simboliche e materiali, che permettono di ridurre il conflitto, favorire l’integrazione degli individui ai valori di mercato, l’accettazione dei diversi ruoli d’impresa in un’ottica cooperativa, l’affermazione di una specifica etica del lavoro, l’omogeneità e la coesione culturale. La religione diventa centro di produzione di «senso comune»[12]. I valori che la Chiesa trasmette attraverso la sua dottrina sociale consentono il riprodursi di quel «cerchio caldo» comunitario, caratterizzato da un legame sociale che non deriva dal solo calcolo utilitaristico bensì da relazioni solidali e da principi etici. Una funzione che attenua le fibrillazioni e le ansie provocate dal mutamento.
La Chiesa fornisce anche le risorse necessarie a soddisfare bisogni collettivi e individuali che accompagnano la grande trasformazione nordestina. Asili, scuole, patronati, casse rurali, opere pie, rendono meno traumatico il passaggio dal tempo e dal paesaggio contadini a quelli industriali. La rete del welfare cattolico accompagna lo «sviluppo senza fratture» tipico di quegli anni. L’adesione al cattolicesimo «ecclesiocentrico» diviene così, per la società locale, anche uno strumento di accesso al mercato dei benefici collettivi.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, soprattutto nelle campagne e nei piccoli centri, la società locale guarda alla relazione tra religione e politica come a un elemento che si risolve «naturalmente» all’interno della tradizione cattolica e dell’organizzazione ecclesiale. La naturale conseguenza di questo stato di cose è che sul piano politico il consenso si indirizza, a grande maggioranza, verso la Democrazia cristiana. Si tratta essenzialmente di una delega di tipo «difensivo»: votare «per la religione», per la Dc, significa, nel senso comune, non solo tutelare il mondo cattolico ma anche la forma della società locale e del suo sistema culturale. In particolare nei confronti del Pci percepito, oltre che come formazione atea e minacciosa per la sua concezione dei rapporti di produzione, come partito estraneo alla specifica forma assunta dalla società locale.
Specularmente, l’adesione alla sinistra esprime, anche soggettivamente, non solo il rifiuto del pregnante ruolo svolto dalla Chiesa in quanto sponsor della Dc, ma anche una diversa configurazione della società locale. Nonostante il suo profilo di partito nazionale, la vocazione internazionalista del Pci allontana ancor di più la società locale dai comunisti. Un fattore che gioca una sua continuità nel tempo, anche dopo la fine del Pci; e che contribuisce a spiegare «l’anticomunismo senza comunisti» della società locale nordestina dagli anni Novanta in poi.
Anche la Chiesa, con il suo messaggio universalista, potrebbe teoricamente sembrare estranea alla dimensione locale ma essa ne è parte da secoli, come testimonia la presenza nel territorio di pievi, cappelle votive, campanili, visibili ovunque nel paesaggio. Molti votano Dc senza essere o dirsi democristiani, manifestando un’«adesione senza appartenenza» al «partito dei cattolici»: giustificata, oltre che dalla richiesta rivolta a quel partito di rappresentare interessi specifici e mediare tra centro e periferia, dalla necessità di preservare la forma della società locale e di farsi garante, servendosi del potere dello Stato centrale, di quella continuità.
Tra società locale, politica e religione vi è dunque un legame profondo e particolare. In questa dimensione la religione significa, per molti che si dichiarano cattolici, essenzialmente tradizione e cultura. Si è cattolici, più che per adesione al messaggio evangelico, perché la religione è parte integrante della cultura locale. Questa appartenenza di tipo etnico-culturale, in cui la religione è rilevante in quanto fattore identitario e di coesione della società locale, è tipica di una realtà in cui il cattolicesimo organizzato ha grande forza anche se l’ambiente è caratterizzato da una certa debolezza della fede[13]. Una situazione in cui la maggioranza della popolazione continua a identificarsi nei valori della tradizione senza troppo coinvolgimento, più come forma di senso comunitario che come dimensione spirituale.

3. Dal campanile al territorio

Negli anni Settanta e Ottanta, la crescita a lungo attesa diventa vorticosa nel Nordest. La religione deve adattarsi ai nuovi processi sociali esercitando un ruolo di mediazione e predisponendo un nuovo sistema di significati simbolici coerenti con la propria dimensione istituzionale. Si diversificano anche i centri di regolazione della società locale. Gli interessi e le domande trovano nuovi canali di rappresentanza in organizzazioni autonome o esterne al tessuto associativo di ispirazione religiosa. Nell’arco di due decenni una società che, con l’eccezione di alcune sue isole urbane, era ancora in buona parte contadina, si avvia verso un capitalismo di tipo molecolare[14].
L’incessante trasformazione contribuisce a rendere palese la fine della coesione e dell’omogeneità sociale costruite in precedenza attorno al ruolo della Chiesa. I circuiti sociali e la dimensione comunitaria su cui la religione agisce si destrutturano rapidamente. Del resto, già dopo il Concilio Vaticano II e la fine del collateralismo, che dissolvono il mito della «unità politica dei cattolici»[15], anche la Dc, prendendo atto della differenziazione sociale e assumendo in proprio la gestione dello scambio politico, si è resa più autonoma dalla Chiesa. Inizia, così, una fase in cui la Chiesa non riesce più a esprimere, nemmeno localmente, un’ipotesi organica di società. A sua volta, la società locale avverte sempre meno l’esigenza della funzione di organizzazione difensiva della religione, tipica dei partiti confessionali, e si affida piuttosto all’imprenditorialità politica del doroteismo «laico» degli emergenti leader locali che assumono ruoli di governo. Da un modello di omogeneizzazione della società fondato sull’egemonia della dimensione religiosa, la Chiesa passa a una strategia di adattamento differenziato, instabile come il nuovo contesto di riferimento. Prendono piede fenomeni di secolarizzazione, di individualizzazione, di trasformazione dei modelli familiari, di privatizzazione della religione, che configurano una società locale caratterizzata da un «cattolicesimo senza Chiesa»[16] o da una «religione dello scenario» nella quale i comportamenti individuali e l’etica personale si separano dalla funzione ecclesiale. La diffusione di movimenti, di gruppi di militanza religiosa, di associazioni di volontariato, indeboliscono ulteriormente la presa della Chiesa sullo stesso mondo cattolico. Sull’onda di queste differenti spinte, la religione diviene per molti un insieme di valori trasmessi dalla tradizione; un’etica pubblica al servizio della collettività[17] e sempre meno un’«istituzione della salvezza» o di orientamento morale nella vita quotidiana. A sua volta la Chiesa cessa di essere il principale centro di produzione di identità e senso per diventare solo uno degli attori, pur importanti, che agiscono nella società locale.
Gli anni Ottanta registrano un forte mutamento nell’Italia bianca, che si traduce in una perdita di consenso per la Dc e nell’emergere di nuovi soggetti politici territoriali, «leghe» in primis, caratterizzate da una pulsione anticentralista e dalla richiesta di redistribuzione dei trasferimenti finanziari dello Stato in base al carico fiscale.
Le risposte del sistema politico locale e dello Stato centrale appaiono, infatti, sempre più inadeguate ai problemi che si manifestano in quell’area del Paese. Il Nordest chiede visibilità e rappresentatività proporzionali al peso economico raggiunto. In questa «lotta per il riconoscimento» si individuano come competitori sia il Nordovest della grande impresa sia Roma, ovvero lo Stato centrale «garante della crescita assistita del Sud». Alla comparsa di una neoborghesia di piccola impresa che rivendica maggiore rappresentanza degli interessi e cerca nuovi canali politici per esprimerli, corrisponde una crescita economica che sfocia nel progressivo distacco tra queste aree sociali e territoriali e lo Stato[18]. Il mondo del localismo economico e associativo vede, infatti, nell’assetto dello Stato centralistico, e nelle politiche pubbliche adottate da governi ritenuti «romanocentrici», un vincolo e un ostacolo allo sviluppo. La rivendicazione non mette al centro solo il conflitto redistributivo tra Nord e Sud, ma investe anche la questione del modello industriale da privilegiare. I piccoli imprenditori contestano, in nome del primato del mercato, sia i finanziamenti statali alla grande impresa del Nordovest, sia la crescente pressione fiscale, sia una politica creditizia che, a loro dire, li penalizza.
La conseguenza diretta è che quel mondo non si riconosce più nella Dc. D’altra parte, non è affatto facile per quel partito passare dal ruolo di mediazione e supporto a quello di regolazione. Il quadro si complica ulteriormente dopo il 1989, con la caduta del Muro di Berlino, che segna, anche simbolicamente, la fine di un sistema politico rettosi per oltre quarant’anni sul...

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