La guerra per il Mezzogiorno
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La guerra per il Mezzogiorno

Italiani, borbonici e briganti 1860-1870

Carmin Pinto

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La guerra per il Mezzogiorno

Italiani, borbonici e briganti 1860-1870

Carmin Pinto

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Il brigantaggio fu l'eroica resistenza meridionale al colonialismo sabaudo o la sfida allo Stato di bande criminali?

La guerra per il Mezzogiorno concluse la crisi del Regno delle Due Sicilie, determinò il successo dell'unificazione italiana e marcò la complicata partecipazione del Mezzogiorno alla nazione risorgimentale. Iniziò nel settembre del 1860, dopo il successo della rivoluzione unitaria e garibaldina, e si protrasse per un decennio, mobilitando re e generali, politici e vescovi, soldati e briganti, intellettuali e artisti. Non fu uno scontro locale, perché coinvolse attori politici e militari di tutta la penisola e d'Europa, ma non fu neppure una guerra tradizionale: i briganti, le truppe regolari italiane, i volontari meridionali si sfidarono nelle valli e nelle montagne in una guerriglia sanguinosa, del tutto priva dei fasti risorgimentali. Si mescolarono la competizione politico-ideologica tra il movimento nazionale italiano e l'autonomismo borbonico; l'antico conflitto civile tra liberalismo costituzionale e assolutismo; la lotta intestina tra gruppi di potere, fazioni locali, interessi sociali che avevano frammentato le città e le campagne meridionali. Questo libro, per la novità di materiali e documenti usati e per la vastità delle ricerche compiute, offre una prospettiva sulla guerra di brigantaggio che innova interpretazioni fino a oggi date per acquisite.

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Information

Year
2019
ISBN
9788858138564

VIII.
Guerra di civili

1. La guerra dei provinciali unitari

Nella primavera del 1863 si tenne un grande concerto al San Ferdinando di Napoli. Era stato promosso dalla guardia nazionale. La nobiltà napoletana unitaria, gli amministratori comunali, artisti famosi, militari, giornalisti formavano il pubblico delle grandi occasioni. Il teatro era uno scenario abituale per le manifestazioni patriottiche1. Le sale e la platea erano addobbate di tricolori dell’Ottava legione di Napoli. Il successo fu tale da consentire una replica. I biglietti, venduti nelle postazioni e nella caserma, erano andati a ruba. Il suo comandante, il marchese Paolo Ulloa, aveva promosso questo evento per sostenere la sottoscrizione a favore delle vittime civili dei briganti. Napoli era il fulcro di questa campagna, la guardia nazionale cittadina ne fu protagonista. Organizzata in dodici legioni, orgogliosa del ruolo ricoperto nel 1860, quando garantì il cambio di regime, e poi l’anno dopo, quando contribuì al controllo della capitale, promosse in questa occasione manifestazioni, concerti, sfilate. Nei registri superstiti sono indicati oltre 3.600 militi e 67 compagnie che parteciparono, ma il numero fu certamente superiore2.
Il successo della mobilitazione per le vittime dei briganti mostrò ancora una volta che il mosaico del notabilato meridionale non era un soggetto subordinato nella transizione al nuovo Stato. Nella guerra al brigantaggio e al borbonismo i provinciali unitari palesarono una forte determinazione nel gestire il potere territoriale e voler condizionare le scelte politiche generali, saldando le proprie esigenze alla legittimazione del progetto nazionale italiano. La loro definitiva integrazione nei partiti nazionali avvenne con le elezioni, la formazione del Senato, la composizione delle strutture periferiche dello Stato e del governo locale.
Alle consultazioni del 27 gennaio 1861, su 129.119 elettori delle liste meridionali (418.696 in Italia) votarono in 87.316, con una percentuale del 68% (la media nazionale era 57%), nel 1865 furono 73.357 su 129.760, il 54%3. L’arcipelago di gruppi politici provinciali e comunità, con i propri interessi economici e sociali, si ritrovò da protagonista nel discorso patriottico italiano, di cui si era appropriato durante la rivoluzione e poi con il plebiscito. Le elezioni riuscirono perfettamente, anche se erano in corso alcune insorgenze e gli assedi delle fortezze, a prova della scarsa presa dei borbonici nel potere locale. I circa 150 deputati meridionali si aggregarono nelle correnti nazionali (cavouriani, garibaldini o mazziniani) invece di creare gruppi particolaristici di tipo regionale (pure possibili visto il sistema elettorale uninominale4), come del resto aveva ampiamente previsto il conte di Cavour.
L’ampliamento del Senato (da 91 a 263 membri) seguì a ruota. Il 20 gennaio furono nominati 54 senatori napoletani e 13 siciliani, coinvolgendo la nobiltà attraverso alcuni membri del suo nucleo centrale filo-unitario5, l’alta magistratura, militari, scienziati o personalità quali l’ex ministro costituzionale del 1848, Luigi Dragonetti, e l’ex capo del governo siciliano rivoluzionario Ruggero Settimo6. I meridionali unitari si consideravano la parte eletta e illustre del Napoletano e vollero riplasmarne le istituzioni. A parte la magistratura, oggetto di una complicata riorganizzazione, un esempio fu l’Università di Napoli. Molti avevano ottenuto incarichi accademici durante l’esilio, e tanti furono nominati su cattedre di primo piano, a partire da intellettuali del calibro di Pisanelli, Settembrini, Manna, Imbriani, Bertrando Spaventa, Enrico Pessina, Augusto Vera, Giuseppe De Blasis, Salvatore Tommasi, e altri.
Altrettanto significative furono le elezioni locali, il 19 maggio del 1861. Nel Mezzogiorno parteciparono in 129.067 su 178.683 (il 72%). Si era all’inizio dell’insurrezione borbonica, e il successo confermò la forza degli unitari. Gli apparati burocratici dei comuni, sostanzialmente intatti, confermarono un cambio di regime che tenne conto di compromessi pragmatici e di un modello di subordinazione amministrativa consolidato, anche a Napoli, che era il centro della guerra contro la resistenza borbonica. La città subì il trauma di aver perduto le sedi del potere, della vita di corte, le rappresentanze diplomatiche e alcune economie. Nonostante i risentimenti diffusi, l’ostilità del clero e dei borbonici, gli scontri interni, gli unitari tennero saldamente in mano il potere in tutto il decennio7.
Nell’ottobre 1861, quando ai prefetti furono affidate le funzioni dei governatori, una parte importante del notabilato meridionale era oramai inserita nelle strutture principali dello Stato. Nelle province professionisti, proprietari, imprenditori si assunsero il compito di interpretare le società locali e di mediarne relazioni ed esigenze con uno Stato di dimensioni assolutamente inedite. Quello che motivò le scelte era il momento politico, innanzitutto il progetto costituzionale per cui lottavano da mezzo secolo, senza contare poi l’entusiasmo di sentirsi parte del trionfante progetto nazionale italiano.
La portata di questo processo non è sottovalutabile. L’unificazione assegnò un potente contenuto identitario, ideologico, culturale allo schieramento rivoluzionario, ma il movimento liberale meridionale era stato soprattutto protagonista di due grandi rivoluzioni costituzionali (nel 1820 e nel 1848), oltre che di una infinita trama di congiure, cospirazioni, sette clandestine, pagando un prezzo immenso in termini di condanne, esecuzioni, esili, spesso la rovina di famiglie o di vite. L’affermazione di un progetto credibile, con una monarchia e un governo legati allo Statuto, era la maggiore garanzia per il numeroso e radicato liberalismo meridionale, ed era vissuto come il coronamento di questa lunga storia di opposizione politica, dove spesso proprio la provincia era stata la più decisa nemica del regime borbonico.
La conquista del potere reale non era meno importante. Il ceto dirigente, che doveva tutto alle circostanze rivoluzionarie, non poteva accettare un ritorno al vecchio regime o, peggio, la rivincita degli avversari locali. La folta rappresentanza del notabilato provinciale unitario mostrò anche una certa solidarietà sociale, che consentì di aggregare rapidamente coloro che avevano aderito alla rivoluzione nella crisi finale o nelle fasi elettorali. La riconciliazione e il compromesso con loro o con chi era disponibile a cambiare bandiera erano necessari, anche perdonando il passato. In questo modo, gli unitari assorbirono molti tiepidi o coloro che compresero che la partita di Francesco II e delle Due Sicilie era inevitabilmente perduta.
La tempesta del brigantaggio finì per compattare ulteriormente tutti questi gruppi, di fronte a un conflitto che, pur interpretato dai nemici con gli strumenti dell’antica fedeltà dinastica o religiosa, si in...

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