Opere filosofiche
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Opere filosofiche

Sofia Vanni Rovighi, Anselmo d'Aosta

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Opere filosofiche

Sofia Vanni Rovighi, Anselmo d'Aosta

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Anselmo d'Aosta (1033-1109) è riconosciuto come la mente speculativa più originale dell'XI secolo. Questa edizione, la più nutrita raccolta di testi anselmiani disponibile in lingua italiana, intende offrire una visione più ampia del pensiero dell'abate del Bec. Oltre al Monologio e al Proslogio, la silloge accoglie In che senso 'grammatico' sia sostanza e qualità, La verità, La libertà di arbitrio, La caduta del diavolo, La concordia della prescienza, della predestinazione e della grazia di Dio col libero arbitrio. La traduzione di Sofia Vanni Rovighi, rivista da Pietro B. Rossi, è stata condotta sull'edizione critica in sei volumi delle opere di Sant'Anselmo curata da F.S. Schmitt (Sancti Anselmi Cantuariensis Archiepiscopi Opera omnia ad fidem codicum recensuit F.S. Schmitt O.S.B., Edinburgi apud Th. Nelson 1946-1961).

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Information

Year
2014
ISBN
9788858115718

Monologio

(Monologion)

Prologo

Alcuni confratelli mi pregarono ripetutamente e con insistenza di scrivere per loro, come esempio di meditazione, le cose che avevo loro esposto, parlando con linguaggio usuale, intorno all’essenza di Dio e ad alcuni altri argomenti connessi con questa meditazione. E, badando più al loro desiderio che alla difficoltà della cosa o alla mia possibilità, mi prescrissero questo metodo nello scrivere la meditazione: che nulla vi fosse persuaso con l’autorità della Scrittura, ma tutto ciò che si concludesse in ogni singola investigazione fosse dimostrato brevemente con argomenti necessari e manifestato apertamente dalla luce della verità; e tutto ciò con stile piano e argomenti accessibili a tutti e con semplice discussione. Vollero pure che non trascurassi di risolvere le obiezioni che si potessero presentare, anche le più semplici e apparentemente sciocche.
Per un pezzo rifiutai di tentare l’impresa, e, paragonando le mie forze alla difficoltà dell’opera da compiere, cercai di esimermi adducendo scuse. Quanto più infatti mi chiedevano una cosa facile per loro, tanto più imponevano un compito difficile a me. Alla fine, tuttavia, vinto e dalla modesta importunità delle loro preghiere e dalla bontà del loro intento, che non poteva esser tenuto in poco conto, mi accinsi a scrivere ciò che mi chiedevano, contro voglia per la difficoltà dell’argomento e per la debolezza del mio ingegno; ma lo portai a termine volentieri per la loro carità, seguendo per quanto mi fu possibile le loro prescrizioni. Vi fui indotto dalla speranza che il mio scritto fosse noto solo a coloro che me lo chiedevano, e di lì a poco venisse a noia a loro stessi, come cosa di poco conto, e seppellito nell’oblio. – Ho coscienza, infatti, di non essere riuscito a soddisfare i loro desideri, ma solo di aver posto fine alle loro richieste. – Invece, non so come, oltre ogni mia speranza, accadde che non solo quei confratelli, ma anche molti altri, copiandosi ognuno lo scritto, si siano impegnati a tramandarne la memoria.
Rividi spesso il mio scritto, e non vi trovai nulla che non si accordasse con gli scritti dei Padri cattolici e specialmente di sant’Agostino. Perciò, se ad alcuno sembrasse che in questo opuscolo io abbia detto qualcosa di troppo nuovo o contrario alla verità, lo prego di non proclamarmi subito presuntuoso assertore di novità o di falsità, ma di guardare prima attentamente il De Trinitate di sant’Agostino e poi di giudicare in base a questo il mio opuscolo. Quando infatti ho detto che la Somma Trinità può esser detta tre sostanze ho seguìto i Padri greci, che affermano esservi tre sostanze in una sola persona professando la medesima fede con la quale noi affermiamo tre persone in una sola sostanza. Infatti, col termine sostanza significano in Dio quello che significhiamo noi col termine persona. Tutto ciò che ho detto, poi, impersonando uno che discute mentalmente fra sé e ricerca quello di cui prima non si era reso conto, è stato esposto così come sapevo che volevano coloro al cui desiderio intendevo piegarmi.
Prego poi e scongiuro di cuore chi volesse trascrivere questo opuscolo di premettere ai capitoli, in capo al libro, questa prefazione. Penso infatti che molto giovi alla comprensione di ciò che vi leggerà il sapere con quale intenzione e in che modo è stato scritto. E credo anche che, se uno vedrà prima questa prefazione, non giudicherà temerariamente se vi troverà esposto qualche cosa di contrario alla sua opinione.

I. Vi è un ente ottimo e massimo e più alto di tutto ciò che esiste

Se uno, o per non averlo udito o perché non crede a ciò che ha udito, ignora che vi è una natura più alta di tutto ciò che esiste, a sé sufficiente nella sua eterna beatitudine, che dà a tutte le altre cose l’essere e le fa in qualche modo buone con la sua onnipotente bontà, e ignora altresì le molte altre verità che dobbiamo credere di Dio o della creazione, credo che della maggior parte di queste stesse cose possa almeno convincersi, se è appena di mediocre ingegno, con la sola ragione. Potrà farlo in molti modi, ma io gliene proporrò uno, che giudico essere a più facile portata. Infatti, poiché tutti desiderano godere soltanto di quelle cose che reputano buone, è ovvio che una volta o l’altra si rivolga l’occhio della mente a ricercare ciò onde sono buone le cose che si desiderano proprio perché si giudicano buone; affinché poi, sotto la guida della ragione, e proseguendo verso le cose che irragionevolmente si ignorano, si proceda ragionevolmente. In questa ricerca, tuttavia, se avrò detto qualcosa che non sia suffragato da una più alta autorità, voglio sia inteso così che, sebbene sia concluso come necessario dalle ragioni che mi parranno buone, non si dica che è assolutamente necessario, ma soltanto probabile.
È facile dunque che uno tacitamente dica fra sé: poiché vi sono beni così innumerevoli, di cui sperimentiamo coi sensi e discerniamo con la ragione la grandissima diversità, è da credere che vi sia un ente solo, in virtù del quale sia buono tutto ciò che è buono, o alcuni beni son beni in virtù di una cosa, altri in virtù di un’altra? È invero certissimo e chiaro per tutti quelli che vogliono prestarvi attenzione, che tutto ciò che si dice tale, in modo che in rapporto con altri si dica più o meno o egualmente tale, è tale in virtù di qualcosa che non è diverso nelle diverse cose, ma identico, sia che lo si consideri in esse allo stesso modo o diversamente. Infatti, tutte le cose che son dette giuste, siano esse ugualmente, più o meno giuste le une delle altre, non possono esser concepite tali se non in virtù di una sola giustizia che non sia diversa nelle diverse cose. Dunque, poiché è certo che tutte le cose buone, se sono paragonate fra loro, sono ugualmente o inegualmente buone, è necessario che tutte siano buone per qualche cosa che è concepita identica in loro, sebbene talora alcune cose sembrino esser dette buone per un motivo, altre per un altro.
Per un motivo, infatti, sembra esser detto buono il cavallo quando è forte e per un altro quando è veloce. Lo si dice infatti buono per la forza e buono per la velocità, e tuttavia non sono la medesima cosa forza e velocità. Ma se il cavallo è buono perché è forte e veloce, come mai è cattivo un ladro forte e veloce? O piuttosto, come un ladro forte e veloce è cattivo perché è dannoso, così un cavallo forte e veloce è buono perché è utile. Nulla invero si suol reputare buono se non o per l’utilità, come si dice buona la salute e ciò che ad essa giova, o per il valore intrinseco, come si stima buona la bellezza e ciò che ad essa giova. Ma poiché l’argomento sopra addotto non si può infirmare, anche tutto ciò che è utile o ha valore in sé, se davvero è un bene, deve esser bene in virtù di quella stessa cosa, qualunque essa sia, per la quale ogni cosa è buona.
Ora chi potrebbe negare che ciò in virtù di cui tutte le cose sono buone debba essere un gran bene? Questo dunque è bene per se stesso, poiché ogni cosa è buona per esso. Dunque ne consegue che tutti gli altri beni derivano da altro da ciò che essi sono, e quello solo è per se stesso. Ma un bene che deriva da un altro non può essere né eguale né maggiore di ciò che è bene per sé. È dunque sommo bene soltanto ciò che è bene per sé, poiché il sommo è ciò che sovrasta gli altri, sì da non avere né pari né migliore di sé.
Ora ciò che è sommamente buono è anche sommamente grande. Vi è dunque un ente sommamente buono e sommamente grande, ossia più grande di tutto ciò che esiste.

II. Ancora sul medesimo argomento

Come si è concluso che vi è un sommo bene, poiché tutte le cose buone sono buone in virtù di un unico bene, che è bene per se stesso, così si conclude necessariamente che vi deve essere un ente sommamente grande, poiché tutto ciò che è grande è tale in virtù di un unico ente che è grande per se stesso. Grande, dico, non nello spazio, come i corpi, ma nel senso che, quanto è più grande, tanto è migliore o più degno, come si dice della sapienza. E poiché non può essere sommamente grande se non ciò che è sommamente buono, è necessario che esista un ente massimo e ottimo, ossia più grande di tutto ciò che esiste.

III. Vi è una natura in virtù della quale esiste tutto ciò che è, natura che è per se stessa, ed è l’ente più grande di tutto ciò che esiste

Infine, non solo tutti i beni sono tali in virtù di un medesimo bene, e tutte le cose grandi sono tali in virtù di una medesima grandezza, ma tutto ciò che è, esiste in virtù di un unico ente. Infatti, tutto ciò che è, o esiste in virtù di qualche cosa o in virtù di nulla. Ma nulla esiste in virtù di nulla. Non si può infatti neppur pensare che qualche cosa esista se non in virtù di una realtà. Dunque tutto ciò che è, esiste in virtù di qualche cosa.
Ora, se è così, l’ente in virtù del quale esiste tutto ciò che esiste, o è unico o è molteplice. Se è molteplice, o i molti si riferiscono a un unico ente in virtù del quale esistono, o fanno ognuno per se stesso, o esistono uno in virtù dell’altro. Ma, se i molti esistono in virtù di un unico ente, allora non è più vero che tutte le cose esistono in virtù di molti, ma piuttosto esistono in virtù di quell’unico, per cui sono i molti.
Se poi i molti esistono ognuno per sé, vi è allora una forza o natura di esistere per sé, che essi debbono avere per potere essere per sé; ora non vi è dubbio che esistano in virtù di quell’uno, da cui hanno di esistere per sé. Tutte le cose, dunque, esistono in modo più vero per quell’uno che non per quei molti che non potrebbero essere senza quell’uno.
Che poi i molti siano uno in virtù dell’altro non è ammissibile per nessuna ragione, poiché è irragionevole pensare che una cosa sia in virtù di ciò a cui dà l’essere. Infatti, neppure le cose relative sono l’una per l’altra in questo modo. Padrone e servo, infatti, sono l’uno relativo all’altro, ma gli uomini che sono in questa relazione non sono uomini l’uno in virtù dell’altro, e le stesse relazioni di padronanza e di servitù non sono affatto l’una in forza dell’altra, perché esistono in quanto esistono i soggetti che sono in relazione fra loro.
Poiché, dunque, la verità esclude che vi siano più enti in virtù dei quali esistano tutte le cose, è necessario che sia uno solo quell’ente in forza del quale esistono tutte le cose che sono.
E siccome tutte le cose esistono in forza dello stesso unico ente, certamente quest’uno è per se stesso. Dunque tutte le altre cose esistono in virtù di altro, e quello solo è per se stesso. Ma tutto ciò che esiste in virtù di altro è inferiore a quello per cui esistono tutte le altre cose e che, solo, esiste per sé. Perciò quello che esiste per sé è il più grande di tutti. Vi è dunque qualche cosa che, sola, è il massimo e il sommo ente. Ma ciò che è massimo, e in virtù del quale esiste tutto ciò che è buono e grande e, in genere, tutto ciò che ha una realtà, deve essere sommamente buono e sommamente grande e al di sopra di tutto ciò che esiste. Perciò vi è un ente che, si dica essenza o sostanza o natura, è ottimo e massimo e al di sopra di tutto ciò che esiste.

IV. Sul medesimo argomento

Inoltre, se uno osserva le nature delle cose, si accorge, voglia o non voglia, che non tutte sono sul medesimo piano di valore, ma che alcune di esse si distinguono per una differenza di gradi. Chi infatti dubitasse che il cavallo per sua natura è migliore del legno, e l’uomo migliore del cavallo, costui senza dubbio non è degno di esser chiamato uomo. Poiché dunque non si può negare che alcune nature siano migliori di altre, nondimeno la ragione ci persuade che una supera le altre, sì da non averne alcuna superiore a sé. Se infatti una tale distinzione di gradi fosse infinita e non vi fosse nessun grado superiore, del quale non si potesse assegnarne uno più alto, la ragione sarebbe condotta ad ammettere che la moltitudine di quelle nature non avrebbe fine. E bisogna essere troppo stolti per non giudicare assurda questa conclusione. Vi è dunque necessariamente una natura che è superiore a un’altra o a molte altre, sì da non essere inferiore ad alcuna.
Ma questa natura che è tale, o è unica o è una molteplicità di enti uguali. Ora, se sono molti e uguali, poiché non possono essere uguali per caratteri diversi, ma debbono esserlo per un carattere identico, quell’uno per cui sono ugualmente tanto grandi o si identifica con loro ed è la loro stessa essenza, o è diverso.
Ma se è la loro stessa essenza, siccome le loro essenze non sono molte, ma una sola, così anche quelle nature non saranno molte, ma una sola. Intendo infatti la stessa cosa per natura e per essenza.
Se invece ciò per cui quelle molte nature sono così grandi è diverso dalla loro essenza, allora esse sono inferiori a ciò per cui sono grandi. Tutto ciò, infatti, che è grande in virtù di un altro è inferiore a ciò per cui è grande. E allora non sono così grandi che non vi sia nulla di maggiore a loro.
Se poi le molteplici nature delle quali nulla possa essere migliore non possono essere tali né per la loro essenza né per altro, allora a nessun patto vi possono essere molte nature di questo tipo. Resta dunque che vi sia una sola natura, così superiore alle altre da non essere inferiore a nessuna.
Ma una tal cosa è la più grande e la migliore di tutte. Vi è dunque una natura che è il sommo ente.
Ora non può essere tale se non è per sé ciò che è, e se tutte le altre cose non sono ciò che sono in virtù di lei. Infatti, poiché poco fa la ragione ci ha insegnato che ciò che è per sé, e in virtù del quale è tutto il resto, è il sommo ente: o, reciprocamente, il sommo ente è per sé, e tutte le altre cose sono in virtù di lui, o vi saranno parecchi sommi enti. Ma è manifesto che non ci sono parecchi sommi enti. Perciò esiste una natura o sostanza o essenza che è per sé buona e grande ed è per sé ciò che è, e in virtù della quale esiste tutto ciò che è veramente buono o grande o comunque è qualche cosa, e tale natura o essenza è il sommo bene, la somma grandezza, il sommo ente o esistente, cioè la più alta realtà.

V. Come la somma natura è per sé, e le altre cose sono in virtù di lei, così è da sé, e le altre cose derivano da lei

Poiché approviamo quel che si è concluso sopra, occorre indagare se questa stessa natura e tutto ciò che esiste derivi da lei1, così come si è detto che esiste in virtù di lei2.
Ora è chiaro che si può dire che tutto ciò che deriva da una cosa esiste anc...

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