Politica barocca
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Politica barocca

Inquietudini, mutamento e prudenza

Rosario Villari

  1. 336 pages
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Politica barocca

Inquietudini, mutamento e prudenza

Rosario Villari

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I saggi raccolti in questo volume delineano il percorso intellettuale attraverso il quale Rosario Villari ha contribuito, con opere fondamentali come La rivolta antispagnola a Napoli e Elogio della dissimulazione, a una nuova ricostruzione della storia d'Italia tra XVI e XVII secolo.Il filo conduttore è la convinzione che, nel confronto con la maggiore potenza del mondo, il popolo italiano non fu allora passivo, come un diffuso luogo comune sostiene, e che la collaborazione critica e i movimenti di opposizione e di riforma coinvolsero ampi strati della società.L'influenza dell'opera di Rosario Villari sulla visione generale della storia europea è ampiamente riconosciuta. Lo studioso americano Eric Cochrane ha paragonato il suo racconto di alcuni momenti storici alle più belle pagine di Guicciardini.«Da più di mezzo secolo – ha scritto John H. Elliott, professore emerito di Storia moderna a Oxford – Rosario Villari è un'importante presenza nel rinnovamento della storia europea della prima età moderna e merita la nostra gratitudine».

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Information

Year
2014
ISBN
9788858112977

IV. La lunga crisi di uno «stato» feudale

La zona oggetto di questa indagine si estende a nord-est del Vallo di Diano, al confine tra la Basilicata e la provincia di Salerno. Fino ai primi anni del secolo XIX, due dei quattro Comuni che ne fanno parte, Atena Lucana e Brienza, appartenevano al Principato Citeriore, mentre Pietrafesa e Sasso erano compresi nella provincia di Basilicata. Ma sia sotto l’aspetto amministrativo locale, sia per le condizioni generali della vita economica e sociale, la zona aveva caratteristiche unitarie: i quattro Comuni costituivano, infatti, fin dai primi anni del secolo XVI, il feudo di una delle più importanti famiglie nobili del Regno di Napoli, il ramo dei Caracciolo, marchesi di Brienza e principi di Atena.
Relativamente lontana dai grandi mercati (ma non tanto da non avere rapporti con quello di Salerno, specialmente per il commercio del bestiame), la sua economia non subì trasformazioni fino alle soglie del ’700, né i mutamenti che vi si verificarono in seguito furono rapidi e vistosi. Ma anche in quella zona ci fu un lento processo di trasformazione delle forme feudali di economia e di amministrazione pubblica e delle connesse strutture comunitarie. Il problema che mi sono proposto di affrontare impone di andare oltre i momenti di emergenza del Seicento e di seguire l’evoluzione del feudo anche nel secolo successivo.
Nei contrasti tra baroni e vassalli che ricorrono frequenti nella storia di questo feudo, è difficile trovare, dalla metà del Seicento alla metà del secolo successivo, i segni del maturarsi di una coscienza che superi l’ambito dei problemi locali e li inquadri in una visione più generale; essi sono piuttosto le reazioni immediate, dall’una e dall’altra parte, ad un disagio ed a difficoltà a volte drammatiche da cui non scaturisce un’azione continua ed organica, ma movimenti occasionali che hanno quasi sempre carattere limitato e momentaneo.
Una linea di sviluppo, tuttavia, è possibile cogliere nelle reazioni dei vassalli e nel contenuto delle rivendicazioni che ad esse erano legate, a partire dai profondi sommovimenti della metà del Seicento; una linea che dà, per alcuni aspetti, la testimonianza dei mutamenti avvenuti nel corso di un secolo nel regime feudale.
La scossa rivoluzionaria del 1647-48 raggiunse le province più lontane. Molti Comuni rurali furono teatro di moti popolari, che si esaurirono spontaneamente subito dopo la caduta della Repubblica napoletana, o furono stroncati con sanguinose repressioni dai feudatari tornati nei loro feudi e dalle truppe spagnole. Sorti su basi locali, come episodi della tradizionale lotta tra le Università ed i baroni, questi movimenti raggiunsero però, quasi dovunque, una ampiezza ed una unità tali da riuscire a travolgere la resistenza baronale e, sia pure momentaneamente, a sottrarre intere province all’autorità del governo.
Così avvenne in provincia di Salerno, dove fin dal mese di luglio si diffuse il movimento insurrezionale221 e dove Ippolito da Pastena, che ne prese la guida, riuscì presto ad organizzarlo su vasta scala.
Anche in Basilicata, molti comuni insorsero subito dopo l’annuncio degli avvenimenti napoletani. A Miglionico la popolazione, sollevatasi in armi poco dopo la metà di luglio, assediò nella chiesa il duca di Salandra, respingendo l’ordine di pagare le tasse. «In tutte le città convicine – scrisse da Matera il 26 luglio il preside della provincia don Luigi Gamboa – vi è stato rumore grande et in particolare a Montescaglioso»222. Inviato nella provincia a sostituire un inetto predecessore, il Gamboa, membro del supremo ordine di governo (Consiglio Collaterale), assunse i poteri di giustizia ed intervenne con energia per stroncare le prime rivolte. Repressa violentemente la rivolta di Montescaglioso ed emanato a Miglionico, il 24 luglio, un bando con l’intimazione di deporre le armi223, egli riteneva, come sembra dalla citata lettera del 26 luglio, di avere atterrito le popolazioni con la «giustizia rigorosa» che aveva fatto: «Se non fosse stato per me tre o quattro terre della Provincia si sarebbero distrutte et io per gratia di Dio parte per timore e parte con amore le ho quietate».
Nell’opposto versante, intanto, verso il confine con la Calabria, si verificavano episodi ancora più gravi: circa 200 popolani di Lagonegro si sollevarono «con tambor y bandera», dando l’assalto ad alcune case di nobili. Respinti, si dispersero nelle campagne circostanti; ma il 28 luglio, uniti (secondo una relazione inviata in quei giorni al viceré) con «otros doscientos de Napoles armados» venuti per sostenerli, diedero l’assalto alla città. I preti ed alcuni frati cappuccini inviati per fermarli e dissuaderli dall’impresa, furono accolti a colpi di archibugio e dovettero ritirarsi. Dopo una breve resistenza da parte di alcuni cittadini, i popolari entrarono nella città ed elessero subito un capitano del popolo, al quale fu affidata «toda la jurisdicción»224.
Poco dopo, altri paesi insorsero, in diverse zone della regione: Grottole, per iniziativa di un notaio, Evangelista Morello; Bernalda, dove i contadini occuparono una «difesa» appartenente al monastero di San Lorenzo di Padula; Carbone, feudo di monaci basiliani, dove fu assaltato il convento ed ucciso un frate; Latronico, il cui feudatario, conte Ravaschieri, fu ucciso insieme al fratello. Anche il barone di Balvano fu ucciso dal popolo insorto225.
A Vaglio lucano, un tentativo dell’avvocato fiscale dell’Udienza di Montepeloso di ridurre all’obbedienza la popolazione non ebbe successo «poiché li vassalli stavano armati e non permisero che fusse entrato dentro l’abitato»226. Ai primi di settembre ritornò, liberato dalle prigioni della Vicaria di Napoli, dove era stato rinchiuso per motivi politici, don Francesco Salazar (che aveva il titolo di conte di Vaglio), che avrebbe poi avuto una parte di primo piano nelle vicende successive della rivoluzione in Basilicata. Il 9 settembre vennero uccisi nel paese tre sacerdoti e due laici: il feudatario attuale della comunità, Giovan Battista Massa, affermò che la sommossa era avvenuta per ispirazione di Francesco Salazar «ingiustamente escarcerato».
Nel mese di novembre, le rivolte locali si trasformarono in una generale insurrezione, mentre Matteo Cristiano e Francesco Salazar cominciavano a costituire, con gli uomini che affluivano spontaneamente da diversi paesi, due grossi concentramenti di forze popolari. Il governatore delle armi di Terra d’Otranto e di Bari, don Francesco Boccapianola, il duca di Santo Mango, preside della provincia di Bari, Ippolito di Costanzo, preside della provincia di Lecce, il conte di Celano, che era fuggito da Potenza, don Bartolomeo d’Aro, il marchese d’Oyra ed altri baroni, si riunirono a Canosa e decisero di ritardare la partenza delle truppe che dovevano essere inviate ad Aversa (dove i nobili, per ordine del viceré, si stavano concentrando sotto il comando di Vincenzo Tuttavilla) e di marciare, con 300 fanti ed altrettanti cavalli, verso Gravina, per fermare lo sconfinamento dei ribelli lucani in Puglia227. Da Minervino, il 27 novembre 1647, un gruppo di baroni (tra cui il duca di Gravina, il conte di Celano, il duca di Cutrufiano) scrissero al viceré, illustrando la grave situazione in cui si trovava la Basilicata «por haverse juntado en ella un gran numero de pueblo solevado» e manifestando anch’essi il timore che le forze popolari entrassero in Puglia228.
Il Consiglio Collaterale, in una consulta inviata al viceré il 2 dicembre, riconobbe che, benché la Basilicata avesse bisogno «más que ninguna otra provincia» che vi venisse restaurata l’autorità regia, perché era diventata un focolaio da cui l’incendio minacciava di espandersi verso le Calabrie e le Puglie, in quel momento era impossibile nominare ed inviare un nuovo preside; bisognava «suspender por ahora la provisión de preside de Basilicata» e concentrare le forze delle tre province confinanti (Calabria Citra, Terra d’Otranto e Terra di Bari) in cui si manteneva ancora l’organizzazione civile e militare del governo e della nobiltà, per dare aiuto di uomini e di denaro al duca di Martina, nominato governatore delle armi delle province di Salerno e di Basilicata229.
Ma un tentativo del duca di Martina di creare un centro controrivoluzionario al confine tra queste due province, proprio attorno al feudo dei Caracciolo di Brienza, nel territorio di Marsicovetere, fallì completamente.
Ippolito da Pastena lo aveva preceduto, inviando in quella zona il fratello Vincenzo, col compito di prendere la direzione del movimento insurrezionale nel Vallo di Diano e di spingersi verso Potenza. «Vincenzo in questa impresa si mostrò non meno valoroso ed audace del fratello. Ribellato Contursi, Colliano, e i paesi lungo il Tanagro, tranne Buccino, entra nel Vallo di Teggiano. Polla, Auletta, Sant’Arsenio, Sala sono in armi»230.
Successivamente le forze popolari si diressero verso Marsiconuovo – che, già insorta ai primi di agosto231, accolse festosamente Vincenzo – e qui si divisero in due colonne: la prima si rivolse contro Marsicovenere, dove un gruppo di gente del principe Salvatore Caracciolo tentò per breve tempo la difesa; la seconda si spinse verso Tito e Picerno, mentre tutti gli altri paesi della zona, fino a Potenza ed a Muro lucano, si ribellavano ai loro signori.
Muovendo con 100 uomini da Buccino alla volta di Marsicovetere, il 23 dicembre, il duca di Martina sperava di riorganizzare la resistenza dei baroni – ai quali aveva fatto pervenire l’ordine «che si unissero per opporsi ai popolari»232 – e quindi, probabilmente, interrompere il collegamento tra i ribelli di Basilicata e quelli di Principato Citra. Ma il rapido precipitare della situazione gli impedì di realizzare il suo piano; la rivoluzione, allargandosi e crescendo di violenza, aveva disperso le forze baronali, cosicché il duca, nei pressi di Marsicovetere, di cui già i popolari si erano impadroniti, non trovò «né barone, né soldato alcuno in suo soccorso, come stabilito si era»233. Attaccato dai popolari dovette ritirarsi e, con una avventurosa fuga, raggiungere nuovamente il suo castello di Buccino. Da qui, poco dopo, gli fu ordinato dal consigliere don Luigi Gamboa (che intanto era stato costretto a fuggire da Matera e si era accampato a Ferrandina al comando di truppe spagnole) di raggiungerlo nell’opposto versante della provincia di Basilicata. Proprio in quei giorni, però, le forze di Matteo Cristiano e di Francesco Salazar, cacciate le truppe spagnole da Ferrandina dopo essere entrate in Pisticci e Matera, investivano Gravina ed Altamura, nella provincia di Terra di Bari, al confine tra Puglia e Basilicata, da dove contavano di dirigersi verso Taranto. Qui finalmente il duca di Martina, dopo avere attraversato «lungo spazio di paese nemico quasi solo [...] camminando solo la notte, con stare il giorno ascosto nei boschi»234 poté raggiungere il consigliere Gamboa ed insieme al preside di Lecce decidere di fare piazza d’armi a Francavilla, con i 700 soldati e 300 cavalli che erano riusciti a mettere insieme.
Nel gennaio del 1648, tutta la provincia di Basilicata aveva quindi aderito alla Repubblica ed i poteri effettivi erano passati a Matteo Cristiano, che ufficialmente rappresentava, con la carica di governatore delle armi, il governo repubblicano di Napoli235.
Il primo febbraio, il preside di Bari comunicò al viceré di avere chiamato in soccorso in Puglia il conte di Conversano (famoso per la sua prepotenza e la sua ferocia e, tra tutti i baroni, quello che più aveva conservato lo spirito dell’anarchia feudale)236 «viendo de quanto daño y perdición puede ser el encaminarse estos rebeldes [di Basilicata] a la buelta de las tierras y ciudades marittimas, por ser las que defienden esta marina». Erano falliti i tentativi di ottenere aiuti di uomini e di denaro sia dalle Università che si erano mantenute fedeli, sia dagli stessi baroni rimas...

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Villari, Rosario. Politica Barocca. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2014. Web. 15 Oct. 2022.