Arte e verità dall'antichità alla filosofia contemporanea
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Arte e verità dall'antichità alla filosofia contemporanea

Un'introduzione all'estetica

Pietro Montani, Adriano Ardovino, Daniele Guastini

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Arte e verità dall'antichità alla filosofia contemporanea

Un'introduzione all'estetica

Pietro Montani, Adriano Ardovino, Daniele Guastini

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Arte e verità: un nesso ovvio nel mondo antico. Oggi lo è ancora? Partendo da questa domanda, il libro introduce il lettore all'estetica seguendo un percorso coerente, corredato da ampi inserti antologici: in essi la parola passa agli autori (da Platone a Hegel, da Kant a Heidegger) che meglio hanno saputo pensare l'arte nel suo destino storico.

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Information

Year
2015
ISBN
9788858122532

Capitolo ottavo.
Baumgarten, Vico, Batteux.
La nascita dell’estetica

1. Baumgarten

«L’estetica (teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del pensare in modo bello [pulchre], arte dell’analogo della ragione) è la scienza della conoscenza sensibile in senso lato (cognitio sensitiva)». Come apprendiamo da questa definizione, che costituisce per intero il §1 dell’Estetica di Baumgarten, l’arte non è affatto un referente privilegiato della disciplina scientifica che egli intese battezzare con un neologismo, aesthetica, il cui utilizzo, sia come aggettivo (per esempio, ‘problemi estetici’) che come sostantivo (per esempio, ‘problemi dell’estetica’) ha conosciuto una storia assai accidentata, dispiegatasi in momenti di riorganizzazione semantica e di ricollocazione storica e paradigmatica che giungono fino ai giorni nostri (e che anzi sono tuttora in corso). Qui non interessa fare i conti con i confini tematici dell’estetica di Baumgarten, ossia con tutto ciò di cui essa dichiara o progetta di volersi occupare, ma più limitatamente e in primo luogo si tratta di chiarire come e a che titolo essa si pronunci sul problema dell’arte, e in secondo luogo di mostrare come tale comprensione estetica dell’arte risulti per un verso da un mutamento dell’esperienza artistica che riposa sulle categorie della filosofia moderna, ma per altro verso contribuisca a questo stesso mutamento indirizzando il dibattito sull’arte e sul suo significato.
Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762) affrontò per la prima volta il problema dell’arte nelle sue Riflessioni ordinate su taluni aspetti che ineriscono al poema (1735), che costituiscono l’ultimo passo della sua abilitazione alla docenza nell’Università di Halle. Baumgarten aveva già affrontato corsi di logica e di poetica, cosicché le sue Riflessioni uniscono una strutturazione molto rigorosa (decisivi gli influssi di Leibniz e di Wolff) a un’amplissima erudizione greca e latina. Ricordiamo che Baumgarten fu successivamente autore di una Metafisica (1739), che conobbe sette edizioni e fu adottata da Kant come manuale per i propri corsi accademici; di un’Etica (1740); e infine della grande Estetica, pubblicata in due parti (entrambe incompiute), rispettivamente nel 1750 e nel 1758. La formazione intellettuale e la produzione teorica di Baumgarten rimangono per gran parte interne all’epoca del razionalismo filosofico di Cartesio, Hobbes, Spinoza e soprattutto di Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), il cui influsso fu, come abbiamo detto, determinante, anche grazie alla mediazione (e all’enciclopedica sistemazione) delle tesi leibniziane ad opera di Christian Wolff (1679-1754), che fu uno dei più profondi metafisici del suo tempo e la cui lezione fu ancora ben presente sia a Kant che a Hegel. Il punto che qui ci interessa rimarcare è naturalmente quello che riguarda il tema della sensibilità. Come vedremo tra un attimo, il razionalismo leibniziano dal quale Baumgarten dipende costituì sì un passo fondamentale verso un’autonoma tematizzazione della facoltà sensibile nell’uomo, ma intese quest’ultima soprattutto come una forma di conoscenza, inferiore al patrimonio logico della ragione. Proprio per questo, come abbiamo ascoltato in apertura, risulta molto importante il passo compiuto da Baumgarten, il quale parlerà della disciplina da lui battezzata, l’«estetica», anche in termini di «arte dell’analogo della ragione». Analogon rationis, appunto, è qui l’intero dominio sensibile, che può essere indagato in modo soltanto analogo rispetto alla trasparenza logico-concettuale delle verità razionali. Il che, se per un verso stabilisce definitivamente il rango subordinato del sensibile, per altro verso ne definisce anche la fondamentale continuità conoscitiva rispetto all’ambito razionale, inteso come telos verso cui tende naturaliter ogni esperienza umana. In altre parole, il sensibile che è oggetto dell’estetica come gnoseologia inferior non è ancora quel sensibile resosi ormai autonomo rispetto alla ragione, che costituirà invece una delle novità assolute del paradigma critico proposto da Immanuel Kant. Il quale parlerà del «concetto logico» e dell’«intuizione estetica» come di due fonti conoscitive tra loro del tutto eterogenee, la cui sintesi, ossia il processo effettivo del conoscere in tutta la sua ampiezza, è condizione di possibilità della nostra esperienza.
Il compito che Baumgarten si pone nelle Riflessioni (al termine delle quali, lo ricordiamo, battezzerà la nuova disciplina, introducendo per la prima volta il grecismo dotto «aesthetica») è né più né meno che una fondazione razionale della poetica (e in parte della retorica), cioè di due ambiti conoscitivi che a partire dall’antichità si sono costituiti, certo, in modo autonomo, ma spesso in contrasto con il sapere filosofico. Baumgarten non è soltanto interessato a mostrare la congruenza possibile di questi saperi, ma anche e soprattutto a subordinare entrambi a una nuova consapevolezza filosofica. Tanto il poema che l’orazione, in quanto opere di un fare tecnico, ammettono conoscenza filosofica, sono cioè in grado di esibire un sapere specifico, indagabile soprattutto a partire dal complesso di regole che ne guidano e ne sostengono l’esecuzione. Tuttavia, Baumgarten non si preoccupa affatto di fornire prescrizioni ‘filosofiche’ all’arte poetica (distinguendosi, in questo, dalla prassi rinascimentale). Egli intende piuttosto mostrare come l’arte, che ha a che fare in modo privilegiato con la costituzione sensibile dell’uomo, sia suscettibile di rappresentare la «perfezione» (l’unificazione spontanea e il dispiegamento più efficace) di un determinato dominio conoscitivo. Tale dominio è appunto quello della conoscenza sensibile in senso lato (cognitio sensitiva e non semplicemente sensibilis). Ma perché l’arte ha per Baumgarten un commercio così essenziale con la sensibilità, tanto che la bellezza (pulchritudo) non è altro che perfezione, come unitas in varietate, della sensibilità stessa? La risposta sta nel modo specificamente moderno in cui qui l’arte e la poesia in particolare vengono intese. Il poema, come leggeremo tra poco, è per Baumgarten un discorso nel quale si concatenano termini verbali che esprimono determinate rappresentazioni. Il tema della repraesentatio è assolutamente decisivo. Nel discorso poetico non ne va principalmente di un rapporto tra le parole e le cose, ma tra le parole e le repraesentationes che esse ‘suscitano’ nell’anima. Ma di che qualità sono queste rappresentazioni? E perché esse hanno un ruolo così eminente nella nuova fondazione filosofica di Baumgarten?
Per comprendere questo dobbiamo ricordare come Leibniz, il cui influsso su Baumgarten fu, assieme a quello di Wolff, decisivo, avesse concepito l’individuo come una «monade», cioè come un’entità unitaria dotata in via essenziale di una vis repraesentativa, di una forza o capacità di ‘avere’ rappresentazioni. Queste ultime furono sottoposte, da un Leibniz in polemica con Cartesio, a un’innovativa classificazione, che nella sostanza viene ripresa da Baumgarten. Detto in breve: le rappresentazioni che si trovano nell’anima (le notiones del ‘qualcosa’), procedono da uno stato di confusio, cioè di indistinzione e di con-fusione, ad uno di piena ed evidente distinctio. Le rappresentazioni confuse, che a loro volta possono restare obscurae oppure elevarsi fino a un certo grado di chiarezza (claritas), non sono altro che le repraesentationes sensitivae, cioè le rappresentazioni sensibili in senso lato; le rappresentazioni distinte sono invece quelle di natura propriamente logico-intellettuale. La distinzione tra il dominio sensibile e quello logico-intellettuale non deve però far perdere di vista il fatto che entrambi hanno il proprio termine in un complesso di repraesentationes. In altre parole, sia il sensibile che il razionale hanno un sostanziale rilievo gnoseologico in quanto, pur in forme diverse, costituiscono entrambi una modalità necessaria dell’unico conoscere umano che si differenzia al suo interno soltanto per il grado di distinzione e di riconoscibilità (dall’indistinzione sensibile alla piena distinzione dell’intelletto). Nel quadro del razionalismo metafisico che qui sostiene il discorso, si parla certamente di due facoltà, una superiore (l’intellettuale) e l’altra inferiore (la sensibile), ma va ribadito che il sistema di tutte le facoltà non è che l’articolazione di un’unica forza o capacità rappresentativa in cui l’anima consiste. Ultima annotazione, prima di cedere la parola a Baumgarten: la facultas inferior, cioè il dominio della sensibilità, non può essere ridotto all’ambito delle sensazioni intese come mere percezioni. Nel testo che ora leggeremo, Baumgarten, che testimonia di un esito secolare dell’interpretazione del De anima di Aristotele, tiene insieme almeno tre operazioni eminenti della nostra facoltà sensibile: (i) quella concernente le percezioni in senso proprio; (ii) le immagini (phantasmata), che mostrano come la facoltà inferiore sia anche memoria sensitiva e facultas imaginandi, in cui vengono refictae e reproductae (rimodellate e riprodotte) le forme delle cose sensibili e le loro tracce mnestiche; (iii) e infine le finzioni vere e proprie (figmenta), che mostrano come la stessa facoltà sia anche – il che è di rilevo assoluto per tutto quanto è poeticumfacultas fingendi. Refictio, figmentum, fingere: siamo ormai pienamente dentro il paradigma estetico di un’arte poetica che ha uno statuto eminentemente finzionale, come tale lontanissimo dal riferimento essenziale a un’esperienza di verità paragonabile a quella del paradigma greco antico. Ci troviamo piuttosto nel punto esatto in cui lo slittamento del sensibile (aistheton) in direzione dell’interiorità dell’anima, che avevamo scorto a partire dalla sintesi neoplatonica di Plotino, si radicalizza in direzione della finzione soggettiva. L’incremento stesso di poeticità è dato per Baumgarten dalla mera qualità affettiva delle rappresentazioni sensibili messe in gioco o suscitate dal poeta: le stesse regole della poetica aderiscono cioè integralmente alle leggi della conoscenza sensibile e al multiforme regno della «rappresentazione».

Baumgarten, Riflessioni sulla poesia

Premessa dell’Autore

Poiché fin dalla prima fanciullezza mio fratello ed io non solo abbiamo trovato straordinario diletto in un certo ambito degli studi ma ci siamo impegnati in esso anche per lo stimolo che ci veniva da personaggi di grandissima cultura e meritevoli di rispettosa obbedienza, ho deciso con il suo sostegno di mettere pubblicamente alla prova le mie forze, qualunque esse siano, in questo ambito. Dal tempo infatti che ho iniziato a formarmi negli studi umanistici, spronato e guidato dall’espertissimo maestro dei miei giovani anni, che io non posso nominare senza un sentimento grandissimo di gratitudine, il celebre Christgau, conrettore di grandissimi meriti del famoso ginnasio di Berlino, non ho trascorso quasi un giorno senza scrivere versi. Avanzando a poco a poco nell’età, benché già sugli stessi banchi di scuola dovessi sottopormi a studi via via più severi e benché infine gli studi universitari richiedessero evidentemente ben altre fatiche e ben altra applicazione, tanto però mi sono appassionato agli indispensabili studi letterari, che non mi è mai riuscito di prendere del tutto congedo dalla poesia, a me carissima sia per la sua onestissima piacevolezza sia per la sua ben nota utilità. Nel frattempo accadde che per volontà divina, che io venero, mi fosse affidato l’incarico d’istruire i giovani, che si preparano per l’università, nella poetica e insieme nella logica detta anche philosophia rationalis. Quale migliore opportunità, ora che se ne presentava l’occasione, per applicare gli insegnamenti della filosofia? Che cosa è difatti più vergognoso o, direi, più imbarazzante per il filosofo del giurare sulle parole altrui e del declamare con voce altisonante gli scritti del maestro? Mi dovevo preparare a riflettere su quegli argomenti che, come accade di solito, conoscevo dal punto di vista storico, per pratica, per un’imitazione se non cieca tuttavia semicieca e per via di analogia. Mentre ero in questa situazione, mutò di nuovo lo stato delle mie cose e fui spinto ad occhi chiusi nella luce dell’Università Fridriciana. Detesto con forza l’improntitudine di coloro che divulgano cose acerbe e confuse e che a poco prezzo mettono in vendita per il pubblico colto il faticoso prodotto della loro penna, invece di investigare. Non prima di aver adempiuto a questo dovere, lo ammetto, ho fatto ciò che i venerabili statuti accademici mi richiedono. Ma ora, per ottemperare a questi, ho scelto una materia che molti certamente giudicheranno tenue e del tutto estranea all’intelligenza dei filosofi, ma che a me sembra sufficientemente impegnativa per l’esiguità delle mie forze e sufficientemente adatta, data l’importanza dell’argomento, ad impegnare le menti che si occupano d’investigare le ragioni di ogni cosa. Per dimostrare infatti che, a partire da un unico concetto dell’opera di poesia che già da qualche tempo avevo in mente, si possono provare moltissime tesi più volte enunciate ma mai provate e che con ciò stesso si può evidenziare come la filosofia e la poetica, ritenute spesso tanto distanti, siano unite da uno strettissimo legame, fino al § 11 sono impegnato a sviluppare l’idea dell’opera di poesia e dei concetti affini; quindi ai §§ 12-65 mi sforzo di formarmi una qualche immagine delle rappresentazioni poetiche; dopo di ciò ai §§ 65-77 elaboro il metodo luminoso dell’opera di poesia, in quanto è comune a tutte queste opere; infine, volgendomi a considerare ai §§ 77-107 le parole di uso poetico, mi propongo di esaminarle con maggior cura. Dopo che è stata mostrata la fecondità della nostra definizione, è parso opportuno di confrontarla con qualche altra e infine di aggiungere qualche parola sulla poetica generale. L’impostazione del lavoro non ha permesso di più e la pochezza del pensatore di meglio; Dio, il tempo e l’impegno offriranno forse in seguito qualcosa di più importante e di più maturo.

Il discorso

§ 1. Quando diciamo discorso (oratio), intendiamo una serie di parole che significano rappresentazioni c...

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