Profilo del dada
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Valerio Magrelli

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Profilo del dada

Valerio Magrelli

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Tradizione della rottura o rottura della tradizione? A un secolo dalla sua nascita, la più radicale delle avanguardie storiche non sembra ancora avere esaurito il suo corso e lascia aperta una domanda già sollevata cinquant'anni fa: «Did dada die?». Fra cronaca e teoria, questo studio ricostruisce la storia di un movimento che sostituì la provocazione alla vocazione, l'operazione all'opera, il gesto al manufatto, fino a toccare il punto più estremo dello sperimentalismo.

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Information

Year
2019
ISBN
9788858139813
Topic
Art

VI.
Dada a Parigi

Anche prima dell’arrivo di Tzara a Parigi, alcuni autori francesi si erano orientati verso ricerche vicine a quelle del movimento svizzero. Basti pensare a Ribemont-Dessaignes, che sin dal 1916 aveva composto un’opera teatrale, L’Empereur de Chine, più tardi giudicata un capolavoro dada. D’altronde, già nell’aprile 1912 era apparsa «Maintenant», una rivista che, ha ricordato Hugnet, si presentava senza pretese e senza copertina (il quinto e ultimo numero fu pubblicato nel 1915). Ne era artefice Arthur Cravan, pseudonimo di Fabian Avenarius Lloyd, sedicente nipote di Oscar Wilde nonché poeta e pugile dilettante, abbattuto alla prima ripresa dal campione del mondo dei pesi massimi Jack Johnson il 23 aprile 1916.
Questo leggendario personaggio, che si vantava d’essere stato un disertore ricercato da diciassette nazioni, può essere considerato a buon diritto il primo ad aver introdotto nel mondo letterario francese uno stile, un comportamento, una poetica, di tipo apertamente dadaista. Bersaglio dei suoi attacchi furono prima Gide, poi la letteratura e l’arte stessa, secondo una linea che preannunciava tante furibonde polemiche. Tra i suoi interventi rimase memorabile una serata parigina del 1914, quando, tra insulti al pubblico ed elogi rivolti a omosessuali, pazzi e criminali, Cravan sparò alcuni colpi di pistola, inaugurando un gesto che tornerà nella mitologia di Vaché, Tzara, Breton e Hülsenbeck.
Il secondo antesignano del dada francese fu appunto Jacques Vaché. Breton lo incontrò a Nantes nel 1916, ancor prima di conoscere Apollinaire, e ne restò profondamente ammirato. Grazie alla sua corrispondenza con Aragon e Théodore Fraenkel, oltre che con lo stesso Breton, egli divenne presto un emblema per tutto il gruppo di «Littérature». Come affermò Victor Crastre: «Vaché è dada prima di dada [...] senza compromessi, senza concessioni ad alcuna forma di snobismo [...]. La letteratura dadaista non gli sarebbe piaciuta»1. Superando il disfattismo alla Rimbaud, si legge nell’Anthologie de l’humour noir, questo supremo dandy arrivò a proclamare la diserzione all’interno di se stessi.
In fondo a questa strada, però, c’era il suicidio, e in effetti Vaché, al pari di Cravan, vi giunse come al grado zero della propria esperienza nichilista. Mentre il primo, come raccontano Breton e Richter, un bel giorno del 1918 uscì in barca nel Mar dei Caraibi brulicante di pescecani e non tornò mai più, il secondo fu trovato morto l’anno seguente per abuso di oppiacei. Più tardi, anche René Crevel e Jacques Rigaut (in cui Breton scorgeva la reincarnazione di Vaché) finiranno col togliersi la vita. È una scia, un filo nero, una «vocazione», che percorre l’intera avanguardia. Eppure, Tzara non rinuncerà alla derisione neanche di fronte a un tema come questo, e riallacciandosi a un’inchiesta sul suicidio uscita verso il 1924 nel primo numero della rivista «La Révolution Surréaliste», affermerà: «Il suicida vivo mi è più simpatico del suicida morto. Dunque il suicidio è solo un artificio linguistico»2.
Se Cravan e Vaché rappresentarono due diverse prefigurazioni del dada, il panorama culturale dell’avanguardia, nel periodo che precedette l’arrivo dello scrittore rumeno a Parigi, fu segnato dall’egemonia di due riviste. La prima, chiamata «sic» dalle iniziali di «Sons, Idées, Couleurs», era stata fondata da Pierre Albert-Birot nel gennaio 1916. Sostituendosi di fatto a «L’Élan», il cui ultimo numero era uscito nel dicembre del 1915, questa pubblicazione divenne la bandiera del futurismo prima e del nunismo poi, ospitando testi di autori diversi come Apollinaire, Breton, Aragon e Reverdy. La seconda, «Nord-Sud», fu invece edita da Reverdy a partire dal 15 marzo 1917. Oltre agli autori già citati, collaborarono all’iniziativa anche Max Jacob e Philippe Soupault. Collocandosi sulla scia delle «Soirées de Paris» di Apollinaire, le due prestigiose riviste non rientrarono nel territorio dadaista vero e proprio, ma si inserirono piuttosto nell’ambito dell’esprit nouveau, ossia, secondo quanto ha spiegato Maurice Nadeau, in un’area di generico modernismo: «Nonostante tutto, benché improntate a un indiscutibile carattere sovversivo, ‘sic’ e ‘Nord-Sud’ fanno parte dell’arsenale cubista e futurista»3.
L’avvenimento che decise il futuro dell’avanguardia francese non va però cercato all’interno di questa mappa letteraria e artistica, bensì nella scoperta di un universo completamente differente. L’incontro in questione avvenne per interposta persona, quando nel 1917, a casa di Apollinaire, Breton sfogliò per la prima volta un numero di «Dada». Nello stesso anno, grazie alla mediazione di Paul Guillaume, era iniziata la corrispondenza tra l’autore di Alcools e Tzara, nonché la collaborazione di quest’ultimo a «sic» e «Nord-Sud». Gli scambi si infittiscono, seppure ancora in forme confuse da una parte, circospette dall’altra. Da Zurigo, Tzara cercava di stabilire, in modo disordinato e spregiudicato, contatti di ogni tipo con l’ambiente parigino, e in un primo momento provò a fare di Dermée una specie di console del dada. Quanto agli scrittori della capitale, ha mostrato Richter, essi preferirono mantenere, almeno inizialmente, un atteggiamento piuttosto distaccato verso il movimento nato tra le montagne svizzere.
Si era svolto nel frattempo un altro importante evento: il 24 giugno 1917, organizzato da Albert-Birot, era andato in scena, al Théâtre Maubel, Les Mammelles de Tirésias di Apollinaire. Definendo quest’opera «drame surréaliste», l’autore intendeva probabilmente rispondere a Parade, il «ballet réaliste» che era stato rappresentato dai «Ballets russes» di Djagilev appena un mese prima (testo di Cocteau, scene e costumi di Picasso, coreografia di Massine, musica di Satie). Più tardi, verso il 1924, Dermée si rifarà alla sua corrispondenza con Apollinaire per rivendicare una personale interpretazione del surrealismo. A ben vedere, però, sin dal 1917 Tzara aveva impiegato l’aggettivo «surréaliste», nel secondo numero di «Dada». Al di là delle consuete diatribe circa il primato nell’uso del termine, indicazioni simili dimostrano il diffuso bisogno di individuare e circoscrivere una nuova sfera dell’esperienza estetica.
Intanto i rapporti tra la capitale e il gruppo svizzero si stringono ulteriormente. In una lettera del 22 gennaio 1919, Breton esprime a Tzara il suo entusiasmo per il Manifeste Dada 1918, apparso sul terzo numero di «Dada». Come si legge negli Entretiens, quella voce possedeva qualcosa che egli cercava da tempo: un che di esaltato e nervoso, provocatorio, remoto, poetico. Lo stesso anno si cominciò a riunire il gruppo della rivista «Littérature», il cui primo numero uscì nel mese di marzo. Luogo d’incontro era il Café Certa, un piccolo ritrovo nei pressi del Passage de l’Opéra, al cui riguardo Benjamin notò: «Il padre del surrealismo fu Dada, sua madre un passage [in tedesco questo termine è femminile]. Quando la conobbe, Dada era già vecchio»4.
Secondo Sanouillet, la morte di Apollinaire (9 novembre 1918) e quella di Vaché (19 gennaio 1919) avrebbero spinto Breton verso il dada, quasi che le due perdite lo avessero liberato da ogni residuo atteggiamento di soggezione. Certo è che, dopo la riapertura della «Nouvelle Revue Française», egli vedrà nell’alleanza con Tzara l’unico modo per sottrarsi a una situazione di stallo, e insieme per proporsi come regista dell’intera avanguardia.
Il 10 marzo del 1919 Picabia si trasferì da Zurigo a Parigi installandosi presso Germaine Everling, in un appartamento destinato a diventare in breve tempo il quartier generale del dada. Poco dopo il suo arrivo, l’artista volle riallacciare i contatti con Zayas, Dermée e Ribemont-Dessaignes. Nel luglio seguente, a rinfoltire le fila del movimento, da New York arrivò Marcel Duchamp. I contatti col gruppo di «Littérature» vennero avviati solo verso novembre. Con Pensées sans langage, Picabia aveva suscitato l’ammirazione di Éluard e di Breton, che lo incontrò il 4 gennaio 1920. Era frattanto ripresa la pubblicazione di «391», il cui nono numero segnò l’inizio della serie parigina. Secondo Richter, si trattò di un avvenimento di estrema importanza: questa rivista, infatti, fu il tamburo con cui dada annunciò il giudizio universale e l’imminente arrivo di Tzara. Un giudizio del genere è stato condiviso anche da Sanouillet: «Se da ‘Maintenant’ di Arthur Cravan (1912) a ‘Littérature’ (seconda serie), che segna la discesa in campo del surrealismo, non c’è soluzione di continuità, è grazie a ‘291’ (1915) e ‘391’ (1917-1924) che assicurano appunto la saldatura»5.
Si iniziavano così a delineare le linee di forza del movimento, alla testa del quale si ponevano Picabia e Duchamp, amici dai tempi di New York, Tzara, che stava terminando di organizzare il suo sbarco a Parigi, e Breton, intorno a cui si andava radunando una schiera di giovani scrittori. Proprio Breton, con Aragon e Soupault, diede vita a quel formidabile strumento di coesione costituito da «Littérature». Destinata ad accompagnare l’intero ciclo del dada francese, la rivista proseguì le sue pubblicazioni fino al 1924, anno in cui venne sostituita dalla «Révolution Surréaliste».
Secondo il progetto iniziale, il suo nome avrebbe dovuto essere prima «Le Nègre», poi «Le Nouveau Monde» (in seguito all’offerta da parte di Henry Cliquennois del periodico «Les Jeunes Lettres»), infine, su proposta di Reverdy, «Carte Blanche». Il titolo accettato fu invece quello che Valéry volle suggerire per antifrasi, rifacendosi all’ultimo verso dell’Art poétique di Verlaine: «Et tout le reste est littérature»6. Rispetto alla rivolta dadaista, l’autore della Jeune Parque si presentava come un altissimo interprete della tradizione francese, disposto per molti aspetti ad accettare il gioco delle convenzioni letterarie. Eppure, come aveva notato anche T.S. Eliot, egli non nascondeva un atteggiamento spirituale essenzialmente corrosivo e nichilista. Breton conobbe Valéry solo nel 1914, ma il suo Monsieur Teste lo aveva talmente affascinato che, scorgendo in questo dandy la compiuta rappresentazione di un’ascesi intellettuale, ne evocò la figura proprio in una descrizione dell’amico più caro: «[Vaché] mi colpì sia per il carattere studiato del contegno...

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