Storia mondiale dell'Italia
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Storia mondiale dell'Italia

Andrea Giardina, Emmanuel Betta, Maria Pia Donato, Amedeo Feniello

  1. 878 pages
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Storia mondiale dell'Italia

Andrea Giardina, Emmanuel Betta, Maria Pia Donato, Amedeo Feniello

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Una storia come questa non ci era mai stata raccontata. E non è un modo di dire. Perché alla fine delle oltre ottocento pagine della Storia mondiale dell'Italiaci si accorge che il paese scolpito nella nostra testa non è più riconoscibile, ha preso un'altra forma. Non più lo stivale allungato dalle Alpi a Lampedusa per oltre duemiladuecento anni di splendori e miserie, ma un'Italia piena di mondo, un miscuglio di genti, lingue e modi di vivere che si irradia oltre i confini soliti fissati dalla geografia. Senza paragoni nel globo.Simonetta Fiori, "la Repubblica"

180 lemmi capaci di trasportarci dai ghiacciai di un tempo incerto, collocato a cinquemila anni di distanza da noi, fino al Mediterraneo infuocato dei nostri giorni. Una inconsueta, sorprendente, Storia mondiale dell'Italia.Luigi Mascilli Migliorini, "Il Sole 24 Ore"

Un evento editoriale e culturale di prima grandezza.Piero Bevilacqua, "il manifesto"

Dall'uomo di Similaun agli sbarchi a Lampedusa, 180 tappe per riscoprire il nostro posto nel mondo. Una storia che provoca, spiazza, sorprende e allarga lo sguardo.

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Information

Year
2019
ISBN
9788858140406
Topic
History
Index
History

ITALIANI

LA PRIMA guerra mondiale cambia tutto. Muoiono milioni di persone, e insieme a loro spariscono i grandi imperi multinazionali, obbligando gli Stati e le élites dirigenti a cercare un criterio per disegnare i confini, stabilire le sovranità politiche, ripristinare l’autorità dello Stato. La nazione torna e lo fa in maniera imponente e nuova, con l’idea che i popoli debbano autodeterminarsi. E allora le istituzioni dello Stato liberale traballano, mostrano la corda, crollano. Si afferma una nuova fonte di legittimazione, potente, irresistibile, incarnata dal capo carismatico. Le forme della politica si aprono alle masse, il suffragio si amplia come mai prima, sembra che la democrazia sia un orizzonte concretamente possibile. Ma emergono anche culture politiche che si muovono su una prospettiva diversa. La prima ha tracciato la differenza profonda, che marcherà l’intero secolo, conquistando il palazzo d’Inverno di San Pietroburgo. La seconda è l’Italia a mostrarla al mondo, in un marciare violento verso la capitale del regno che verrà imitato altrove da tanti. Il fascismo è la nascita di un modello politico nuovo, capace di rivoluzionare e di conservare allo stesso tempo gli equilibri profondi, di muoversi nell’orizzonte del mito facendo di questo lo strumento politico per il confronto con la realtà. Lo Stato è fatto sintesi suprema in cui riassumere l’uomo nuovo, creazione costruita e pensata come il riferimento per una società che inauguri un tempo mai visto.
A questo scopo sarà richiamato il mito, l’impero, nella sua reminiscenza romana. È avvertita come una necessità, per competere con gli altri paesi, per dar forma all’idea che l’Italia, giovane nella propria unificazione politica, in realtà sia solidamente antica nella sua continuità con la Roma imperiale. Italianità sarà così un capitale politico, la condizione di un primato da ripristinare sulle altre nazioni, ma solo in quell’unica accezione di cui il fascismo si farà portatore unico ed esclusivo. Quello che si avvia, infatti, è un impero di altro segno, che al mito accompagna la concreta realtà della demografia, della razza e dell’italiano nuovo, che guardi alla totalità incarnata dallo Stato come al suo solo orizzonte di senso umano, esistenziale, politico.
La realtà di quell’italianità declinata nel mito della romanitas e rivestita di riferimenti a una potenza superiore di un demos italico non tarderà a manifestarsi nella sua brutale realtà. L’incedere delle truppe italiane nei vari paesi occupati farà emergere forme differenti di italianità, dura, repressiva, che si penserà superiore in termini razziali agli altri, al di fuori dei propri confini nazionali, nelle colonie, e soprattutto all’interno della Penisola, verso gli ebrei. Ci vorrà tempo e fatica per cominciare a guardare dentro la realtà di quell’impero e nell’eredità di quel progetto. L’Italia non avrà un processo di Norimberga, che metta sul banco degli imputati le tante responsabilità criminali. Così, un altro mito, pervicace, degli ‘italiani brava gente’, in fondo incapaci di fare ciò che gli alleati peggiori avevano fatto, rimarrà largamente radicato. Ci vorranno anni, parole altissime e profonde, rivoluzioni negli assetti stantii dei regimi arabi e nordafricani, perché la dura realtà di cosa fu essere italiani nelle terre occupate dal regime venga riconosciuta, ancorché parzialmente.
Eppure anche in quei vent’anni, con tutte le loro chiusure e gli stereotipi vincolanti delle loro rappresentazioni degli altri, italiane e italiani si erano mossi, avevano fatto circolare al di fuori dei confini nazionali e dell’impero un volto diverso di quest’appartenenza nazionale, dirigendo musicisti, tirando di boxe, studiando gli atomi. E la guerra mondiale, che si era incaricata di mostrare la concretezza delle tante povertà all’ombra del mito imperiale, farà emergere anche modi altri di essere italiani. E questo sarà d’aiuto, quando tutto si dovrà ricostruire.

1922

UNA MARCIA,
TANTE MARCE

La marcia su Roma ha segnato senza dubbio un tornante decisivo nella storia d’Italia. Ma rappresentò anche un modello per le destre radicali nel mondo tanto che si provò a replicarne l’esempio da Monaco a Lisbona, da Madrid a Parigi, da Londra a Helsinki.
Quando, nella notte tra il 27 e il 28 ottobre del 1922, i fascisti cominciarono ad avviare le occupazioni di città e lo spostamento di uomini che avrebbero portato alla marcia su Roma, non pensavano senz’altro che la loro azione avrebbe avuto un risalto globale. Innanzitutto, anche se alcune trattative avevano preceduto l’azione, il successo del movimento fascista non era affatto certo. In secondo luogo, se pure il movimento fascista era sorto anche per la difesa degli interessi internazionali dell’Italia, e come reazione alla ‘mutilazione della vittoria’, gli obiettivi del movimento erano tutti legati agli equilibri politici interni del paese. Comunque Mussolini era stato sufficientemente accorto da tastare il terreno anche presso alcuni dei principali attori sulla scena internazionale presenti in Italia, in particolare con l’ambasciatore americano a Roma, per vedere quale sarebbe stata la loro reazione a una presa del potere fascista: evidentemente la risposta era stata sufficientemente rassicurante.
Il successo della marcia non fu una sorpresa; lo fu, invece, l’enorme risonanza che ebbe all’estero. Le principali testate dei giornali europei, e non solo, riportarono la notizia dei fatti italiani con grande evidenza e la marcia su Roma creò importanti aspettative di trasformazione politica in altri contesti europei. In una lettera a Benito Mussolini, l’ambasciatore italiano a Lisbona informava, per esempio, il neo nominato capo del governo che alcuni portoghesi gli avevano immediatamente chiesto informazioni per costituire un partito fascista in Portogallo. L’intellettuale spagnolo Ramiro de Maetzu scriveva poi, nelle pagine de “El Sol”, che la marcia apriva «tutta una serie di possibilità inattese». In quei primi anni Venti, l’avvento al potere del fascismo risuonava nell’immaginazione di politici e intellettuali europei e lasciava in molti di loro un segno profondo, che avrebbe in qualche modo condizionato le loro azioni politiche e il loro modo di guardare gli avvenimenti europei degli anni Venti, e in parte anche degli anni Trenta.
Nel settembre 1923, undici mesi dopo la marcia su Roma, il generale Miguel Primo de Rivera prese il potere con un colpo di Stato: quasi immediatamente riconobbe la sua ammirazione e i suoi debiti nei confronti degli avvenimenti italiani. Anche il sovrano spagnolo, recatosi a Roma alcune settimane dopo l’avvio della dittatura nel suo paese, affermava – forse anche per guadagnare la simpatia del governo italiano – come egli ritenesse il generale De Rivera il «suo Mussolini». Inoltre, proprio in quelle settimane, per contrasto o per assimilazione, molti giornalisti richiamarono la vicinanza, o evidenziarono le differenze tra gli avvenimenti italiani e quelli spagnoli.
L’italiana marcia su Roma ebbe anche un grande impatto sui nazionalisti tedeschi e su Adolf Hitler, leader del partito nazionalsocialista. Essi erano convinti che se gli italiani erano riusciti a rovesciare lo Stato liberale, anche i tedeschi non sarebbero stati da meno, e che la scelta del fascismo indicasse una strada da percorrere anche altrove in Europa, e senz’altro in Germania. Del resto, i mesi tra la marcia su Roma e l’inizio del 1923 furono particolarmente critici per le destre radicali tedesche, che, spinte dalla volontà di rivalsa contro il trattato di Versailles (e dalla firma del trattato da parte della repubblica di Weimar), dalla crisi economica e dall’invasione della Ruhr da parte della Francia, pianificavano complotti e colpi di Stato contro il governo. Questi sentimenti sarebbero stati ulteriormente esacerbati dalla salita al potere del governo Stresemann nell’estate del 1923 e dalla sua volontà di portare la Germania a una stabilizzazione economica e politica, anche cercando di soddisfare le richieste di Versailles, nella speranza di ammorbidirle. Era proprio in risposta a queste politiche, e con l’esperienza italiana in mente, che Adolf Hitler pianificò un colpo di mano su Monaco, con il sostegno anche di una parte del mondo militare e dell’associazionismo paramilitare locale. Non troppo diversamente dal caso italiano, l’anniversario della fine della guerra sarebbe stato il momento di inizio di un colpo di mano che avrebbe dovuto, se vittorioso, portare a una marcia su Berlino e alla fine dell’esperienza di Weimar. Il colpo cominciò con l’assalto a una birreria fuori dal centro di Monaco dove il comandante Kahr, cui era affidato l’ordine pubblico bavarese, stava tenendo un comizio. L’azione proseguì poi con l’occupazione a Monaco dei quartieri generali dell’esercito e di quelli della polizia, ma l’obiettivo finale era Berlino. Un cordone di poliziotti fermò però l’avanzata degli uomini di Hitler verso il ministero della Guerra, provocando la morte di 14 manifestanti e la fine del movimento: i suoi leader furono tratti in arresto. Le pene, tuttavia, non furono rilevanti, visto l’ampio sostegno di cui gli uomini di Hitler godevano nelle istituzioni.
Solo tre anni dopo, il generale Gomes da Costa, insieme ad altri congiurati nell’esercito portoghese, ma anche a leader politici conservatori e nazionalisti, organizzò un colpo di Stato per rovesciare il governo a Lisbona. Il piano per la presa del potere ruotava attorno a una marcia su Lisbona, cui parteciparono militari e civili. Anche qui l’esempio fascista aveva lasciato il suo segno. E se la marcia su Roma non veniva frequentemente richiamata nella stampa portoghese, il nesso con gli eventi italiani, spagnoli e di altri paesi era forte nella stampa internazionale più attenta alla situazione portoghese, che non si accontentava di leggere la presa del potere del 1926 nel segno di una tradizione golpista dell’esercito.
In quello stesso 1926 non mancarono esempi di imitazione dell’esperienza italiana anche in Francia, dove a più riprese il fondatore del Faisceau Georges Valois organizzò alcune manifestazioni di massa, in particolare a Verdun e a Reims, in vista di un movimento più vasto che però fu bloccato dal governo Poincaré. Anche l’Austria provò la sua ‘marcia su Vienna’ nel 1931, a opera della sezione della Stiria del movimento fascista e cattolico Heimwehr. Il tentativo non ebbe successo. In Finlandia si ebbe, all’inizio degli anni Trenta, la marcia su Helsinki. Era in realtà una marcia sui generis che segnava l’apertura della campagna elettorale ed era pensata per forzare la mano al governo, che alla fine contribuì invece alla crescita del movimento, trasformando questo evento in una ‘festa nazionale della destra’. Quell’avvenimento, però, era stato costruito con la consulenza del locale ambasciatore italiano, Attilio Tamaro. In qualche modo anche due eventi chiave del fascismo francese e inglese, la manifestazione e gli scontri del 6 febbraio 1934 e la marcia sull’East London della British Union of Fascists, conclusasi nella battaglia di Cable Street nel 1936, avevano in sé caratteri che facevano risuonare il ricordo della marcia italiana, ma, come molti degli eventi simili, soprattutto degli anni Trenta, le differenze apparivano più notevoli delle somiglianze.
Perché la marcia ebbe un successo così rilevante? Una delle ragioni principali era perché si trattava di un movimento rivoluzionario e insieme conservatore: aveva l’obiettivo di trasformare nel profondo le istituzioni, ma al tempo stesso si muoveva all’interno di un mondo conosciuto; era legittimato dalle istituzioni e rispondeva a un rassicurante principio d’ordine che sembrava garantire continuità in un mondo sconvolto dai cambiamenti messi in moto dal primo conflitto mondiale. Essa, inoltre, proponeva una ritualità e una visibilità dell’azione politica adatta alla volontà di costruzione di movimenti politici di massa: il tempo delle aristocrazie era finito, la mobilitazione del popolo rispondeva alle esigenze di cambiamento e di coinvolgimento di nuovi gruppi sociali, senza che le gerarchie economiche e sociali e i valori tradizionali ne fossero troppo sconvolti.
L’altra domanda che l’influenza della marcia permette di porre è la seguente: perché l’Italia? Nel corso degli anni Venti in particolare, ma in parte anche degli anni Trenta, l’Italia sembrò essere al centro della riflessione politica europea e non solo, e si presentò come un modello. Come poté accadere? Grazie alla guerra, il paese era senz’altro entrato a far parte delle grandi potenze, anche se era evidente che fosse un alleato di secondo piano rispetto a Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Questo aveva alimentato il nazionalismo e il sentimento della ‘vittoria mutilata’, ma al tempo stesso era un elemento di credito per Stati appena formati e che aspiravano a guadagnare un ruolo internazionale superiore a quello che avevano. Questi vedevano nell’Italia una nazione giovane, che negli ultimi decenni aveva vissuto un’importante fase di sviluppo, e l’Italia appariva così un possibile esempio da imitare. Il fascismo permetteva poi di mettere in luce diversa il paese, dal momento che si presentava come un movimento politico nuovo, capace di dare risposte alla classe dirigente nazionale, alle classi medie impoverite, ma anche alle gerarchie cattoliche e a parte dell’universo cattolico spaventati dal liberalismo e ancor di più dal socialismo. Il fascismo e la marcia su Roma dimostravano che esistevano, anche nel campo della ‘modernità politica’, modelli da affermare che garantivano l’ordine e l’integrazione delle masse in un contesto autoritario e tradizionale.
BIBLIOGRAFIA
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Th. Linhean, British Fascism 1918-39. Parties, Ideology and Culture, Manchester 2000.
GIULIA ALBANESE

1926

UN MODELLO
CHIAMATO ‘ARTURO’

Toscanini approda a New York all’inizio de...

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Giardina, A., Betta, E., Donato, M. P., & Feniello, A. (2019). Storia mondiale dell’Italia ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3461761/storia-mondiale-dellitalia-pdf (Original work published 2019)

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Giardina, Andrea, Emmanuel Betta, Maria Pia Donato, and Amedeo Feniello. (2019) 2019. Storia Mondiale Dell’Italia. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3461761/storia-mondiale-dellitalia-pdf.

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Giardina, A. et al. (2019) Storia mondiale dell’Italia. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3461761/storia-mondiale-dellitalia-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Giardina, Andrea et al. Storia Mondiale Dell’Italia. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2019. Web. 15 Oct. 2022.