Principe di questo mondo
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Principe di questo mondo

Il diavolo in Occidente

Tullio Gregory

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Il diavolo in Occidente

Tullio Gregory

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«Uno sciame di diavoli continuò a infestare città e campagne, a impegnare giuristi e filosofi, medici e teologi, a suscitare guerre e carestie, eretici e Anticristi»: Tullio Gregory racconta in queste pagine l'ascesa, il successo e il declino di Satana dalle origini alle soglie dei tempi moderni.

Dall'incontro di Tullio Gregory con Belzebù viene fuori un libro arguto, leggero e dotto. Antonio Gnoli, "la Repubblica"

Un accurato e intrigante saggio sulla figura del diavolo in Occidente, che ricostruisce con rigore storico e filologico la caduta di Lucifero e l'interpretazione che ne hanno dato i santi, i Padri della Chiesa da Agostino in poi, fino ad arrivare all'uso politico del demoniaco nel Medioevo e all'inizio della modernità. Giovanni Santambrogio, "Il Sole 24 Ore"

Le dense e fascinose pagine di questo saggio si soffermano sulle sottili ragioni dei medievali e giungono a Martin Lutero, a Descartes, ma anche a Cyrano de Bergerac. Un affresco culturale della più celebre creatura negativa fino alle soglie dell'Illuminismo. Armando Torno, "Corriere della Sera"

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Information

Year
2014
ISBN
9788858115022

III. La via del nero

Nella vita cristianamente vissuta il demonio è ovunque, perché in ogni momento egli ci è addosso per condurci sulla «via del nero», per sottrarci a Dio e arruolarci fra i suoi sudditi. Sue vittime sono tutti gli uomini, ma anzitutto coloro che sono più avanti nella vita spirituale, i santi, gli eremiti, le cui biografie sono tutte intessute della lotta continua con il demonio, ove la tentazione si concretizza in immagini, suggestioni, presenze inquietanti o seducenti, orribili o suadenti.
Si legge nella vita di Antonio: «Abbiamo dei nemici orribili e astuti, i demoni malvagissimi. Il nostro combattimento è contro di loro. Grande è la loro moltitudine nell’aria che ci circonda, e non sono lontani da noi [...]. Questi demoni, se vedono che tutti i cristiani e in particolare gli eremiti mostrano diligenza nel loro impegno e progrediscono, in primo luogo fanno di tutto per seminare scandali lungo il sentiero. I loro scandali sono i pensieri immondi»60. Si tratta di un tema ricorrente in tutta la tradizione agiografica; scrive Tommaso da Celano nella Vita secunda di Francesco: «Crescendo i meriti di san Francesco cresceva anche la lotta con l’antico serpente. Infatti quanto maggiori erano i suoi carismi, tanto più sottili le tentazioni mosse dal demonio e più dure le lotte»61.
Si dovrà preliminarmente notare che le tentazioni di cui sono oggetto i santi sono assai più sottili e sconvolgenti dell’elementare, quasi primitiva e naturale tentazione del piacere amoroso. Nella vita di Antonio, che diventerà prototipo di tanta successiva agiografia, la comparsa di una bella fanciulla è la prima e più semplice forma di tentazione («il diavolo miserabile si adattava anche a trasformarsi di notte in una donna e a imitarla in tutte le maniere, pur di sedurre Antonio»), subito superata con la sconfitta del demonio della fornicazione (amicus fornicationis), che si presenta poi a lui in forma di niger puer: «nero nell’animo e nell’aspetto», per riconoscere la propria sconfitta62. Nelle Vite dei Santi Padri di Domenico Cavalca alcuni toni si accentuano: la generica figura della mulier diviene «forme di bellissime femmine e impudiche», mentre lo spirito della fornicazione si presenta come «garzone laidissimo e orribile»63.
Di solito, com’è naturale, sono i più giovani a esser tentati nella carne e sempre lo «spirito di fornicazione», una volta vinto, appare in forme orribili e certo poco seducenti: come al giovinetto, figlio di un santo padre, che, superate le tentazioni, vede apparirgli il demonio sconfitto in specie di «una etiopessa sì fetente e laidissima che non la potea patire di veder»; il demonio stesso si presenta di repellente bruttezza64.
Anche Benedetto da Norcia aveva provato, all’inizio della sua vita ascetica, le tentazioni della carne dalle quali si liberò gettandosi in un cespuglio di spine più pungenti del fuoco; lo stesso effetto poteva avere l’acqua gelida che liberò san Bernardo fanciullo «a calore carnali», o anche la neve, nella quale si gettò, per analoghi fini, san Francesco65. Il poverello di Assisi faceva anche uso del fuoco nel quale «si gettò nudo come fosse un letto», invitando a seguirlo quella «donna bella quanto all’aspetto ma di mente perversa» che se lo voleva portare in più comodo giaciglio. Analogo uso liberatorio del fuoco faceva Angiola da Foligno che lo collocava «in locis verecundis» per liberarsi dall’esiziale fuoco della tentazione66.
Ben più scenografica, evento non comune, fu la tentazione alla quale – per l’evocazione del demonio fatta da un prete secolare, Fiorenzo, invidioso di Benedetto – furono sottoposti i novizi: «fece entrare nel giardino del monastero dove stava Benedetto sette fanciulle nude che, sotto gli occhi dei monaci, tenendosi per mano e danzando a lungo, infiammarono i loro animi di una passione perversa». Non sappiamo come abbia fatto Benedetto a mettere in fuga le sette fanciulle, sappiamo invece della tragica fine riservata da Dio a Fiorenzo, travolto dal crollo di un terrazzo sul quale saltava di gioia per la dipartita di Benedetto67.
Qualche volta anche anziani e santi monaci subiscono la stessa tentazione sessuale, architettata dal demonio approfittando non di istinti giovanili, bensì di un’eccessiva sicurezza nella propria santità. Nella vita eremitica il peccato di superbia è il più temibile e l’Historia lausiaca68 ne offre una significativa tipologia, indicando in esso la breccia aperta al demonio nella vita dei monaci nel deserto.
È un motivo ricorrente nella tradizione agiografica antica e medievale. Si veda il caso di «un monaco di molta santità» che, proprio per essere «in fama e in virtù, incominciòsi a gloriare e insuperbire»: rischioso cedimento a un certo orgoglio, passione tipicamente mondana e già all’origine del peccato di Lucifero. È una debolezza che subito il nemico sfrutta a proprio vantaggio recandosi dal santo uomo in «forma di bella femmina [...] ismarrita e molto stanca e angosciosa», bisognosa quindi di aiuto: chiede di potere passare la notte nella sua spelonca. «Mosso ad alcuna pietà» il monaco l’accoglie benevolmente, ma si invaghisce presto di lei e «ebbro di disordinato diletto», «diede vista di volerla abbracciare e compier lo peccato». Ed ecco subito sparire la bella ragazza e «una grande moltitudine di demonia, che stando inn-aire expettavano questo fatto, incominciono tutti a far beffe di questo monaco e gridar contra lui irridendolo». Tanto bastò perché, preso dalla disperazione, quel monaco tornasse alla vita secolare, «fuggendo lo misero li rimedii della penitentia [...] merito e l’ira di Dio e mal finitte»69.
Il tema sarà parodiato con più felici esiti da Giovanni Boccaccio nel Decameron: una «figlioletta bella e gentile, il cui nome fu Alibech», cercando come «a Dio si potesse servire», si avviò nel deserto della Tebaide. Qui, affaticata, cercò albergo presso qualcuno degli eremiti, ma nessuno, pur aiutandola con saggi consigli e semplici alimenti, la volle presso di sé temendo che «il dimonio lo ’ngannasse». Finalmente giunse da Rustico, «romito giovane, assai divota persona e buona», che l’ospita «per volere fare della sua fermezza una gran pruova». Ma destatasi una violenta tentazione sessuale, volentieri accondiscese, lasciando da parte «i pensieri santi e l’orazioni e le discipline», preso dalla «bellezza di costei». Da buon teologo, convince facilmente la giovane vergine «che quel servigio che più si poteva far grato a Dio si era rimettere il diavolo in Inferno»: quindi, adagiatala sul lettuccio dell’eremo, «le ’nsegnò come star si dovesse a dovere incarcerare quel maledetto da Dio». La bella giovane imparò rapidamente quanto fosse vero l’insegnamento dei santi, che «il servire a Dio era così dolce cosa [...] di tanto diletto e piacere», tanto da voler ripetere sempre più spesso l’incarceramento del demonio. Da allora, ricorda Boccaccio, dalla Tebaide è giunto anche a noi il detto «che il più piacevol servigio che a Dio si facesse era rimettere il diavolo in inferno», esortando le donne che l’ascoltavano a questa impresa per progredire nella «grazia di Dio»70. Niente demoni nell’esperienza evocata da Boccaccio, ma un modo assai più dolce di servire Dio. Siamo in ben diverso e sereno contesto culturale.
Per tornare alla più austera tradizione agiografica, superate le tentazioni sessuali, altre e più complesse sono quelle alle quali Antonio, e con lui tutti i santi uomini presenti nella storia della spiritualità medievale, dovettero far fronte. Infatti dopo la «prima lotta di Antonio contro il diavolo», «questi gli girava intorno come un leone cercando un’occasione contro di lui»71: ed ecco il demonio anzi i demoni assalirlo di notte, colpend...

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