Il continente selvaggio
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Il continente selvaggio

L'Europa alla fine della seconda guerra mondiale

Keith Lowe, Michele Sampaolo

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Il continente selvaggio

L'Europa alla fine della seconda guerra mondiale

Keith Lowe, Michele Sampaolo

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Un racconto vivido, agghiacciante, delle vendette sanguinose, delle rappresaglie, delle feroci pulizie etniche che tennero in pugno l'Europa subito dopo la seconda guerra mondiale. Un quadro poco conosciuto e terrificante di un continente nel vuoto assoluto della legge, nel caos e nella violenza senza limiti. Un libro eccellente. Ian Kershaw

La distruzione in Europa dopo il secondo conflitto mondiale abbraccia la fisicità delle case, dei ponti, delle strade, ogni aspetto sociale, politico, morale. Lowe indaga lo spazio sospeso tra la fine del conflitto e l'inizio della ricostruzione. Sono pagine appassionanti. Umberto Gentiloni, "La Stampa"

Un libro mai banale e documentatissimo, che ci aiuta a ricordare in quale abisso di orrore era scivolata la 'civilissima' Europa. Vittorio Emanuele Parsi, "Il Sole 24 Ore"

Un volume di straordinario interesse che getta una nuova luce su fenomeni troppo spesso visti solo in un contesto nazionale: si pensi al tema della vendetta, alle migrazioni forzate dei popoli, alla pulizia etnica. Un grande affresco dell'Europa dopo il conflitto, che si legge d'un fiato. Anna Foa, "Avvenire"

Keith Lowe descrive i mille volti della violenza, da quella politica contro gli sconfitti al saccheggio delle risorse altrui, fino alla sistematica pulizia etnica. L'Europa, ci ricorda l'autore, solamente tre generazioni fa era questa cosa qui, non altro. Claudio Vercelli, "il manifesto"

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Information

Year
2015
ISBN
9788858120378

1.
Distruzione fisica

Nel 1943 l’editore di libri per turisti Karl Baedeker produsse una guida per il Generalgouvernement, cioè quella parte della Polonia centrale e meridionale occupata dai nazisti, che rimaneva tuttavia nominalmente separata dal Reich. Come per tutte le pubblicazioni che si facevano in Germania all’epoca, essa era altrettanto interessata a diffondere propaganda quanto a dare informazioni ai suoi lettori. La sezione su Varsavia ne era un esempio. Il libro si faceva lirico là dove parlava delle origini tedesche della città, del suo carattere tedesco e di come fosse diventata una delle grandi capitali del mondo «soprattutto grazie agli sforzi di tedeschi». Esortava i turisti a visitare il Castello reale medievale, la cattedrale trecentesca e la bella chiesa tardorinascimentale dei gesuiti: tutti prodotti di cultura e influenza tedesca. Di particolare interesse era il complesso di palazzi tardobarocchi intorno a piazza Pilsudski – «la più bella piazza di Varsavia» – ora ribattezzata Adolf Hitler Platz. Il pezzo centrale era il palazzo «sassone», costruito naturalmente da un tedesco, e i suoi bei Giardini Sassoni, ugualmente disegnati da architetti tedeschi. La guida concedeva che uno o due edifici erano stati purtroppo danneggiati dalla battaglia per Varsavia nel 1939, ma da quel momento, rassicurava i suoi lettori, Varsavia «viene nuovamente ricostruita sotto guida tedesca»1.
Non si faceva nessuna menzione dei sobborghi occidentali della città, che erano stati convertiti in un ghetto per gli ebrei. L’omissione era forse dovuta al fatto che, proprio mentre il libro usciva, scoppiò qui un’insurrezione che costrinse il comandante di brigata delle SS Jürgen Stoop ad appiccare il fuoco praticamente a ogni casa del quartiere2. E così andarono completamente distrutti quasi quattro chilometri quadrati della città.
L’anno successivo una seconda insurrezione scoppiò nel resto della città. Questa volta si trattò di un’insurrezione più generale, ispirata dall’Esercito Nazionale polacco. Nell’agosto 1944, gruppi di uomini, donne e ragazzi polacchi cominciarono a tendere imboscate ai soldati tedeschi e a rubare loro armi e munizioni. Per i due mesi seguenti si barricarono dentro e intorno alla Città Vecchia, e tennero impegnati più di 17.000 uomini delle forze antinsurrezione tedesche3. La rivolta terminò solo in ottobre, dopo una delle più sanguinose battaglie della guerra. Dopo di che, stanco della disobbedienza polacca e consapevole che i russi stavano per entrare comunque a Varsavia, Hitler ordinò che la città fosse rasa completamente al suolo4.
Le truppe tedesche quindi abbatterono il Castello reale medievale che tanto aveva impressionato Baedeker. Minarono la cattedrale trecentesca e la fecero saltare. Poi distrussero la chiesa gesuita. Il palazzo sassone fu sistematicamente colpito per tre giorni dopo Natale 1944, come lo fu pure l’intero complesso di palazzi barocchi e rococò. L’Hotel Europeo, raccomandato da Baedeker, fu dapprima incendiato e poi, per maggior sicurezza, preso a cannonate nel gennaio1945. I soldati tedeschi andarono casa per casa, strada per strada, a distruggere sistematicamente l’intera città: il 93 per cento delle abitazioni di Varsavia furono distrutte o danneggiate in maniera irreparabile. Per completare la distruzione, diedero fuoco all’Archivio Nazionale, agli Archivi di Documenti Antichi, agli Archivi Finanziari, agli Archivi Municipali, agli Archivi di Documenti Nuovi e alla Biblioteca Pubblica5.
Dopo la guerra, quando i polacchi rivolsero i loro pensieri a ricostruire la capitale, il Museo Nazionale tenne un’esposizione che mostrava frammenti di edifici e opere d’arte danneggiate o distrutte durante l’occupazione tedesca. Produssero una guida illustrativa che, a differenza della guida di Baedeker, era scritta interamente con i verbi al passato. L’intenzione era di rammentare alla gente di Varsavia, e al mondo intero, che cosa esattamente era stato perduto. C’è un messaggio implicito nelle due guide e nella stessa esposizione, e cioè che quelli che avevano vissuto l’esperienza della distruzione di Varsavia non erano più in grado di apprezzare l’enormità di quello che era accaduto alla loro città. Per loro le cose si erano svolte con una certa gradualità, a cominciare dal bombardamento del 1939, per proseguire con il saccheggio tedesco durante l’occupazione e per finire con la distruzione del Ghetto nel 1943 e la devastazione finale alla fine del 1944. Adesso, ad appena pochi mesi dalla loro liberazione, si erano abituati a vivere in gusci di case, circondati su tutti i lati da montagne di macerie6.
In qualche modo la vera dimensione del disastro poteva essere apprezzata solo da quelli che ne videro i risultati senza essere stati testimoni diretti vivendo all’interno della città. John Vacon era un giovane fotografo arrivato a Varsavia come membro delle squadre di soccorso mandate dalle Nazioni Unite dopo la guerra. Le lettere che scrisse alla moglie Penny nel gennaio 1946 esprimono tutta l’impossibilità di capire una distruzione di quella portata.
È davvero una città incredibile e vorrei dartene un’idea, ma non so come fare. È una grande città, vedi. Oltre un milione di abitanti prima della guerra. Grande come Detroit. Ora per il 90 per cento è tutto distrutto... Dovunque ti aggiri, trovi grandi pezzi di edifici che stanno in piedi senza tetto o molta parte dei muri laterali, e la gente che vive in essi. Meno il Ghetto, dove esiste solo un grande strato di mattoni, con letti ritorti e tubi di bagno e divani, quadri incorniciati, bauli, milioni di cose che sporgono fra i mattoni. Non riesco a capire come sia stato possibile fare tutto questo... è qualcosa di così orribile che non posso crederlo7.
La bella città barocca descritta da Karl Baedeker appena due anni prima era completamente scomparsa.
È difficile far percepire con parole che abbiano senso l’entità della rovina causata dalla seconda guerra mondiale. E Varsavia è solo un esempio di città distrutta; ce ne furono altre decine solo in Polonia. In tutta Europa furono centinaia le città interamente o parzialmente devastate. Le foto scattate dopo la guerra possono dare un’idea della scala della distruzione di singole città, ma quando dobbiamo moltiplicare questa distruzione rapportandola all’intero continente la dimensione del disastro sfida inevitabilmente la nostra capacità di comprensione. In alcuni paesi – soprattutto in Germania, in Polonia, in Iugoslavia e in Ucraina – un millennio di cultura e architettura è stato sbriciolato nello spazio di pochi brevi anni. Non a caso la violenza che provocò una così completa devastazione ha suggerito a più di uno storico l’immagine di Armageddon8.
Quelli che furono testimoni della distruzione delle città d’Europa si sforzarono di articolare in parole anche l’esperienza della rovina dei luoghi che vedevano con i loro occhi, ed è solo nelle loro tormentate, inadeguate descrizioni che diventa per noi immaginabile qualcosa della devastazione. Ma, prima di arrivare a considerare simili reazioni umane allo scenario frantumato e sconvolto, è necessario buttar giù alcune statistiche – perché le statistiche sono importanti, per quanto ambigue possano essere.
Come unica nazione ad aver sfidato con successo Hitler per l’intera dura...

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