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Il dramma
«Ea banca me ga tolto tuto», ripeteva. «Me copo». «Non dire così», cercava di fargli coraggio la sorella Giannalisa, «te démo ’na man noialtri». Parole inutili, si è ucciso davvero. Aveva 49 anni, abitava a Schio, si chiamava Giovanni Reghellin. Ex operaio tessile della Marzotto, poi in un’altra azienda che aveva chiuso, infine disoccupato. Ma non povero: in banca aveva 95.000 euro investiti in azioni della Popolare di Vicenza. Risparmi suoi, della madre e di un’altra sorella disabile, con le quali viveva. Quando è andato a ritirare quel po’ di soldi che gli servivano per sistemare la casa e pagare la badante, ha scoperto che le azioni di una società cooperativa non quotata sono “illiquide”. Vile tecnicismo che usano in banca per dire che non si trasformano in denaro sonante a tua richiesta, neanche se ne hai bisogno, neanche se accetti di fartele ripagare sottocosto. Non hanno mercato, o meglio il mercato lo fa la banca. Ma la banca che le aveva emesse incassando il corrispettivo in contanti non le rivoleva più indietro. Come se uno Stato non accettasse più la sua moneta. Possibile?
Il colpo di grazia gliel’ha dato il ribasso, il primo fatto dalla Popolare di Vicenza in 149 anni di vita: l’8 aprile 2015 la quotazione è retrocessa da 62,50 a 48 euro per azione. Eravamo appena all’inizio del calvario, l’azzeramento delle azioni sarebbe arrivato molti mesi dopo, ma a lui è bastato. La sorella e il marito pensavano che fosse andato a fare una passeggiata in montagna, invece penzolava da una trave del fienile. L’hanno trovato la sera dell’8 giugno 2015.
La cronaca di questo suicidio, con la donna che mostra la foto del fratello e racconta che da quel giorno lei e il marito dormono sul divano perché hanno dovuto prendersi in casa i superstiti, la madre di lei e la sorella disabile, arriva sui giornali il 26 giugno 2016. Un anno dopo. Come mai?1
Eh, come mai. Il 2015 è l’anno orribile delle banche ma lo si è capito dopo. È l’inizio di una catastrofe di cui non c’era ancora una percezione precisa in Italia, non solo nel Veneto2. Arrivano per prime ad un punto di cottura Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti. Istituti molto più grossi come il Monte dei Paschi di Siena e la Cassa di Risparmio di Genova annaspano negli aumenti di capitale cui sono costretti dalla Banca centrale europea. Un decreto del governo Renzi ha messo spalle al muro dall’inizio dell’anno le più grosse banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi costringendole a trasformarsi da cooperative in società per azioni. Qualcuna resiste, altre si attrezzano per un doloroso cambiamento, perché significa fine dell’autoreferenzialità. La Popolare di Vicenza e Veneto Banca rientrano a pieno titolo nel decreto Renzi, ma sono terremotate da inchieste giudiziarie, condizionate nelle decisioni. La Guardia di Finanza ha perquisito le sedi, i vertici sono messi sotto accusa, costretti alle dimissioni. È un crescendo di allarmismo e di confusione che si scarica su soci, dipendenti e clienti. Si parla di risparmio tradito, l’apprensione e l’angoscia si diffondono tra migliaia di persone. Finché i comportamenti disperati cominciano ad essere troppi per restare casi singoli, diventano fenomeno sociale.
La vicenda di Giovanni Reghellin riaffiora a traino di un altro suicidio, che avviene a Montebello Vicentino, poco lontano da Schio. Il 16 giugno 2016 Antonio Bedin, 67 anni, si spara un colpo di pistola al petto. Morte che impressiona, perché l’uomo è molto noto: era stato attivista politico, dirigente del Pci. «Sto troppo male», lascia scritto in un biglietto al fratello, «voglio essere cremato, in chiesa niente predica, solo un ringraziamento ai presenti. Tratta bene i cani». Bedin era malato ma era anche titolare di 8.000 azioni della Popolare di Vicenza, che al valore massimo della quotazione significavano mezzo milione di euro. C’è cautela nell’attribuire il suicidio a questo motivo, ma sul suo profilo di risparmiatore frustrato non ci sono dubbi. «Aveva acquistato azioni fin dagli anni Novanta», ricostruisce Renato Bertelle, suo amico e avvocato, «era arrivato a raccoglierne un gran numero. È un esempio di quei risparmiatori fedelissimi alla banca del territorio, che oggi si sentono traditi. Diceva di essere stato ingannato e voleva giustizia». «Ogni volta che sentiva parlare della banca si arrabbiava», aggiunge il fratello3. I giornalisti scavano e scoprono che nell’agosto 2015 a Valli del Pasubio, dieci chilometri da Schio, una donna di 73 anni ha cercato di uccidersi ingoiando farmaci. L’ha salvata la figlia che casualmente era andata a trovarla. Anche qui un biglietto tira in ballo la Popolare di Vicenza: «La banca deve dare tutti i soldi a mio marito a 62,50 euro. Farabutti, delinquenti». «Il funzionario della banca ci diceva che erano investimenti sicuri», racconta la figlia, «così negli anni i miei genitori avevano accumulato 2.413 azioni. I primi sospetti sono venuti nel febbraio 2015 quando hanno chiesto di venderne una parte per aiutarmi economicamente, perché stavo andando a vivere con il mio compagno. La filiale ha risposto che non era possibile, bisognava attendere il consiglio di amministrazione. Ma quando questo si è riunito era ormai troppo tardi. Hanno perso 150.000 euro»4.
Un mese prima a Montecchio Maggiore, grosso centro poco distante da Vicenza, nessuno era arrivato in tempo per impedire la tragedia. Vittima un artigiano di cinquant’anni, con un’officina meccanica, un dipendente, la moglie, un figlio di 15 anni e le spalle coperte da 87.000 euro in azioni della Popolare di Vicenza. Le aveva acquistate nel 2010, mettendoci dentro tutti i risparmi. Quando ha capito che erano persi, il mondo gli è crollato addosso, non ha retto e si è ucciso. I problemi sono rimasti sulle spalle della moglie, Paola Tommasi, e del padre di lei, che viveva con la famigliola e si dava pace meno di tutti: «Mio marito non aveva lasciato neanche un biglietto a me o a mio figlio e mio padre lo ripeteva in continuazione», racconta la donna. «Non riusciva a rassegnarsi e dopo qualche mese è mancato anche lui». Le cronache non dicono come vivono i superstiti. Paola Tommasi era rimasta con 141 euro. «Ho dovuto chiudere la ditta, licenziare il dipendente, vendere l’officina, le macchine. O meglio svendere, perché non sapevo niente. Mio marito lavorava 15 ore al giorno ma era il suo mestiere, non il mio. L’associazione artigiani alla quale era iscritto è preparata nella prassi normale ma non per i casi straordinari, in cui mi trovavo io. Con un figlio di 15 anni bisogna passare dal Tribunale dei minori anche per fare l’inventario delle attrezzature. Ho dovuto arrangiarmi da sola, per tutto». E il ragazzo? «Mio figlio adesso ha 16 anni, fa la terza superiore. Io sono la sua tutrice. Non gli ho detto niente di come è morto suo padre. Me l’ha consigliato anche la psicologa: mi ha detto che è meglio aspettare che sia lui a chiederlo. Quando lo farà, gli dirò che non gli ho detto niente per proteggerlo. Ma penso che sappia già cos’è accaduto, a scuola gli altri ragazzi parlano, l’avrà capito». Perché non chiede aiuto a qualcuno, il Comune, i servizi sociali? «Speravo in qualche aiuto ma non lo chiederò mai, ho paura. Magari pensano che non sono in grado di farcela e con il Tribunale dei minori di mezzo mi tolgono anche mio figlio»5.
«Deme indrìo i me schei»
Sul finire del 2015 «La Tribuna di Treviso», presa d’assalto da interventi di risparmiatori di Veneto Banca, apre una sezione speciale per le mail che arrivano con lo scopo di «raccontare il vero peso sociale, prima ancora che finanziario, della vicenda»6. In quel momento le azioni erano precipitate a 7,30 euro, contro i 39,50 che quotavano nella primavera precedente. Il tonfo scatena la rabbia di migliaia di trevigiani.
«Sono un piccolo risparmiatore e ho investito la mia liquidazione», scrive Giovanni. «Anch’io come molti altri mi sono fidato di Veneto Banca, comprando le azioni. Quando non sono più state staccate le cedole annuali, i funzionari minimizzavano il problema e hanno continuato a farlo anche successivamente, fino a quando è esplosa la bolla. Quello che fa arrabbiare sono i toni ultimativi presenti anche nell’ultima lettera del presidente. Non ho sentito nessuno scusarsi per il casino combinato. Possibile che non ci siano conseguenze penali per questi banditi?».
«Siamo fratello e sorella di una certa età, di cui uno senza lavoro e malato», si legge in una lettera firmata Paolo e Marta. «Avevamo in conto corrente tutti i nostri soldi per un prossimo acquisto di una casa per uno dei miei fratelli, il più sfortunato. In attesa di trovare l’occasione immobiliare cercata, ci è stata proposta la sottoscrizione di obbligazioni al 5% lordo (netto 4%), poi rivelatesi convertibili a discrezione univoca della banca. L’operazione è stata eseguita nel febbraio 2013. Ci avevano ripetutamente spiegato che era un’operazione sicura, ben remunerata e senza pericoli. Non ci hanno mai dato alcun prospetto informativo e per giunta ci hanno fatto firmare, facendo leva sulla fiducia che avevamo nei confronti del nostro consulente (definito “private banker”), una documentazione preparata dallo stesso. Le obbligazioni scadevano il 31-12-2017 solo che in data 01-07-2014 ci hanno convertito tutto in azioni, al valore di euro 39,50 l’una, nonostante le nostre ripetute opposizioni e le richieste di vendere. Noi eravamo certi di avere acquistato “titoli di risparmio” che dovevano dare un buon flusso cedolare, un aiuto per andare avanti, e non “titoli di investimento”. Ora ci troviamo con i nostri risparmi letteralmente in fumo, non abbiamo più nulla. I dirigenti sono tutti spariti».
«Nel 2012 aprivo un conto presso Veneto Banca, dopo aver passato una triste storia con un altro istituto», racconta Mario. «Nel gennaio 2013 vengo convocato dal direttore di filiale che, in sintesi, mi spiega che ci sono delle obbligazioni a un tasso molto buono a patto di diventare socio della banca. Io avevo subìto un trapianto di cornea ed ero impossibilitato a leggere il contratto, sono monoculare e ho tutta la documentazione ospedaliera necessaria per dimostrare quanto sto scrivendo. Lui mi fa firmare alcuni fogli e non mi rilascia nessuna copia, spiegandomi che questa operazione è interna alla banca. Dopo oltre un anno vengo chiamato di nuovo, il direttore mi dice che si era dimenticato di farmi firmare alcune carte per quanto riguardava la mia adesione a socio. Io ancora non riuscivo a leggere, anche se la mia vista era migliorata: gli spiego che di lì a poco mi sarebbe servita liquidità, lui dice che bastava avvisarlo 10 giorni prima per farmi trovare la somma di cui necessitavo. A settembre 2014 chiedo di vendere le azioni e lui, molto gentilmente, mi dice di no, perché stanno facendo i conti nella sede centrale. Chiedo allora di vendere le obbligazioni e lui, tranquillamente, mi dice che non ho obbligazioni ma solo azioni perché nel frattempo sono state convertite dalla banca in azioni. Non ho la possibilità di affrontare spese per una causa, mi sono rivolto ad un movimento consumatori ma ancora non so niente».
Samuela: «Faccio l’agente di viaggio e per poter lavorare ho necessità di avere una carta di credito con un plafond alto. Per ottenerlo ho dovuto acquistare obbligazioni di Veneto Banca, dove mi hanno assicurato (verbalmente ovvio) che il capitale era garantito. Non sapevano quale fosse stato il guadagno, ma sul capitale garantito erano sicuri. A quel tempo sottolineai che avrei preferito tenere una somma bloccata sul conto, piuttosto che acquistare obbligazioni, ma non c’è stato nulla da fare. Se volevo utilizzare la carta di credito l’unica soluzione era accettare le loro condizioni. Mi resi conto immediatamente che si trattava di un sopruso, ma avevo bisogno di lavorare e mi sono dovuta adeguare alle loro richieste. Oggi mi ritrovo ad affrontare i quotidiani problemi di lavoro e di sopravvivenza senza alcun entusiasmo, ma con un profondo disgusto per tutta la classe politica e i vertici delle istituzioni che con la loro avidità offendono la dignità ed il lavoro delle persone oneste».
«Avevo un profilo basso», si legge in una mail firmata “signora F.”, «e di punto in bianco mi sono trovata ad alto rischio. Come può essere successo? La gentilissima impiegata mi metteva i fogli da firmare in mezzo ad altri, senza farmeli leggere, dicendo che non serviva. Quando ho scoperto tutto questo? Quando a giugno sono andata in banca a ritirare dei soldi per rifare l’impianto dei denti. Adesso porto la dentiera perché l’impianto non me lo posso permettere. Loro invece le ville, i grandi alberghi, stuoli di avvocati, con i miei, anzi i nostr...