Alle origini del linguaggio umano
eBook - ePub

Alle origini del linguaggio umano

Il punto di vista evoluzionistico

Francesco Ferretti

Share book
  1. 192 pages
  2. Italian
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Alle origini del linguaggio umano

Il punto di vista evoluzionistico

Francesco Ferretti

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

«Indagare l'origine del linguaggio in un'ottica evoluzionistica significa analizzare l'avvento delle capacità verbali nei termini delle abilità, più semplici e di base, già presenti in altri animali o nelle altre specie di ominidi che hanno segnato il percorso evolutivo dell'Homo sapiens.»Francesco Ferretti spiega perché le teorie di Darwin applicate alla filosofia del linguaggio sono l'unica via per comprendere natura e origine del nostro parlare.Guarda la presentazione di Francesco Ferretti

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Alle origini del linguaggio umano an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Alle origini del linguaggio umano by Francesco Ferretti in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Philosophy & Language in Philosophy. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Year
2014
ISBN
9788858116715

1. Complessità

Per la rabbia, non riusciva nemmeno a parlare. Il 1869 fu un anno amaro per Darwin: un anno di tradimenti e delusioni. Dapprima Alfred Wallace. Nella recensione della decima edizione dei Principles of Geology di Charles Lyell (uno dei testi di base della formazione del pensiero darwiniano), il coinventore della teoria della selezione naturale aveva cambiato bruscamente prospettiva: a riprova della radicale diversità degli umani rispetto agli altri animali, egli sosteneva che la coscienza e il cervello non potevano essere spiegati in riferimento alle leggi naturali. Darwin stava lavorando all’Origine dell’uomo e il cambiamento di prospettiva di Wallace gli apparve come un fosco presagio. E il peggio doveva ancora arrivare.
Il 3 giugno dello stesso anno, St. George Mivart, un discepolo di Thomas Henry Huxley, divenne membro, fortemente voluto dal suo maestro, della Royal Society. Mivart ricambiò i darwinisti con una serie di scritti (apparsi sul periodico cattolico «Month») che attaccavano in modo esplicito e senza mezzi termini la teoria dell’evoluzione. E non era tutto: non appena Darwin ebbe consegnato all’editore le bozze dell’Origine dell’uomo (15 gennaio 1871) comparve On the Genesis of Species il libro che può essere considerato come il «più devastante attacco globale arrivato a Darwin in tutta la sua vita» (Desmond e Moore, 1991, trad. it. p. 657). Così come Wallace, anche Mivart metteva in risalto la debolezza esplicativa della teoria della selezione naturale nel dar conto delle proprietà più peculiari (e più nobili) degli esseri umani. Wallace, tanto per non smentirsi, si schierò dalla parte di Mivart confidando a Darwin che trovava del tutto convincenti gli argomenti antiselezionisti avanzati nel libro. Un attacco del genere lasciò Darwin completamente scosso e senza parole: doveva correre immediatamente ai ripari.
Secondo quanto scritto in On the Genesis of Species, se la teoria della selezione naturale fosse vera, il mondo organico (la straordinaria bellezza e armonia delle sue manifestazioni) sarebbe soltanto il prodotto accidentale del caso. Al carattere accidentale della genesi degli organismi, Mivart contrapponeva una concezione dell’evoluzione governata da «spinte e tendenze interne»: una connotazione fortemente finalistica dello sviluppo della vita organica. Come sottolinea Browne (1996), in effetti Mivart «optò per un compromesso teologico, sostenendo che il processo di variazione fosse guidato dall’alto da qualcuno in grado di indicare un progetto o una direzione nel processo evolutivo» (ivi, p. 330). Spiegare il processo evolutivo in termini teleologici – con il richiamo al disegno di un architetto divino – significava tradire il fondamento stesso della teoria darwiniana. Eppure non era la teleologia di Mivart a impensierire di più Darwin.
La critica che più gli dava da pensare era l’argomento degli «organi incipienti». È utilizzando tale argomento che Mivart sosteneva che le differenze caratteristiche che distinguono le specie «avrebbero potuto essersi sviluppate improvvisamente invece che gradualmente» (Mivart, 1871, p. 34) e che dunque la selezione naturale non poteva essere il dispositivo alla base del processo evolutivo. Con l’argomento degli organi incipienti Mivart colpiva uno dei nodi centrali della teoria darwiniana: il gradualismo – la successione di modificazioni numerose, successive e lievi che Darwin aveva posto a fondamento della propria ipotesi interpretativa.
Oltre a un evidente potere intrinseco, l’argomento degli organi incipienti fa affidamento su una forte plausibilità intuitiva (non è un caso che argomenti dello stesso tenore di quelli di Mivart vengano riproposti nel dibattito odierno contro la teoria dell’evoluzione). La questione degli organi incipienti merita un’analisi accurata perché tocca un problema di fondamentale importanza per comprendere l’origine e la natura del linguaggio: la relazione tra complessità ed evoluzione. Nella sua critica alla selezione naturale, Mivart faceva leva sull’inefficacia esplicativa delle giustificazioni in termini gradualistici della comparsa di organi «straordinariamente complessi» come gli occhi o le ali. In casi di questo tipo, l’argomento di Mivart si mostra fortemente persuasivo: a cosa potevano legittimamente servire le variazioni iniziali di organi la cui funzione è tale solo quando l’organo è pienamente costruito? Su cosa poteva operare la selezione naturale se la funzione di un organo è tale solo quando quell’organo è pienamente sviluppato? Se la selezione naturale è incapace di spiegare l’origine di organi complessi in termini gradualistici, allora c’è solo un’altra spiegazione da prendere in considerazione: la complessità, in natura, dipende da un evento improvviso in grado di costituirla in un sol colpo. Il caso dell’occhio (ma anche quello dell’ala) è l’esempio che, a partire da Mivart, viene sollevato più di sovente.
Che l’occhio umano sia un sistema straordinariamente complesso è un fatto difficilmente contestabile: esso è composto da numerose unità strutturali legate tra loro da una rete molto sofisticata di relazioni. Secondo l’argomento degli organi incipienti un dispositivo del genere non può essere il prodotto evolutivo di modificazioni numerose, successive e lievi perché le funzioni che lo caratterizzano come un tutto unitario non sono riscontrabili nelle parti costituenti prese singolarmente: la tesi di Mivart è, in effetti, che «dal momento che risultano inutili fin quando non si siano sviluppate le connessioni richieste, tali complesse e simultanee coordinazioni non avrebbero mai potuto essere state prodotte a partire da inizi infinitesimali» (Mivart, 1871, p. 35). In una prospettiva del genere, solo un occhio completamente sviluppato è in grado di assicurare la visione; un occhio allo stadio iniziale, incapace di vedere, non è propriamente un occhio: il sistema pienamente sviluppato, in buona sostanza, presenta tratti non conciliabili con l’opera della selezione naturale. Le critiche di Mivart permangono invariate sino ai nostri giorni; ecco un esempio tratto da Hitching (1982):
L’occhio o funziona nella sua totalità o non funziona affatto. Com’è dunque possibile che esso sia pervenuto a evolversi per mezzo di miglioramenti darwiniani lenti, costanti, di una piccolezza infinitesimale? È davvero plausibile che migliaia e migliaia di mutazioni casuali fortunate si siano verificate per coincidenza, così che il cristallino e la retina, che non possono lavorare l’uno senza l’altra, si siano evoluti in sincronia? Quale valore di sopravvivenza potrebbe esserci in un occhio che non vede? (citato in Dawkins, 1986, trad. it. p. 117).
L’argomento degli organi incipienti tocca alla radice il presupposto gradualistico del darwinismo. Il punto in discussione è chiaro: se non è possibile dar conto della formazione di organi complessi in termini di modificazioni numerose, successive e lievi, allora la complessità dei sistemi organici o si dà tutta insieme o non può darsi affatto. Poiché, dunque, la complessità non può essere spiegata facendo appello alla selezione naturale, l’unica spiegazione possibile della presenza in natura di sistemi complessi è la loro dipendenza da un atto di creazione. Il carattere tutto-o-nulla attribuito ai sistemi complessi si sposa felicemente con la tesi dell’architetto divino: tali sistemi esibiscono in effetti un «progetto» e un «fine», due proprietà particolarmente ambite in un matrimonio del genere.
Progetto e fine presuppongono un progettista in grado di far convergere la struttura progettata e il fine per cui è progettata. Si tratta della dottrina del «disegno intelligente» tornata recentemente alla ribalta ad opera dei neocreazionisti americani (Behe, 2006; per una discussione critica, cfr. Pievani, 2006; Franceschelli, 2005). Tale dottrina vanta antecedenti illustri: nella Natural Theology (1802), William Paley mostra la necessità di un architetto divino presentando il famoso argomento per analogia, esemplificato dal caso di un orologio:
Attraversando una brughiera, supponiamo che io avessi urtato col piede contro una pietra, e che qualcuno mi avesse chiesto in che modo la pietra fosse venuta a trovarsi là: io avrei forse potuto rispondere che, a quanto ne sapevo, quella pietra poteva trovarsi là da sempre: né forse sarebbe stato molto facile dimostrare l’assurdità di quella risposta. Supponiamo però che io avessi trovato al suolo un orologio, e che mi fosse stato chiesto in che modo l’orologio si trovasse là: io non avrei certo potuto pensare alla risposta che avevo dato prima, ossia che, a quanto ne sapevo, l’orologio poteva essere là da sempre (Paley, 1802, p. 7; citato in Dawkins, 1986, trad. it. p. 21).
L’argomento per analogia utilizzato da Paley si può estendere a tutti gli organi di straordinaria perfezione e complessità. Di più, si può estendere a tutta la grandiosa armonia e perfezione dell’universo: come un orologiaio deve aver progettato l’orologio, allo stesso modo dobbiamo pensare a un progettista divino per dar conto del progetto finalistico che è alla base di ogni aspetto dell’universo. L’argomento per analogia ha un forte impatto intuitivo: ai tempi in cui studiava a Cambridge per diventare un pastore anglicano, lo stesso Darwin lo aveva trovato straordinariamente convincente.

1. Il «colpo da maestro» di Darwin

Ripresosi dallo stato di frustrazione dovuto agli attacchi di Wallace e Mivart, Darwin iniziò a pensare alle possibili contromosse. Mivart (più di Wallace) meritava una lezione: l’argomento degli organi incipienti, in effetti, oltre a mettere in discussione la teoria della selezione naturale, proponeva una concezione della natura umana totalmente inaccettabile per Darwin. Nell’Origine dell’uomo il padre dell’evoluzionismo aveva portato il suo discorso alle estreme conseguenze: considerando le attività intellettuali e morali umane nel quadro della selezione naturale, egli aveva reso gli esseri umani animali tra gli altri animali.
Per Mivart un’operazione del genere era improponibile; la sua idea era in effetti che l’agire libero e responsabile degli umani fosse spiegabile soltanto in riferimento a un’anima sovrannaturale: gli umani – più simili agli angeli che agli altri animali – erano per Mivart entità qualitativamente diverse da tutte le altre specie animali. In una prospettiva di questo tipo, ovviamente, le capacità più tipiche della natura umana, quelle più «nobili» (come la coscienza o il sentimento morale), non erano giustificabili in termini di selezione naturale. Per Darwin, gli argomenti di Mivart erano mossi dal «fanatismo religioso»: la stesura della sesta edizione dell’Origine delle specie era l’occasione giusta per dargli una lezione.
Come sostengono Desmond e Moore (1991), la risposta di Darwin alle obiezioni di Mivart fu un vero «colpo da maestro». Egli aveva ben chiara l’importanza delle critiche mosse alla teoria della selezione naturale: sapeva bene che la dimostrazione anche di un solo caso di organo complesso non interpretabile nei termini di modificazioni numerose, successive e lievi avrebbe comportato il cedimento dell’intera teoria. Dopo la lettura del libro di Mivart, tuttavia, Darwin rimase saldo sulle proprie convinzioni: l’argomento degli organi incipienti si dimostrava del tutto compatibile con la teoria della selezione naturale.
In risposta a Mivart, Darwin utilizza due ordini di giustificazioni. La prima è che non è richiesto che un’ala o un occhio siano in grado di volare o vedere sin dallo stato iniziale: certi organi hanno cambiato funzione nel corso del tempo (le vesciche natatorie trasformatesi nei polmoni degli anfibi, ad esempio). Una prospettiva del genere, come vedremo nei prossimi capitoli, conoscerà uno sviluppo di grande rilievo (anche per il tema dell’origine del linguaggio) con la teoria dell’«exattamento» di Gould e Vrba (1982). La seconda giustificazione ha a che fare con la questione specifica dei rapporti tra gradualismo e selezione naturale: per quanto l’idea che un organo complesso come l’occhio abbia potuto formarsi attraverso piccoli passi intermedi possa apparire poco convincente, è possibile dimostrare «l’esistenza di numerose gradazioni da un occhio semplice e imperfetto a uno complesso e perfetto, essendo ogni grado utile per chi lo possiede» (Darwin, 1859, trad. it. p. 239).
Darwin ha ragione: non è necessario che per avere un ruolo adattativo un organo debba essere pienamente efficace. L’efficacia non è una caratteristica del tipo tutto-o-nulla; esistono diverse forme di occhio: alcune più sofisticate, altre meno, ma tutte ugualmente adattate alla vista. Dawkins (1986; 1996) ha descritto in modo particolareggiato i passaggi graduali dell’apparizione dell’occhio umano (i quaranta tortuosi sentieri che aiutano la visione a scalare il «Monte improbabile»). Egli contesta l’idea che un occhio al cinque per cento non serva alla sopravvivenza perché chi lo possiede non è in grado di vedere: un requisito così forte è richiesto soltanto da quanti sostengono che il vedere (o il volare) siano capacità che si danno del tutto non si danno affatto. Scrive Dawkins (1986):
Un antico animale in possesso del 5 per cento di un occhio avrebbe potuto usarlo in effetti per qualcosa di diverso dalla vista, ma appare almeno altrettanto probabile che lo usasse per avere una vista al 5 per cento. (...). Una vista che è pari al 5 per cento della tua o della mia è senza dubbio molto preferibile all’essere del tutto senza vista. Così una vista all’un per cento è preferibile alla totale cecità. E il 6 per cento è meglio del 5 per cento, il 7 per cento è meglio del 6 per cento, e così via salendo su per la serie graduale continua (ivi, trad. it. p. 119).
E prosegue:
Non solo è chiaro che avere parte di un occhio sia meglio che non avere affatto occhi, ma troviamo anche una serie plausibile di strutture intermedie fra gli animali moderni. Ciò non significa, ovviamente, che queste strutture moderne rappresentino realmente dei tipi ancestrali, ma dimostra che forme intermedie sono capaci di funzionare (ivi, trad. it. p. 124).
Queste considerazioni di Dawkins sono estremamente importanti per far fronte all’argomento degli organi incipienti; ogni grado di efficienza funzionale (per quanto minimo) offre un appiglio alla selezione naturale: vedere anche solo un po’ è sicuramente meglio che non vedere affatto, ovvero è adattativamente proficuo. Il discorso di Dawkins procede mostrando le mutazioni graduali che permettono il passaggio dalla macchia fotosensibile dello stato iniziale alla forma «a fossetta» che porta tale macchia a formare prima un proto-cristallino e poi un cristallino vero e proprio, sino ad arrivare allo sviluppo di un occhio pienamente formato. In un’ottica del genere, anche gli organi incipienti hanno una funzione adattativa: l’argomento di Mivart (e dei suoi emuli contemporanei) non è dunque un buon argomento a favore della critica della selezione naturale e del gradualismo da essa implicato. È possibile pensare la conquista del «Monte improbabile» nei termini di una complicazione successiva di strutture: in un’ottica del genere l’evoluzione è interpretabile nei termini di una complicazione di stadi che vanno dal semplice al complesso. Fine del problema? Non proprio.
La risposta di Dawkins (e di Darwin) all’argomento della inutilità degli organi incipienti in riferimento alle pretese entità semplici di partenza sembra aprire un nuovo fronte problematico. I naturalisti sono attratti dalle cose semplici (costruire l’impresa scientifica a partire dal basso su solide palafitte): a dare avvio al processo di costruzione dell’occhio è sufficiente un recettore sensibile alla luce. Come sostiene Darwin, sotto un livello di semplicità di questo tipo non è legittimo scendere; chiedersi come un dispositivo così semplice possa avere avuto origine è ovviamente una domanda interessante, ma non è una domanda che deve riguardare la teoria della «trasmutazione» delle specie: «come un nervo sia diventato sensibile alla luce non ci riguarda più del modo come la vita stessa si sia originata» (Darwin, 1859, trad. it. p. 239). Con argomenti di questo tipo la questione degli organi di estrema complessità e perfezione sembra finalmente rientrare nei canoni di una visione naturalistica. Bastano questi argomenti a placare gli animi irati dei creazionisti? No, ovviamente.
Diversamente dai naturalisti, i creazionisti sono attratti dalla complessità (un creatore divino è incline a fare cose complicate, dopotutto). Il ricorso al gradualismo è possibile soltanto a patto di porre entità semplici all’origine della concatenazione, ma non tutti i creazionisti sono disposti a considerare realmente semplici le entità chiamate in causa per dare avvio al processo evolutivo. Quanto sono davvero semplici le supposte entità semplici da cui prenderebbe avvio l’evoluzione di un organo? Quanto è possibile fare appello alla semplicità chiamando in causa nell’evoluzione dell’occhio entità quali una macchia sensibile alla luce? È su questo aspetto della questione che l’offensiva dei critici dell’approccio darwiniano sembra trovare nuovi punti d’appiglio. Behe (2006), ad esempio, nega decisamente che la macchia fotosensibile, da cui avrebbe inizio il processo di complicazione gradualistica alla base della formazione dell’occhio, possa essere considerata in termini di semplicità; dal suo punto di vista, le supposte entità semplici di partenza sono in realtà entità estremamente complesse: con una mossa del genere Behe apre la strada a una concezione molto più radicale di complessità.

2. Semplici complessità

L’idea che la complessità debba dipendere da un atto di creazione è ben esemplificata dagli argomenti che Behe (un fautore del «disegno intelligente») porta in favore della «complessità irriducibile». Cosa si deve intendere con tale espressione? La risposta a questa domanda è, di nuovo, ben esemplificata dal caso dell’occhio:
La «macchia sensibile alla luce», che Dawkins prende come punto di partenza, per funzionare richiede una cascata di fattori, fra i quali la 11-cis-retinale e la rodopsina. Dawkins non ne fa menzione. E da dove è venuta fuori la «fossetta»? Una palla di cellule – di cui la fossetta deve essere fatta – tenderà ad essere tondeggiante, a meno che non venga tenuta nella forma corretta da un sostegno molecolare. Dozzine di proteine complesse, infatti, sono coinvolte nel compito di mantenere la forma della cellula, ed altre dozzine controllano la struttura extracellulare; in mancanza di queste, le cellule prendono la forma di tante bolle di sapone. Queste strutture rappresentano forse delle mutazioni verificatesi di colpo, in una sola volta? Dawkins non ci dice come si sia giunti all’apparente semplice forma «a fossetta» (Behe, 2006, trad. it. pp. 70-71).
Secondo Behe, le presunte entità semplici poste alla base del processo evolutivo sono in realtà entità estremamente sofisticate. Sono più che complesse: sono irriducibilmente co...

Table of contents