Storia dell'America Latina contemporanea
eBook - ePub

Storia dell'America Latina contemporanea

Loris Zanatta

Share book
  1. 288 pages
  2. Italian
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Storia dell'America Latina contemporanea

Loris Zanatta

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Dal colonialismo al moderno populismo, dai fallimenti del liberalismo ottocentesco ai limiti di quello contemporaneo, dal caudillismo all'autoritarismo, Loris Zanatta ricostruisce la storia complessa dell'America Latina, percorsa da grandi trasformazioni e forti continuità, da solidi elementi di unità e da forze centrifughe. Unita da lingua e cultura ereditate dal retaggio iberico ma solcata da profonde fenditure etniche e sociali, la sua convulsa storia sospesa tra Europa e America è un capitolo spesso misconosciuto di quella dell'Occidente.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Storia dell'America Latina contemporanea an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Storia dell'America Latina contemporanea by Loris Zanatta in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in History & Eastern European History. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Year
2017
ISBN
9788858128404

1.
Il retaggio coloniale

1. L’eredità politica

Per circa tre secoli, da quando nella prima metà del Cinquecento la Conquista divenne colonizzazione a quando all’inizio dell’Ottocento conquistò l’indipendenza, l’America Latina fu Europa. Furono tre secoli durante i quali cambiò il mondo, e con esso l’America iberica. Cambiarono idee e tecnologie, le merci e il modo di scambiarle, le società e la loro organizzazione. E cambiarono gli equilibri tra le potenze, dato che quelle iberiche declinarono mentre altre, specie Gran Bretagna e Francia, emergevano.
Dire in breve ma in modo completo cosa furono quei tre secoli per l’America Latina non è possibile. Andrebbero poi distinti i casi dell’America ispanica, all’epoca di gran lunga la più estesa, ricca e popolata, e di quella portoghese, ancora poco abitata e perlopiù concentrata sulle coste fino almeno al Settecento. Ma alcune cose vanno dette su quel che lasciarono in eredità. Sul loro retaggio, senza il quale la successiva storia dell’America Latina perderebbe le necessarie coordinate. La prima osservazione chiave è che in quei secoli nacque in quella parte d’America una nuova civiltà. Quell’America condivise cioè da allora tratti e destino della civiltà ispanica. Civiltà il cui elemento unitario e principio ispiratore risiedevano nella cattolicità; e che nella difesa ed espansione della cattolicità aveva la sua missione politica.
Bella o brutta, coatta o consensuale, controversa come ogni civiltà, questo dato è incontrovertibile. Poiché per civiltà s’intende un complesso insieme di strumenti materiali e valori spirituali, di istituzioni e di costumi tali da plasmare sia l’organizzazione sociale e politica, sia l’universo spirituale e morale dei popoli che vi appartengono. In tal senso, la civiltà ispanica in America non fece eccezione. Tanto che i suoi caratteri furono ereditati dagli Stati e dalle popolazioni protagoniste della storia latinoamericana contemporanea.
In termini politici, gli imperi iberici, specie quello degli Asburgo di Spagna che ressero il trono dal 1516 al 1700, furono organizzati e concepiti in modo tale da lasciare in eredità, una volta ancora, sia un principio d’unità, sia un principio di frammentazione. Su un delicato e sapiente dosaggio tra entrambi tali principi si basò infatti il regime pattizio che governò i rapporti tra il sovrano e i suoi Reinos. Tutti i suoi regni o possedimenti allo stesso modo: quelli nella penisola e quelli americani.
In cosa consisteva tale patto non scritto, ma frutto d’una rodata consuetudine? Innanzitutto nell’unità imperiale. Impero universalista retto dall’universale missione di espandere la cristianità, quello spagnolo concepì se stesso in perfetta sintonia con l’immaginario religioso che l’animava: come un immenso organismo che nell’armonia tra le sue parti rifletteva l’ordine divino. Un ordine della cui unità politica e spirituale era garante il re, cuore pulsante e terminale unico di quell’organismo, titolare della legge e protettore della Chiesa.
Ma come ogni patto vuole, in cambio del riconoscimento della sua sovranità e dell’obbedienza dei suoi sudditi, il re concedeva loro molto. Concedeva, cioè, quel che volgarmente venne indicato con la popolare formula la ley se acata pero no se cumple: la legge del re, insomma, era riconosciuta in segno di sottomissione al suo legittimo potere; ma il governo era altra cosa, fondato su usi, costumi e poteri delle élites locali. Le quali erano perciò parti d’un impero unitario, dagli altipiani messicani a quelli andini, unite dall’obbedienza a un solo re e ad un solo Dio. Ma godevano di ampia autonomia. In questo modo i re che in realtà non potevano governare da Madrid quei possedimenti così remoti si tutelavano dal pericolo che essi, qualora oppressi dal potere centrale, desiderassero andar per la propria strada. Ma ammettevano anche il principio di frammentazione politica prevalso poi al crollo dell’impero: a tenere infatti insieme quelle sparse membra del grande impero, estranee tra loro, v’era soltanto l’obbedienza al re. Oltre al filo, forte spiritualmente ma debole politicamente, della appartenenza a una medesima civiltà.

2. La società organica

Le relazioni tra le diverse parti di quelle società così diverse da zona a zona per un periodo lungo tre secoli furono assai complesse, articolate e variegate. Non esiste cioè un modello sociale valido per ognuno dei tanti e variegati territori governati dalle Corone iberiche. Per cogliere perciò i tratti delle relazioni sociali che tanto impregnarono le strutture e le mentalità dell’America iberica da più pesare poi sulla storia dell’America Latina indipendente, meglio attenersi a talune considerazioni generali.
Nel complesso, si può dire che lo spirito e gli strumenti su cui poggiò l’architettura delle società iberiche in America furono tali da forgiare un ordine corporativo. Il che era la norma per le società dell’epoca, ma assunse in quell’America dai tratti spaziali e umani così particolari significato e forme peculiari. Le leggi che regolarono quelle società, e ancor più le consuetudini e le norme implicite del regime pattizio con la Corona, dettero cioè vita a una società di corpi. Una società, per essere più chiari, dove i diritti e i doveri di ogni individuo non erano uguali a quelli d’ogni altro, ma solevano dipendere dai diritti e doveri del corpo sociale cui apparteneva. Sia ai vertici della società, dove funzionari, clero, milizie possedevano i loro fueros, cioè i loro tanti privilegi e relativi obblighi; sia alla sua base, dove le masse rurali, perlopiù indiane, avevano anch’esse i loro tanti obblighi e relativi diritti. Come ogni società occidentale di quell’epoca, anche quella iberica nelle Americhe era perciò una società organica. Si trattava insomma di società i cui tratti fondamentali erano due: erano società «senza individui», nel senso che gli individui erano subordinati al tutto, cioè al corpo sociale cui appartenevano e all’organismo sociale nel suo complesso; ed erano gerarchiche, poiché, come in ogni corpo organico, anche in questo non tutte le membra avevano la medesima rilevanza e ciascuno era deputato ad occupare il ruolo che Dio e la natura gli avevano assegnato.
Quelle società erano perciò colme di contrasti e ambivalenze. Contrasti poiché, essendo fondate su disuguaglianze profonde e istituzionalizzate, su così netti ruoli di dominanti e dominati stabiliti fin dalla Conquista, erano soggette a ricorrenti rivolte o ad una sorda ostilità verso l’ordine stabilito. Ma anche ambivalenti, poiché la loro natura organica lasciava anche ai più oppressi, per esempio alle comunità indiane, ampia possibilità di autogoverno una volta compiuti gli obblighi prestabiliti, sia prestando pesanti tributi in lavoro, sia pagando le tasse loro imposte. Il che significa che, pur venate da forti tensioni, quelle società presentavano nei loro rigidi strati anche taluni aspetti che in seguito molti avrebbero idealizzato: senso comunitario, autonomia, protezione. Occorrerà tenerne conto per comprendere la straordinaria resistenza al tempo e al cambiamento di vari aspetti di quell’ordine antico. Un ordine corporativo, dunque, che in America Latina assunse tratti inediti o più marcati di quelli d’ogni altro ordine analogo. La sua caratteristica più evidente, e più gravida di conseguenze, ne era la natura segmentata. Le spesse barriere tra uno strato e l’altro di quelle società non erano infatti solo frutto della ricchezza o del lignaggio. Ma erano cumulative, cioè anche barriere etniche e culturali, che, specie dove più numerosa era la popolazione indiana o schiava, equivalevano a paratie che separavano mondi estranei tra loro ma costretti a vivere in stretta relazione.
Tali erano, a grandi linee e nella loro più intima essenza, le società che i nuovi Stati dell’America Latina ereditarono dagli imperi iberici: società colme di profonde e pericolose faglie, ma anche unite da fitte reti di legami antichi. In esse «la nascita dell’individuo», cioè la politica moderna fondata sul primato dei diritti individuali, cadde perciò come un immenso macigno in uno stagno.
Spagnoli, indiani e schiavi africani
La popolazione bianca d’origine europea occupava ovunque i vertici della gerarchia sociale e controllava la politica e l’economia, la giustizia, le armi e la religione. Viveva inoltre in gran parte concentrata nei centri urbani. Al suo interno essa era però piuttosto eterogenea e tanto più lo divenne man mano che nuove ondate migratorie giunsero in America dalla penisola iberica nel corso dell’età coloniale. Al nucleo originario di encomenderos, cioè dei conquistatori o dei discendenti che in un primo momento avevano ricevuto in dotazione dal sovrano un territorio comprensivo della popolazione autoctona che lo abitava, e col tempo trasformatisi in grandi proprietari terrieri che possedevano numerosi schiavi o indiani, s’aggiunsero via via nuove figure. Tra di esse emersero col tempo gli artigiani, i funzionari e i professionisti, tutti organizzati in corporazioni che ne delimitavano i contorni, sancendone al contempo diritti e doveri. Numerosi, naturalmente, erano anche i bianchi dediti al commercio e all’attività mercantile in genere, oppure impiegati in numerose altre occupazioni minori. Il che faceva della società bianca il compartimento più alto di quelle società. Ma un compartimento a sua volta molto eterogeneo e differenziato. Tanto più che al suo interno divenne col tempo sempre più netta la distinzione tra creoli, nati in America e appartenenti alla società locale, e peninsulares giunti in veste di funzionari. Specie da quando dal XVIII secolo le riforme introdotte dai Borbone comportarono lo stretto controllo della Corona su tutte le più importanti cariche civili, militari o ecclesiastiche.
La popolazione indiana era nettamente separata da quella bianca. Sia socialmente, essendo sottoposta a pesanti regimi di sfruttamento del lavoro, sia territorialmente, essendo perlopiù relegata ai margini delle città o nelle zone rurali. Ad essa era infatti comune riferirsi come alla República de los Indios. Al tempo stesso, la popolazione indiana della Nueva España, quella cioè del futuro Messico, si mischiò più a fondo con la popolazione bianca di quanto non avvenne nell’area andina, dov’essa mantenne perciò contorni etnici più definiti. Confinato nelle proprie comunità, il grosso della popolazione indiana conservò al proprio interno gran parte delle antiche distinzioni tra nobili e plebei, dei suoi antichi usi e costumi e l’organizzazione familiare e l’uso delle terre comunitarie già in auge prima della Conquista iberica.
In quanto, infine, alla popolazione africana giunta nell’America iberica attraverso la tratta degli schiavi, secondo le stime più attendibili pari a circa 3 milioni e mezzo di individui durante l’età coloniale, essa tese a concentrarsi nelle aree tropicali dove la popolazione indiana era scarsa o assente, o dove, come nelle Antille, fu decimata e sparì a causa delle epidemie causate dal contatto con i conquistatori. In un primo momento la sua importazione fu talvolta teorizzata nei territori della Corona spagnola come un sistema per preservare dalla schiavitù gli indiani, giuridicamente liberi e alla cui protezione ed evangelizzazione era finalizzata la Conquista. Il grosso degli schiavi africani finì dunque per lavorare nelle piantagioni, ma anche per formare le numerose schiere dei servitori domestici o fungere da intermediari dei dignitari bianchi in zone perlopiù popolate da indiani. Il loro elevato valore commerciale e la grande resistenza fisica di cui dettero spesso mostra li resero in molti casi ambiti agli occhi delle élites creole. Il che consentì loro con certa frequenza, specie nell’America spagnola, di emanciparsi dal piano più basso della scala sociale.
Per quanto segmentate fossero quelle società, infine, è intuibile che tra i loro compartimenti non esistessero paratie del tutto stagne. E che sia attraverso le frequenti nascite di meticci o mulatti, sia per mezzo del crescente ingresso di indiani o schiavi africani nella vita sociale della República de los Españoles, esse andassero col tempo assumendo contorni sempre più complessi e diversi da zona a zona.

3. Un’economia periferica

Parte ad ogni effetto di Spagna e Portogallo, l’America iberica entrò in quei grandi imperi sviluppando una vocazione economica complementare alle loro necessità globali. È noto, per citare l’esempio più famoso, che i metalli preziosi americani furono decisivi per finanziare le grandi ambizioni e le reiterate guerre europee della Corte spagnola; e in certa misura per alimentare l’accumulazione originaria da cui spiccò il volo la rivoluzione industriale. Il che non vuol dire che tra la sponda americana e quella europea di quegli imperi non vi fosse reciprocità, visto l’intenso scambio di prodotti che modificò radicalmente i consumi in entrambi i sensi. Facendo per esempio «scoprire» agli europei il pomodoro, la patata, il tabacco o l’ananas; e agli americani il caffè, la canna da zucchero o il banano: tutte colture di cui divennero grandi produttori ed esportatori al punto da incidere sulla storia alimentare, e dunque demografica, d’Europa.
Quel che però è più rilevante per comprendere l’eredità economica lasciata dall’età coloniale all’America Latina indipendente è che in quei secoli quella parte d’America divenne periferia d’un centro economico lontano. Un centro, quello spagnolo assai più di quello portoghese, che esercitò e cercò di conservare il monopolio commerciale coi territori americani. Un fatto, questo, tutt’altro che originale per quell’epoca dominata dalle dottrine mercantiliste. Dall’idea cioè che il monopolio economico sui propri possedimenti fosse decisivo strumento di potenza da salvaguardare ad ogni costo dalla concorrenza di altre nazioni. Ma un fatto destinato a imprimere tratti durevoli e peculiari all’economia latinoamericana. Anche perché il centro cui essa restò legata, quello delle potenze iberiche, tanto era potente nel Cinquecento quanto declinante due secoli più tardi. Perché quel centro, insomma, divenne poco a poco esso stesso periferia di un altro centro, quello che dal Nord Europa guidò la rivoluzione nei commerci e nell’industria dal Settecento in poi.
Proprio questa perifericità figura perciò tra i principali retaggi economici dell’età coloniale latinoamericana. L’economia dell’America iberica tese cioè a organizzarsi in funzione del commercio verso l’esterno, sia per ottenere dall’esportazione di materie prime i necessari introiti finanziari, sia per dotarsi attraverso l’importazione di molti beni fondamentali che il centro dell’impero provvedeva a fornirle. Tale vocazione periferica continuò a caratterizzare l’economia latinoamericana anche quando il monopolio commerciale con la penisola iberica cominciò a pericolare sotto la spinta della concorrenza inglese, francese od olandese. E a maggior ragione quando il cordone ombelicale con Spagna e Portogallo si spezzò del tutto e l’economia dell’America Latina restò orfana d’un legame da cui er...

Table of contents