Laterza dopo Croce
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Laterza dopo Croce

Luigi Masella

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Laterza dopo Croce

Luigi Masella

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Ripensare la propria identità e il proprio ruolo nella nuova stagione della cultura nazionale senza paternità ideologiche, superare Croce senza diventare anticrociani. Questo il mandato che gli eredi di Giovanni Laterza si trovano ad affrontare all'indomani del secondo conflitto mondiale. L'innovazione si manifesta attraverso l'esordio di nuove e fortunate collane come i "Libri del Tempo", più direttamente legate alla battaglia culturale per la modernizzazione laica e civile del paese, in nome di un pensiero liberale progressivo da ricostruire e promuovere. La riorganizzazione, progettata da Franco e soprattutto Vito Laterza, si sviluppa attorno alle figure di Luigi Russo, direttore sin dal 1937 degli "Scrittori d'Italia", Armando Saitta, responsabile della collana storica, e Eugenio Garin, direttore della collana filosofica. Dalla loro corrispondenza con l'editore, dalle loro riflessioni e proposte, matura la costruzione di una nuova e complessa identità, che colloca casa Laterza dopo Croce fra i soggetti protagonisti del rinnovamento civile del paese, pronta a cogliere le nuove domande di consumo culturale della società di massa.

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Napoli sempre più lontana

La fine di un’amicizia: il caso De Sanctis

Il rispetto delle origini e delle tradizioni crociane e la ricerca nello stesso tempo di percorsi nuovi, coerenti con una scelta politica che non si riconosceva più in un liberalismo irrigidito su posizioni di chiuso conservatorismo, fecero di Luigi Russo un imprescindibile punto di riferimento per casa Laterza sin dalla seconda metà degli anni Quaranta. Fu un sodalizio non sempre tranquillo, nel quale a lungo si fece molto sentire anche la differenza di età tra il critico affermato e i giovani eredi della casa editrice. Il non facile carattere di Russo, generoso ma incline a frequenti scatti d’ira, turbolento allora con tutto e tutti, avrebbe molte volte sfidato la pazienza e le doti diplomatiche di Franco e Vito per calmare l’ira del ‘barbaro’, come lui stesso amava definirsi, o per appianare i contrasti col malcapitato autore di turno. Solo la sua presenza attiva in casa editrice, tuttavia, avrebbe potuto equilibrare e contenere la presenza culturale di Croce, soprattutto dopo la scomparsa di Omodeo e De Ruggiero. La direzione degli «Scrittori d’Italia», assunta sin dal 1937, di fatto aveva sancito da allora all’interno di casa Laterza una presenza critica verso l’ortodossia crociana. Vocazione democratica e reinterpretazione dell’estetica crociana sulla base della lettura desanctisiana, centrata sul riconoscimento dell’unità di forza morale e di impulso poetico come assunto centrale dell’opera del critico avellinese e come punto di riferimento e di partenza della propria attività di critico della letteratura italiana1, avevano costituito sin dalla seconda metà degli anni Venti gli elementi fondativi del percorso intellettuale di Russo. L’insistenza sul «tramonto del letterato», sul rapporto stretto e intenso fra opera d’arte, condizione storica e impegno umano dell’artista, elementi costitutivi della «poetica» di un autore, non solo collocavano «la critica del Russo al di là delle formulazioni così crociane come gentiliane»2, ma si accompagnavano naturalmente alla maturazione della consapevolezza della necessità di andare al di là dell’opposizione intellettuale al fascismo, affidata alla critica letteraria e all’insegnamento universitario, entrambi ispirati negli anni della dittatura alla rigorosa applicazione della religione della libertà, e di approdare a un più diretto impegno civile e politico nella ricostruzione della democrazia italiana. Il successivo riconoscimento, in piena polemica con Croce, che quell’antifascismo, suo e di tutti gli allievi del filosofo, fu certamente utile, ma fu anche «più indisturbato» rispetto a quello, perseguitato, dei «socialcomunisti», non giunse dunque improvviso e inaspettato. Costituì invece il risvolto attivo e conseguente di un complessivo giudizio di fissità dell’insegnamento del maestro, ancorato nella critica letteraria a una distinzione fra poesia e non poesia, che per Russo non riusciva a cogliere la pienezza di una personalità poetica, e nella teoria politica a un liberalismo sempre più orientato verso soluzioni conservatrici. Il filosofo si era tramutato «in un papa della storia, della critica e della politica», si era illuso di considerare il suo Partito liberale un prepartito e aveva rifiutato di prendere atto che invece la sua creatura era divenuta il ricettacolo degli agrari, «il luogo dove intanto erano convenuti il villan d’Aguglion e quel da Signa, che per barattare, anche nei tempi moderni, ha sempre l’‘occhio aguzzo’»3. L’esito dello scontro elettorale del 1948, da Russo letto come deriva clericale e avvio di una pericolosa involuzione autoritaria, della quale egli stesso, peraltro, avrebbe presto sperimentato gli effetti4, lo avrebbe ulteriormente rafforzato nella convinzione che sarebbe stato ormai impossibile non schierarsi in maniera chiara dalla parte delle forze di opposizione più netta al nuovo «regime» che stava per costruirsi. Della denuncia dell’immobilismo del maestro e della rivendicazione contemporanea di fedeltà al credo storicistico sarebbe stata per Russo logica e diretta conseguenza una scelta di radicalità, che gli rendeva impossibile una militanza antifascista all’interno del Partito d’Azione, sull’esempio degli amici Omodeo e De Ruggiero, in quanto espressione di un impossibile percorso terzaforzista, e individuava nell’adesione appunto alle politiche del Fronte popolare la soluzione vera del crociano rapporto tra pensiero e azione. L’adesione al Fronte popolare, i giudizi positivi sull’Unione Sovietica, peraltro allora non infrequenti anche in ambienti estranei al Partito comunista, il valore assegnato alla presenza di Gramsci e dello stesso Togliatti nella cultura italiana non comportarono tuttavia l’adesione di Russo al marxismo, verso il quale egli conservò invece un distacco fortemente critico e a volte molto polemico5, in quanto orientamento che proponeva come nuovi risultati e aspetti storico-critici già presenti in De Sanctis e componenti essenziali di una cultura storicistica crociana e soprattutto sua6.
Io non sono comunista – scriverà nel febbraio 1951 –, ma sono schierato sempre più decisamente dalla parte dei comunisti, dopo l’esperimento che abbiamo fatto in questi ultimi cinque anni della democrazia cristiana. La situazione è sempre brutta. I democristiani, con la scusa che ci può essere la guerra, si vorrebbero rimangiare quel po’ di libertà che ci rimane; essi sono i nemici dell’Italia come lo erano i fascisti. In fondo, anche il Croce stesso dovrebbe schierarsi dalla parte di sinistra. Ma io mi rendo conto che lui non lo possa fare. Il comunismo verrà o non verrà; ma questo laido clerico fascismo a me fa soffrire più che non mi facesse soffrire lo stesso fascismo. Il quale ci lasciava fare nel campo degli studi, cosa che questi non ci permettono7.
In questa prospettiva si può ben comprendere come Russo potesse rappresentare veramente per casa Laterza, al di là delle posizioni politiche radicali da lui assunte, il garante di quella soluzione postcrociana dell’attività editoriale, rispettosa di una tradizione consolidata, della quale tuttavia si contestava la chiusura conservatrice e che invece si cercava di aprire al confronto con posizioni politiche e culturali più avanzate. Russo poteva pur scegliere di stare dalla parte del Fronte popolare e di candidarsi per esso alle politiche del 1948, ma nello stesso tempo il suo anticlericalismo e il suo storicismo ben si potevano coniugare con gli orientamenti di chi, come Franco e Vito Laterza, rivendicava l’eredità di Croce, ma denunciava la deriva reazionaria del Partito liberale, rivendicava la legittimità di una scelta di terza forza, ma vedeva tutti i rischi di una subalternità dei partiti democratici minori al centrismo democristiano e soprattutto sentiva la necessità di rispondere senza chiusure preconcette alle sollecitazioni provenienti dai nuovi orientamenti e dai nuovi gusti di un mercato culturale ed editoriale sempre più ampio, tendenzialmente di massa e curioso di sperimentazioni e contaminazioni.
Non solo le università, ma ormai anche le scuole superiori si avviavano ad attirare l’attenzione della casa editrice. Anche da questo punto di vista la presenza di Russo come studioso, cui stava particolarmente a cuore l’attività di docente, e come fonte di preziosi consigli per individuare autori e soprattutto eventuali consulenti in altri settori culturali risultava particolarmente utile alla casa editrice in quei primi anni di dopoguerra e di avvio di una nuova fase, tanto da indurre gli editori a sorvolare con pazienza su polemiche e frequenti scatti d’ira.
Viveva ancora Giovanni Laterza quando nel gennaio 1943 Luigi Russo, ottenuta la liberatoria dalla Nuova Italia, consentiva alla ristampa a Bari del suo Francesco De Sanctis e la cultura napoletana. «Con questa ristampa – concludeva la lettera – inauguriamo la sistemazione di tutti i miei libri presso la vostra Casa. Per quest’anno, dopo De Sanctis, nell’estate vorrei darvi una seconda serie di Ritratti e disegni storici – dall’Alfieri al D’Annunzio. Nel 1944, una 3a serie di Ritratti e disegni storici, da Salimbene a Cellini, e un volume di saggi manzoniani. Speriamo che nel ’44 almeno la pace ci raccolga tutti sotto le sue bianche ali. Allora avremo altro da fare»8. Era una decisione importante per Russo, che anni addietro aveva invece avviato un concreto rapporto di collaborazione con Giulio Einaudi, pronosticandogli la possibilità di diventare «il nuovo Laterza di Torino, e con vedute più internazionali» e giungendo a proporgli, con la mediazione di Leone Ginzburg, la pubblicazione presso la sua casa editrice della sua rivista «Belfagor», che uscirà invece nel 1946 presso la casa editrice D’Anna9. La contrapposizione con Croce non era ancora emersa con clamore, e anzi era proprio Russo nell’ottobre 1945 ad affrettarsi a comunicare a Croce e De Ruggiero la notizia che finalmente la tipografia della casa editrice era stata derequisita e che si poteva perciò ritornare a stampare con nuova lena. Lui per primo si affrettava a chiedere dopo i Ritratti e disegni storici la ristampa dei volumi della Critica letteraria, «che sono ricercatissimi», per passare poi all’Elogio della polemica, «che potrebbe apparire con una appendice di nuovi scritti. Per i problemi di metodo critico bisognerà aspettare la primavera dell’anno venturo, perché avrò finiti 4 saggi nuovi, importanti, che metterò al posto di altri, assorbiti in altri volumi». Contemporaneamente Russo riavviava le trattative con nuovi curatori dei volumi degli «Scrittori d’Italia», di cui si augurava la ripresa delle pubblicazioni10. Non sembra turbare il suo fervore, ancora nel 1948, nemmeno la lettera un po’ imbarazzata con la quale Franco Laterza gli chiedeva di ridurre il numero delle pagine del De vera religione e soprattutto di eliminare quanto potesse creare motivi di irritazione in Croce. Questi infatti «mi aveva chiesto di vedere il suo manoscritto De vera religione e gli promisi che glielo avrei portato quando sarebbe stato completo; ci terrei che non abbia a fare rilievi e perciò vorrei pregarla di togliere, nel fare la riduzione, quegli articoli che secondo il suo giudizio non fossero di gradimento al nostro grande amico. Mi scusi il consiglio, ma le precedenti esperienze fatte da Casa Laterza e il mio desiderio di mantenere solida la vecchia amicizia mi obbligano a prendere tutte le misure preventive»11. Il libro comunque non sarà pubblicato; uscirà invece presso Einaudi, e l’avvenimento costituirà in fondo la prima manifestazione significativa di una netta opposizione di Croce, per il quale la scelta politica dell’amico, prima ancora, forse, del dissenso in tema di critica letteraria, costituiva la ragione principale di un suo atteggiamento di ostilità che avrebbe assunto ben presto caratteri molto più appariscenti12.
Il dissenso tra i due studiosi e amici divenne pubblico per la prima volta nel 1949, quando Croce, nel numero 14 dei «Quaderni della Critica», pubblicò una breve nota, Delirii di cattiva filosofia, nella quale contestava a Russo l’idoneità a «riformare il metodo della critica e della storia letteraria», considerata da un lato la coincidenza tra metodologia della storia e filosofia e dall’altro l’inesperienza in campo filosofico di Russo, «mente poco disposta al cauto e vigile filosofare»13. Considerava «enormità o mostruosità» la risoluzione russiana dell’esteticità nella storicità e ironizzava sprezzante sui rilievi che in un articolo precedente Russo gli aveva mosso in relazione alla sua interpretazione di Petrarca, accusandolo di proporre una tesi interpretativa poco dimostrabile e confusa14. La conclusione della nota crociana, per la sua durezza, aveva veramente tutta l’aria di una dichiarazione di guerra: «E come può credere che, con siffatti concetti informi e parole affastellate e prive di senso, riesca a rischiarare un problema qualsiasi e ad ottenere il consenso degli spiriti che pensano? E gioverebbe cercare ora di frenarlo e indurlo a raccogliersi in sé, e non dico meditare, ma a riflettere? Mi par che non gioverebbe, almeno per ora, e che sia necessario, in casi come questi, lasciar correre»15. Nella risposta, altrettanto vivace e aspra, Russo contestava invece al vecchio maestro l’irrigidimento dottrinario e politico, che ne avevano fatto «un acceso clericale della sua filosofia, un clericale di se medesimo»16, che sentiva solo «il problema morale che si muove dietro la politica, o [...] il ‘Partito liberale’ come propaggine e braccio secolare della sua filosofia». Proprio per questo «odio teologico [...] molto forte in lui, nonostante la struttura laica del suo pensiero», i discepoli migliori, che insieme al maestro avevano combattuto una battaglia morale e culturale contro il fascismo, con la caduta di questo se ne distaccarono, «desiderosi di iniziarsi ad una educazione politica che fino ad allora non avevano potuto avere dal maestro napoletano, e che sospettarono egli non potesse mai dare». La medesima deriva dottrinaria era poi rinvenibile, a parere di Russo, nelle obiezioni che gli venivano mosse in materia di estetica e critica letteraria, quando aveva cercato di superare l’irrigidimento della distinzione fra poesia e non poesia «in una maniera puramente statica e meccanica», contrapponendo alla «poesia intesa come fulgurazione lirica» quella...

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Masella, L. (2014) Laterza dopo Croce. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3460576/laterza-dopo-croce-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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