Guida alla lettura delle «Meditazioni metafisiche» di Descartes
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Guida alla lettura delle «Meditazioni metafisiche» di Descartes

Emanuela Scribano

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Guida alla lettura delle «Meditazioni metafisiche» di Descartes

Emanuela Scribano

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I classici della storia del pensiero sono oggetto di un continuo lavoro di interpretazione. Le Meditazioni metafisiche di Descartes non fanno eccezione a questa regola e si sono rivelate nel tempo uno dei testi più amati e più frequentati dagli studiosi del pensiero moderno.Il volume ricostruisce la genesi storica delle Meditazioni metafisiche di Descartes e fornisce una trattazione analitica delle tematiche in esse affrontate. Viene poi approfonditamente esaminato l'influsso esercitato dalle Meditazioni sulla storia del pensiero filosofico. Conclude l'opera una bibliografia dettagliata ed esauriente. La nuova edizione tiene conto dei contributi della critica degli ultimi dieci anni e dell'evoluzione che l'interpretazione del testo ha subito nella lettura della stessa autrice. Uno strumento essenziale per tutti i corsi universitari in cui si affronta l'opera di Descartes e per tutti coloro che ne vogliono approfondire il pensiero.

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Information

Year
2018
ISBN
9788858134337

Capitolo terzo.
Analisi dell’opera

1. IL DUBBIO, L’INDUBITABILE E IL VERO

La prima Meditazione si apre annunciando l’intenzione di ricercare un fondamento fermo e durevole nelle scienze. Questo fondamento non potrà essere individuato all’interno delle opinioni finora ritenute vere, perché l’esperienza ha spesso dimostrato che la forza del pregiudizio impone come assolutamente certe opinioni che, in seguito, si sono invece rivelate false. Per individuare una base solida su cui edificare il sapere, è necessario utilizzare un criterio in base al quale discriminare tra le credenze assunte nel corso della vita. Questo criterio è l’indubitabilità.

1.1. Il dubbio come metodo

Il progetto cartesiano di fondazione della scienza si propone di eliminare tutte le opinioni che siano passibili di dubbio, alla ricerca di un nucleo di proposizioni indubitabili sulle quali sia possibile costruire l’edificio di una scienza non più rivedibile. Lo scetticismo, in questa impresa, è, da un lato, il nemico da sconfiggere, e, dall’altro, l’alleato sulle cui esigenze misurare la tenuta delle credenze accettate acriticamente durante la vita. Nel riassunto delle Meditazioni Descartes sottolinea la duplice funzione del dubbio: da un lato, il dubbio deve servire a liberare la mente dai pregiudizi e, dall’altro, deve eliminare la possibilità di dubitare ulteriormente di quel che si scoprirà essere vero: «l’utilità di un dubbio così generale (...) è grandissima in questo, che quel dubbio ci libera da ogni sorta di pregiudizi, (...) e (...), grazie ad esso, non potremo più avere alcun altro dubbio su quel che scopriremo in appresso esser vero» (p. 13). Se, avendo tentato di porre in dubbio, secondo l’insegnamento dello scetticismo, ogni credenza, si troverà che una o più credenze risultano indubitabili, si sarà trovata la base per la costruzione di una scienza certa.
Il dubbio cartesiano è dunque finalizzato alla ricerca dell’indubitabile. L’indubitabile che Descartes ricerca non deve intendersi in senso psicologico, come ciò di cui non si riesce a dubitare, ma in senso normativo, come ciò che non è passibile del «menomo motivo di dubbio» (p. 16). Il che vuol dire che è sufficiente un motivo di dubbio anche sottile e lontano dal senso comune per mettere in discussione le proprie certezze, ma che, d’altro canto, un motivo di dubbio vero, ossia almeno pensabile, deve sempre esserci per poter dubitare. Due ipotesi sono escluse: quella di accontentarsi di una alta probabilità, ma anche quella di un dubitare indefinito, se immotivato e gratuito. È questo il vincolo e la sfida che Descartes pone allo scetticismo: lo scettico, per essere degno di attenzione, deve proporre ragioni che giustifichino il dubbio.
Attraverso la prova del dubbio, Descartes non si accontenta di sottolineare l’incertezza di tutta una classe di credenze ma pretende che, a causa di questa incertezza, tali credenze debbano essere tutte respinte come false. Il dubbio è «iperbolico» perché trasforma la dubitabilità in un giudizio di falsità. In questo modo, l’esercizio del dubbio è utilizzato per una temporanea messa in parentesi di tutte le opinioni che hanno finora occupato la mente. La richiesta cartesiana di trasformare in negazione il dubbio può essere soddisfatta grazie alla particolare struttura del giudizio, che Descartes teorizzerà solo nella quarta Meditazione. Secondo Descartes, l’assenso ad una proposizione è sempre volontario. L’intelletto si limita a ospitare le idee e la relazione tra le idee, mentre il valore di verità di questa relazione (se il bastone immerso nell’acqua che appare spezzato lo sia veramente o che 2+2 sia uguale a 4) è opera della volontà. Ora, in un solo caso la volontà si pronuncia necessariamente, ovvero quando la relazione tra i concetti che compongono una proposizione è necessaria. Ad esempio, è impossibile negare che 2 + 3 faccia 5, perché la negazione di questa relazione implica contraddizione. In tutti gli altri casi, la volontà ha il potere di affermare, negare o sospendere il giudizio. Se il contenuto di una proposizione è dubbio, la volontà rimane libera, e può, invece che adeguarsi con una sospensione del giudizio al contenuto dubbio della proposizione, negare e rifiutare come falso quel contenuto. A chi negasse un tale potere alla volontà, e sostenesse che il massimo che la volontà può fare è di giudicare dubbie le relazioni non necessarie tra le idee ospitate dall’intelletto, Descartes può controbattere che la libertà della volontà rispetto al contenuto dell’intelletto è già dimostrata dal fatto che, finora, quegli stessi contenuti, pur dubbi, sono stati giudicati veri in forza dei pregiudizi dei sensi, superando così liberamente – e arbitrariamente – il dato fornito dall’intelletto. Si tratta di compiere ora una scelta opposta, ma possibile per la stessa ragione per cui finora è stato possibile giudicare vero quel che era solo probabile. Si tratta cioè di vincere un arbitrio, quello con cui la volontà ha dato l’assenso a relazioni probabili, con un altro arbitrio, quello con il quale la volontà sceglie ora di dichiarare false le relazioni probabili. Il dubbio cartesiano è il risultato di una scelta libera rispetto ai dati offerti dall’intelletto: «lo spirito (...), usando della sua propria libertà, suppone che tutte le cose, della cui esistenza è possibile anche il menomo dubbio, non esistano» (p. 13).
Se la volontà si adeguasse alla percezione dell’intelletto, e non usasse della sua libertà, non riuscirebbe mai nell’impresa di liberarsi dai pregiudizi, poiché le «antiche e ordinarie opinioni» sono infine probabili, e terrebbero quindi incatenato l’intelletto con la forza della loro verosimiglianza: «Ed io non mi disabituerò mai di aderire loro e di aver confidenza in esse, finché le considererò quali sono in effetti, cioè in qualche modo dubbie, come testé ho mostrato, e tuttavia probabilissime, di guisa che si ha molto più ragione di credervi che di negarle. Ecco perché io penso di farne un uso più prudente, se, prendendo un partito contrario, impiego tutte le mie cure ad ingannare me stesso, fingendo che tutti questi pensieri siano falsi e immaginari» (p. 17). Grazie alla decisione di trasformare in negazione tutti i giudizi dubbi, la mente crea uno spazio temporaneamente sgombro dai pregiudizi e comunque da ogni precedente credenza, nel quale può svolgersi il progetto di ricerca dell’indubitabile.
La decisione di giudicare falso tutto quello sulla cui verità sussiste un motivo di dubbio stabilisce, per opposizione, il criterio del vero: quel che non è passibile di alcun motivo pensabile di dubbio è vero. Il vero e il falso sono le uniche categorie che Descartes ammette, e che il dubbio discrimina. L’artificio metodologico di giudicare temporaneamente falsa ogni opinione dubitabile rivela subito i confini della ricerca cartesiana. Non c’è alcun interesse per scienze probabili o verosimili: quel che si ricerca è solo la vera scienza.

1.2. L’oggetto del dubbio

Nel riassunto premesso alle Meditazioni, Descartes chiarisce che il dubbio verte principalmente sulle cose materiali: «espongo le ragioni per le quali possiamo dubitare generalmente di tutte le cose, e particolarmente delle cose materiali» (p. 13). È delle cose materiali, infatti, che si vuole acquistare la scienza perfettissima. Per questo scopo, Descartes si prefigge di mettere in discussione le credenze precedentemente assunte, saggiando la consistenza del principio al quale esse fanno tutte capo, ossia che «il sapere più vero e sicuro» deriva dai sensi. Il progetto cartesiano mira, in primo luogo, a mettere in discussione, per distruggerla, ogni scienza che, come quella aristotelica, sia costruita sulla generalizzazione dei dati sensibili, e, in secondo luogo, a mettere alla prova la scienza cartesiana già strutturata secondo la matematizzazione del mondo, e quindi prescindendo dai dati della sensibilità.
Per combattere la scienza aristotelica che, secondo Descartes, non è altro che la sistematizzazione colta delle credenze spontanee e ingenue del senso comune, sono sufficienti gli argomenti che lo scetticismo classico ha accumulato contro la certezza della conoscenza sensibile, sia in quanto essa pretende di attestare l’esistenza dei corpi esterni, sia in quanto pretende di fornire elementi per conoscerne la natura.
Le credenze fondate sull’esperienza sono affrontate con successive ondate di dubbio nelle quali l’andamento meditativo del testo risulta particolarmente evidente. Il soggetto si sdoppia in un «io meditante» e in un «vecchio io», e tra queste due figure si instaura un incalzante dialogo nel quale l’io meditante, che ha deciso di mettere in questione tutto il sapere del passato, sottopone al vecchio io, tutto immerso nei pregiudizi e resistente ad abbandonarli, una serie di ragioni per mettere in dubbio l’affidabilità del sapere che proviene dai sensi. Il vecchio io, a sua volta, cerca di controbattere alle ragioni di dubbio che minacciano le sue certezze, e, ad ogni ondata vittoriosa dell’attacco dell’io meditante, tenta di arroccarsi su una posizione più arretrata, ma che individui ancora un livello di certezza nella conoscenza derivata dai sensi.
In primo luogo, il meditante invoca l’esperienza comune degli inganni dei sensi: i sensi talvolta ci ingannano, e quindi è meglio respingere ogni fiducia nella conoscenza che si fonda su di essi: «Tutto ciò che ho ammesso fino ad ora come il sapere più vero e sicuro, l’ho appreso dai sensi, o per mezzo dei sensi: ora, ho qualche volta provato che questi sensi erano ingannatori, ed è regola di prudenza non fidarsi mai interamente di quelli che ci hanno una volta ingannati» (p. 18). Tuttavia, replica il vecchio io, l’inganno dei sensi potrebb...

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