IV.
Repubblicanesimo atlantico
Maledetto colui che sì divide
la madre e i figli – lo confonda il Cielo –
la terra asil gli nieghi ed esecrato
ne suoni il nome che l’oblìo merta.
P. Giannone, L’esule
1. La Jovem Italia in Brasile
Rio de Janeiro, 7 maggio 1837. Al porto, poco dopo l’alba, alcuni marinai si stavano affrettando a sistemare le ultime casse a bordo della garopèra Mazzini prima di lasciare la baia di Guanabara. Ufficialmente, l’imbarcazione trasportava un carico di carne essiccata diretto a Campos. A guidarla, un capitano con passaporto brasiliano conosciuto come Cipriano Alves, coadiuvato da un anonimo passeggero di origini italiane1. Quello che sembrava un comune viaggio commerciale, in realtà, era una spedizione clandestina. A dispetto dell’atto di navigazione, l’equipaggio nascondeva nella stiva armi e munizioni da consegnare all’esercito insurrezionale del Rio Grande do Sul. La missione era stata pianificata tre mesi prima. In una cella della fortezza di Santa Cruz, l’influente carbonaro Tito Livio Zambeccari aveva segretamente incontrato i due corsari e si era adoperato per fornire loro patenti per l’impresa. Sotto le mentite spoglie di Cipriano Alves e del suo aiutante si celavano i cospiratori Giuseppe Garibaldi e Luigi Rossetti2.
L’avventura rivoluzionaria in Brasile sancì l’inizio del sodalizio tra repubblicanesimo risorgimentale e repubblicanesimo latino-americano. Il coinvolgimento dei patrioti italiani nella rivoluzione farroupilha determinò l’affermazione di leadership dalla proiezione globale, favorì l’instaurazione di nuove alleanze politiche e ne agevolò la familiarizzazione con i princìpi fondamentali dell’ideologia repubblicana in America Latina, quali l’antischiavismo, l’uguaglianza razziale e l’universalismo nazionale. Inoltre, fu all’origine di una tradizione combattentistica, cristallizzatasi nell’espressione epico-eroica del garibaldinismo, che trasmise un’eredità di memorie e virtù sedimentatesi nell’immaginario risorgimentale per quasi un secolo.
Il primo nucleo mazziniano nel Nuovo Mondo era composto da patrioti che vantavano grandi capacità di direzione politica e contatti dal Mediterraneo al Río de la Plata. In Brasile si erano mescolati a un’élite mercantile che, o per le proprie «opinioni liberali» o per «non destare preoccupazioni», spesso risiedeva clandestinamente3. Riuniti inizialmente nella Società liberale italiana di Giuseppe Stefano Grondona4, ruppero con la vecchia guardia carbonara per adottare un modello associativo in sintonia con il programma mazziniano di educazione, propaganda e proselitismo. A Rio de Janeiro, costituirono una congrega della Giovine Italia, dotata di un giornale omonimo, stampato grazie al contributo degli emigrati di simpatie repubblicane Giacomo Cris e Luigi Vaccani, sul quale pubblicarono articoli contro la monarchia sabauda e in favore della causa unitaria5.
Come i volontari nel Portogallo pedrista o nella Spagna isabellina, anch’essi consideravano l’esilio preparatorio alla prossima rivoluzione italiana. Le autorità diplomatiche dei regni pre-unitari sorvegliarono con attenzione le loro attività. Il 19 settembre 1833, il console del Regno delle Due Sicilie Gennaro Merolla scriveva:
Mi viene assicurato ch’è stata inviata dall’Italia una circolare, dalla società Giovine Italia, diretta agli Italiani che si trovano in Brasile ed in tutta l’America del sud, esortandoli di tenersi pronti a muovere a difesa dell’indipendenza in caso di bisogno6.
Mesi più tardi, il 28 giugno 1834, l’incaricato pontificio denunciò la diffusione del «libro di recente pubblicato in Francia, sotto il titolo Parole d’un croyant»7. Il 10 dicembre 1835 il conte Egesippo Palma di Borgofranco aggiornò Torino sull’esistenza di un «considerevole deposito di stampe incendiarie destinato a essere inviato nei porti italiani», messo in piedi dagli afferenti alla «società dei liberali» e contenente il pericoloso libello intitolato Guerra civile d’Italia8. Il 1° gennaio 1836, lo stesso rappresentante sabaudo annotò che all’interno del «celebre locale» dove si riunivano i «sovversivi» era appeso un «drappo tricolore della repubblica italiana»9 e si diceva sicuro che agenti brasiliani e capitani statunitensi facessero da intermediari per trasmettere «comunicazioni segrete»10. I timori di una strategia rivoluzionaria internazionale non parvero eccessivi da spingere il barone de Daiser, plenipotenziario asburgico presso la corte di Rio de Janeiro, a definire la Giovine Italia «l’associazione più dannosa per tutti i Governi come pure per l’ordine sociale nei due mondi»11.
Capo e ideologo del mazzinianesimo in America Latina era Giovanni Battista Cuneo, uno degli astri nascenti del patriottismo risorgimentale. Nativo di Oneglia, dopo studi umanistici e navali iniziò a frequentare i circoli cospiratori di Nizza; arrestato nel 1833, fuggì clandestinamente in Uruguay dove fu ospitato dai fratelli commercianti Giacomo e Stefano Antonini. A Montevideo collaborò ai giornali progressisti «La Moda» ed «El Iniciador» e prese contatti con i principali esponenti della «Generación del ’37» che, costretti a lasciare Buenos Aires, stavano trasformando l’opposizione rosista in un movimento continentale, alleato della Giovine Italia e del radicalismo brasiliano.
L’insurrezione dei farrapos offrì un’occasione per rilanciare l’iniziativa patriottica nell’Atlantico delle rivoluzioni. Le origini risalivano alla crisi interna acuitasi in seguito alla guerra cisplatina. Il centralismo della monarchia incontrava forti resistenze nel Rio Grande do Sul, dove le oligarchie locali mantenevano da tempo interessi economici e legami politici oltre la frontiera. Nonostante l’approvazione dell’Ato Adicional, le opposizioni continuarono a protestare contro il carattere accentratore della carta costituzionale e si raccolsero, al di là dei differenti orientamenti, sotto l’ala massimalista dei farrapos. Di fronte ai tentennamenti della Reggenza, il 19 settembre 1835 il colonnello Bento Gonçalves da Silva occupò vittoriosamente Porto Alegre e costrinse i realisti alla fuga12. Intrecciando aspirazioni universaliste a rivendicazioni di tipo corporativo e autonomista, la rivoluzione coniugò ideali di rigenerazione repubblicana a progetti federativi elaborati già in epoca coloniale che sfociarono in una lunga e sanguinosa guerra contro l’impero brasiliano.
L’adesione del repubblicanesimo italiano e rioplatense alla rivoluzione dei farrapos affondava le radici nella cultura patriottica forgiatasi nel solco della lotta indipendentista. Invece che il prodotto di una contesa interna alla monarchia dei Braganza, essa fu interpretata come il «risultato inevitabile di tutte le rivoluzioni» che l’avevano preceduta «principiando dalla Americana del 1776»13. Quella in corso non fu narrata come una semplice guerra civile, bensì come un conflitto tra due forze universali che avrebbe decretato il trionfo del principio repubblicano e inferto «il colpo fatale» all’ultimo impero in America Latina14. In particolare, sia per ragioni storiche sia per caratteristiche politiche e sociali, rappresentava lo «sviluppo più recente del movimento del Maggio», i cui fondamenti ideologici erano da ricercare nell’«opera iniziata da Moreno e completata da Bolívar»15. Così Bartolomé Mitre avrebbe paragonato il vessillo tricolore issato dagli insorti riograndensi nella capitale secessionista di Piratinim alla bandiera argentina sventolata dai patrioti di Buenos Aires nel maggio 181016. Un ruolo fondamentale per la socializzazione del paradigma rivoluzionario era stato svolto dalle associazioni massoniche di orientamento liberale. Su tutte spiccava la Sociedade Continentino: fu al suo interno che Zambeccari, editorialista di «O Repubblicano» e segretario personale di Gonçalves da Silva, ispirò e pianificò l’insurrezione.
Dopo la proclamazione d’indipendenza, i patrioti italiani collaborarono al processo di consolidamento della repubblica. Il 1° ottobre 1838, Rossetti fu incaricato dal settore della propaganda come direttore del bisettimanale «O Povo». Stampato presso la tipografia del ricco fazendeiro Domingo José de Almeida, pubblicò gli atti ufficiali dell’amministrazione e i comunicati della corona, nonché interventi tratti dalla stampa rioplatense, articoli di opinione e cronache della guerra in corso17. Il giornale fu diffuso soprattutto nelle città ribelli, grazie ad alcuni fiancheggiatori come Francesco Zignago, un «console onorario, segretamente guadagnato alla causa liberale»18, e spedito anche a Buenos Aires e Montevideo. Al pari della stampa radicale dell’epoca, «O Povo» contribuì alla costruzione intellettuale di una contro-visione repubblicana, fondata sull’assunto di un’America liberale, democratica e ug...