Prima lezione di filosofia antica
eBook - ePub

Prima lezione di filosofia antica

Bruno Centrone

Share book
  1. 208 pages
  2. Italian
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Prima lezione di filosofia antica

Bruno Centrone

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

L'influenza della filosofia antica nei secoli riguarda non solo l'intera storia del pensiero occidentale, – che qualcuno ha definito 'una serie di note in margine a Platone' –, ma anche le nostre categorie mentali, i nostri schemi concettuali e il linguaggio che usiamo tutti i giorni. Parole e idee come l'Essere, il Bene, l'Anima, la Conoscenza, la Verità hanno la loro lontana origine nella filosofia greca e nella traduzione del suo vocabolario in latino. Questa Prima lezione è un'introduzione al lessico concettuale della filosofia, un percorso imprescindibile che attraverso l'etimologia e la storia delle parole esplora il pensiero filosofico antico. E di quello che da essa è nato.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Prima lezione di filosofia antica an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Prima lezione di filosofia antica by Bruno Centrone in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Filosofia & Saggi di filosofia. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Year
2015
ISBN
9788858119549

1. Il termine philosophìa e la nascita della filosofia

1. Criteri di individuazione della filosofia

Le questioni “quando è nata la filosofia” e “chi fu il primo filosofo” sono rubriche fisse della manualistica moderna, ma figurano già nella dossografia antica. Le risposte variano, a seconda di ciò che si intende per filosofia: se la filosofia si identifica, in senso lato, con una qualsiasi visione del mondo, diviene difficile delimitare il campo e individuarne un inizio: ogni concezione morale contiene elementi in qualche misura filosofici. In una prospettiva più specifica, ma anch’essa riduttiva, si può intendere la nascita della filosofia come l’emergere di un tipo di indagine critica e non dogmatica, condotta con metodo razionale, distinta da forme di sapere arcaiche a sfondo religioso e contrapposta a tipi di spiegazione mitica, secondo lo schema classico del passaggio dal mthos al lògos. Prospettiva riduttiva, perché in questo modo i confini tra scienza e filosofia divengono molto labili e la filosofia finisce per perdere la sua specificità.
C’è invece un senso più ristretto, anche se generico, della nozione di filosofia, secondo cui si tratta di una forma di sapere distinta da tutte le altre, scientifiche e no, che ricerca i principi primi e i fondamenti della realtà, non confinata, come le altre scienze, a un ambito particolare, e non rivolta a fini concreti. È questa la concezione elaborata da Aristotele, il quale, assicurando un posto nella preistoria di questo sapere a tutti gli autori nei quali ha trovato tracce, anche labili, di una indagine sulle cause, ha fatto sì che personalità che al loro tempo non erano sicuramente considerati filosofi (se non altro perché la filosofia non esisteva ancora con questo nome) entrassero di diritto nella storia della filosofia. Talete è diventato il primo filosofo, perché ha individuato nell’acqua il principio, l’archè. Va però precisato che altri autori, pur menzionati da Aristotele nei suoi resoconti, come Esiodo o Ferecide, non hanno avuto altrettanta fortuna, e che è piuttosto la storiografia filosofica moderna, in particolare in ambito tedesco, ad avere impresso la direzione decisiva in questo senso.
Minori problemi comporta l’inserimento nella storia della filosofia di figure che per la prima volta hanno affrontato questioni rimaste ancor oggi di pertinenza dell’indagine filosofica, quali il problema dell’Essere, o ontologia. In questa prospettiva si potrebbe, come di fatto è avvenuto in alcuni casi, individuare in Parmenide il primo filosofo. Ma anche rimettendo in discussione il punto di vista aristotelico o le prospettive ormai radicate nella storiografia moderna non è più possibile, allo stato attuale, escludere parte dei Presocratici da una storia della filosofia; si tratta non tanto di chi includere in una storia della filosofia, ma piuttosto di individuare le forme di una specificità della filosofia all’atto della sua nascita. Il dato certo è che in un determinato momento storico nello sviluppo dell’antica civiltà greca è nata e ha continuato ad esistere, sino ai nostri giorni, una forma di sapere autonoma e distinta da tutte le altre, chiamata con il nome di “filosofia”; e che gradualmente, già nel V secolo a.C., si è delineato un tipo umano del filosofo con una sua fisionomia, percepito dai contemporanei come una novità anomala, e divenuto solo in seguito un professionista del sapere con una sua identità sociale. Questo sembra anche il criterio ermeneutico più adatto per discutere la questione della nascita della filosofia, collocandola, se si è propensi a considerarla come un evento, in un momento storico preciso. Resta fermo, comunque, che non si tratta di un evento improvviso, ma del culmine di un processo secolare di riflessione dell’uomo su se stesso e sul mondo circostante. Ciò implica che un’indagine del genere non possa trascurare il punto di vista degli antichi sulla questione: si tratta di vedere come i Greci abbiano individuato una specificità della filosofia, riconoscendola come una forma di sapere nuova e peculiare della loro civiltà.
Quando si cerca di individuare, con tutte le difficoltà di imprese del genere, la nascita di una forma di sapere o si indaga sulle origini di un concetto, si può facilmente constatare che quasi mai questa coincide con l’emergere del termine che è in seguito invalso per designare quel sapere o quel concetto. Guido Calogero notava che, se ci si dovesse basare solo sul termine, una storia della logica dovrebbe lasciar fuori uno dei suoi più importanti documenti, la logica aristotelica. E lo stesso discorso si potrebbe ripetere per la metafisica, l’estetica, o la matematica. Eppure nel caso della filosofia la questione del nome non sembra indifferente. L’emergere di questa nuova forma di sapere appare di fatto legata, se non al conio del termine, a una trasformazione del suo significato: il termine philosophìa, già in uso nel VI secolo a.C. con il generico significato di “desiderio di sapienza”, in molti casi sinonimo di sophìa, conosce una risemantizzazione volta a designare una forma di sapere che si presenta come nuova e consapevolmente si distingue da quelle più note. L’indagine su ciò che è indicato dal nome comporta inoltre una riflessione del sapere in generale su se stesso e sui suoi limiti, tratto anche questo solitamente ritenuto distintivo della filosofia.

2. Sophìa e philosophìa

Alle origini ci si imbatte nel verbo philosophèin, con i suoi derivati, philòsophos e philosophìa, termini la cui etimologia, ben nota, è da phìlos (in prima approssimazione, amico, amante) e sophòs, sophìa (sapiente, sapienza). Filosofare è dunque, genericamente, amare la sapienza.
A differenza che in altri composti con il prefisso philo-, in philòsophos il secondo elemento non è un sostantivo, ma un aggettivo; e mentre sophòs, anche quando viene sostantivato (il sapiente), rimane un aggettivo, che può essere intensivato al superlativo (sophòtatos), philòsophos funge in prima istanza da aggettivo, ma in seguito, una volta delineatosi il tipo umano del filosofo, diviene in primo luogo un sostantivo (sono rare le occorrenze del superlativo philosophòtatos). “Filosofo” è un termine che agli inizi connota, piuttosto che denotare.
Ma c’è differenza tra sophìa e philosophìa? A quali scopi rispondeva il riassestamento del termine philosophìa?
Il termine con cui abitualmente si traduce il greco sophìa è “sapienza”, che rimanda a un contesto arcaico e mitico e alle varie forme di sapere che in esso avevano cittadinanza. Nel mondo contemporaneo nessuno si definirebbe sapiente senza esporsi al ridicolo; i professionisti del sapere vengono definiti esperti, competenti, tutt’al più scienziati; un termine, anche questo – considerato l’ampliamento smisurato delle conoscenze disponibili e i limiti delle cognizioni che il singolo individuo è in grado di dominare –, sempre più in disuso. I ‘sapienti’ si trovano solo in un passato remoto, e per sapienza si intende comunemente un patrimonio di conoscenze universale e di rango elevato, in molti casi ritenuto di origine divina, posseduto da pochi uomini straordinari, presumibilmente eccellenti anche dal punto di vista morale; e certo è di questo genere la sophìa che i Greci attribuivano ad alcune personalità carismatiche del loro tempo, quali i celebri sette sapienti, chiamati anche sophistài. Ma c’è anche un uso molto meno impegnativo, in base al quale sophòs indica il detentore di una abilità, di un sapere legato all’ambito dell’agire pratico o tecnico:
Socrate – Hai mai visto un sapiente (sophòs) in una qualunque cosa, che fosse incapace di rendere un altro sapiente nella stessa? quello che ti ha insegnato a leggere e scrivere era sapiente e tale ha reso te e chiunque altro ha voluto. (Pl. Alc. I 118c, tr. P. Pucci)
Non si tratta di un’esagerazione ironica; il maestro di lettere è definito sapiente nello scrivere nello stesso senso in cui noi diremmo che il maestro elementare è “uno che sa”, in quanto sa leggere e scrivere e sa insegnarlo ad altri. Se al termine greco si può dare in alcuni casi una sfumatura particolare, è quella di una certa abilità innata, cui si è predisposti per natura. Per essere, ad esempio, un buon timoniere, bisogna possedere una particolare capacità, che forse non può essere insegnata, perché nel navigare è facile trovarsi di fronte a situazioni non prevedibili e non riconducibili a schemi fissi. Sophìa è, in questo senso, un sapere istintivo che non si trasmette e non si impara. Pindaro chiama sophòs (Olimpica 2, 86) “chi molto sa per natura”, definizione in cui è implicita una contrapposizione, in un’ottica tipicamente aristocratica e sprezzante verso certi saperi tecnico-artigianali, nei confronti di chi sa o sa fare qualcosa per averlo appreso con lo studio e l’esercizio.
In generale, dunque, la sophìa non è una forma specifica di sapere con un suo oggetto proprio. In quanto segnala una certa abilità, il termine non è neppure necessariamente legato all’eccellenza nella sfera morale. “La tua cattiva anima – dice a Odisseo Filottete nell’omonima tragedia di Sofocle – ha insegnato a Neottolemo a essere abile nel compiere il male” (sophòs èn kakòis, v. 1015). Il sophòs Odisseo è ritenuto da Filottete moralmente spregevole, per l’inganno perpetrato ai suoi danni. Filottete, invece, che riconosce di non essere sophòs, asserisce di fare cose giuste, come tali migliori delle cose sophà (vv. 1244-6).
Il primo componente, phìlos, è un aggettivo, in funzione di prefisso, con valenza sia attiva (chi ama qualcosa o qualcuno) che passiva (caro a; in questo caso è posposto nei composti: theòphilos=caro agli dei). Perciò il termine può prestarsi a indicare vari tipi di relazioni, biunivoche, come l’amicizia, in quanto tale reciproca, ma anche monodirezionali: si può essere cari a qualcuno senza che valga l’inverso, o amare senza essere ricambiati. Oltre che gli amici, phìloi può indicare talvolta i parenti (i miei “cari”). Ma importante è anche il suo uso come possessivo; espressioni omeriche quali phìlon ètor, phìla gia significano “il mio cuore, le mie membra”; dal senso di prossimità, di confidenza, deriva quello di appartenenza; si ama in genere ciò che è prossimo, vicino, affine, che in quanto tale viene avvertito come proprio. Si può però amare e desiderare anche qualcosa che si aspira ad avere ma non si possiede, e che in alcuni casi si rivela irraggiungibile. Sfumature, queste, che si riveleranno decisive per il significato del termine philosophìa.
Alle origini non c’è una distinzione netta tra sophìa e philosophìa. Il verbo philosophèin e il sostantivo sophìa si trovano appaiati in un passo di Erodoto (II 174). Creso dice di Solone, sophistès della cui sapienza (sophìa) gli è giunta fama, che costui viaggiò per molte terre, per vedere e conoscere, filosofando (philosophèon). Solone ha conseguito la sua vasta sapienza grazie al suo desiderio di sapere. Di necessità – si legge in un frammento di Eraclito (B35 DK) – coloro che osservano e indagano la realtà, gli hìstores, sono “uomini filosofi” (dove “filosofo” è usato ancora come aggettivo), cioè amanti della sapienza. E il Pericle di Tucidide (II 40, 1), in un encomio dei caduti proclama, tessendo le lodi del modo di vita degli Ateniesi: “Amiamo il bello (philokalùmen) con austerità e amiamo il sapere (philosophùmen) senza mollezza”. È una lode dell’essenzialità del modo di vita degli ateniesi, che amano, senza eccessi e in generale, la cultura nelle sue varie forme.
Non si tratta ancora, in tutte queste occorrenze, di un sapere particolare, bensì di un generico amore per la conoscenza, non specializzato in un campo specifico, ma legato all’osservazione della realtà (theorìa in Erodoto, hìstor in Eraclito, termini connessi al guardare prolungato, cfr. infra, cap. 5) e a una certa curiosità, sicuramente positiva.

3. Le origini della filosofia secondo gli antichi

Gli stessi Greci si sono interrogati sull’origine della filosofia; Diogene Laerzio, nel Prologo alle Vite dei filosofi (I 1, 3), ne rivendicava orgogliosamente l’origine greca, messa in dubbio da chi invece individuava la sua nascita presso popoli stranieri:
Alcuni dicono che l’attività della filosofia abbia avuto inizio dai barbari... Ma a costoro sfugge che attribuiscono ai barbari le realizzazioni dei Greci, dai quali ebbe inizio non solo la filosofia, ma la stessa razza umana.
La nascita di questa forma di sapere venne ben presto messa in relazione al termine filosofia; in ogni disciplina si era soliti ricercare un primo scopritore, e a questa rubrica era riservato un posto fisso nella dossografia. Il nome che si guadagnò il primato a proposito della filosofia fu quello, leggendario, di Pitagora. Pitagora per primo avrebbe usato il termine philosophìa e si sarebbe chiamato philòsophos, durante una conversazione con il tiranno Leonte. L’aneddoto è narrato in forma estesa nelle Tuscolane (V 3,7-4,10) da Cicerone, e in forma più abbreviata da Diogene Laerzio. Entrambi citano come fonte Eraclide Pontico (ca. 385-320 a.C.), che appartenne all’Accademia platonica, ma ebbe anche stretti rapporti con il Peripato di Aristotele.
Leonte, impressionato dall’eloquenza e dall’ingegno di Pitagora, gli domanda in quale arte o disciplina sia competente. Pitagora risponde di non conoscere nessuna arte specifica (se scire ullam artem), ma di essere filosofo. Leonte, stupito dalla novità del nome, gli chiede chi siano i filosofi e in cosa si distinguano dagli altri uomini. Pitagora risponde con una parabola: come alle grandi feste alcuni vanno per partecipare alle gare sportive, ricercando premi e fama, altri per lucrare, vendendo o comprando, altri ancora solo come spettatori, e sono quelli più nobili,
vi sono certe rare persone che trascurano completamente tutto il resto e studiano attentamente la natura. Costoro si chiamano amanti della sapienza (sapientiae studiosos), cioè filosofi (philosophos), e come nella fiera l’atteggiamento più nobile è fare da spettatore senza cercar vantaggio alcuno, così nella vita lo studio e la conoscenza della natura è di gran lunga superiore a tutte le attività. (Cic. Tusc. disp. V 3, 9, tr. N. Marinone)
All’epoca in cui fu costruito l’aneddoto (sicuramente una creazione posteriore, e vedremo subito perché) la filosofia doveva dunque già essersi costituita come una forma di sapere distinta da quelle tradizionali; Pitagora si distingue per il suo ingegno e si proclama filosofo, ma dichiara, in modo provocatorio, di non possedere nessuna tèchne specifica.
L’aneddoto doveva servire a spiegare la natura della filosofia, ma in particolare il significato e l’origine dei termini “filosofia” e “filosofo”: la sapi...

Table of contents