26 gennaio 1994
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26 gennaio 1994

Antonio Gibelli

  1. 272 pages
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26 gennaio 1994

Antonio Gibelli

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Nove minuti. In nove minuti si condensa un passaggio chiave della storia italiana, definito di volta in volta come transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica, o dalla 'repubblica dei partiti' all'epoca dei movimenti dominati da leader carismatici e improntati alla 'demagogia'. Da questo momento il sistema politico italiano cessa di essere quello che è stato per circa mezzo secolo. Gli stessi fondamenti etico-politici dell'Italia repubblicana nata dalla tragedia della seconda guerra mondiale, dal crollo del regime fascista e dalla Resistenza sembrano per la prima volta messi in discussione alla radice, oscurati se non proprio manomessi.

Alle 17.30 del 26 gennaio 1994, Silvio Berlusconi fa la sua apparizione sugli schermi tv attraverso una delle tre grandi reti di sua proprietà. Esibendo un sorriso affabile, seduto dietro una scrivania, sullo sfondo una libreria con foto di famiglia, pronuncia un appello rivolto a tutti gli italiani. Il discorso dura circa 9 minuti e 30 secondi. Oltre 26 milioni di telespettatori sono raggiunti dal messaggio. È l'esordio di un terremoto politico. Di lì a poco l'imprenditore lombardo, proprietario di una mitica squadra di calcio e padrone di mezzo sistema televisivo, conquisterà la maggioranza parlamentare, divenendo capo del governo. Quella del 26 gennaio 1994 non è stata una battaglia campale, non la deposizione di un despota o una dichiarazione di guerra, un regicidio o il passaggio da una monarchia a una repubblica. Formalmente neppure un colpo di Stato. Nelle ore cruciali che qui ricostruiamo non si muovono truppe, non si decapitano condottieri, non si firmano patti: si definiscono gli sfondi di un set, i minuti e i secondi di un passaggio sugli schermi televisivi. Nondimeno, con quell'apparizione comincia una nuova era, che ha caratterizzato la storia dei sistemi politici. Una forma sfigurata e truccata di democrazia, che gli antichi chiamavano demagogia e taluni chiamano oggi populismo dell'audience: dominio di leader che pretendono di essere l'incarnazione del popolo e tendono all'esercizio di un potere affidato alla comunicazione semplificata e istantanea dei media di massa. Dalla tv ai social.

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Information

Year
2018
ISBN
9788858134368

II.
Un fantasma si aggira

1. La voce dell’innocenza

L’anno che precede il grande annuncio è disseminato di spie: indizi allora indecifrabili, oggi perfettamente chiari di quel che covava sotto la cenere. Il primo, destinato a rimanere oscuro fino a eventi compiuti, è quello manifestatosi in un giorno di marzo del 1993. Ce ne informa tra gli altri il «Corriere della Sera»1:
Piano piano stanno tappezzando in questi giorni i muri di tutta Milano. Sono i visi di dieci paffuti bambinoni dall’aria innocente e pacioccona. Ce n’è uno che ha lo sguardo un po’ confuso di chi s’è appena ripreso dalla nanna, mentre un altro, rovesciatosi la scodella di spaghetti sulla testa, sembra voler chiedere perdono dell’infantile marachella. Il loro messaggio? Sintetico: «Fozza, Itaia». L’uso della lingua, come si vede, non è ancora perfezionato a puntino. Le idee, comunque, sono abbastanza chiare, anche se presumibilmente si tratta di soggetti più a contatto con le problematiche del ciuccio e della pappa che con quelle dell’attuale marasma sociopolitico. Sul significato recondito dello slogan s’interrogano invece dubbiosi i passanti. Una curiosa campagna per lanciare l’ultimo prodotto di Chicco o di Prenatal? Oppure l’ultima provocazione di Benetton? Così, suscitando qualche comprensibile incertezza di carattere interpretativo, è partita la nuova campagna pubblicitaria della Fispe, la Federazione italiana sviluppo pubblicità esterna.
La campagna è massiccia e si dispiega su tutto il territorio nazionale, quindi comporta un investimento economico notevole. Si tratta – secondo una fonte successiva – di 11.300 poster murali, 11.000 cartelloni su tram e autobus, 3.000 pannelli nelle stazioni di servizio2. Stando alle spiegazioni fornite al momento, è volta alla difesa degli spazi pubblicitari esterni minacciati da nuove regole del codice della strada. Lo riferisce a sua volta «la Repubblica»3:
Ma che cosa promuovono quei dieci bambini under three che sorridono, ammiccano, strizzano gli occhi, fanno smorfie dalle fiancate degli autobus, dai tabelloni giganti, da poster metropolitani 6 metri per 3? Ancora una volta la pubblicità fa pubblicità a se stessa, in questo caso ai suoi spazi all’aperto, messi in pericolo dal nuovo codice della strada. Si tratta della più grande campagna mai realizzata per promuovere le affissioni, «la più grande pubblicità esterna mai realizzata al mondo». Scopo dell’operazione modificare quelle nuove regole del codice che cancellerebbero l’80-90 per cento della cartellonistica mettendo a rischio 25 mila posti di lavoro.
La spiegazione non convince del tutto anche perché le dichiarazioni del presidente della Fispe sulle ragioni della scelta si allargano allo stato d’animo del Paese dopo Tangentopoli, alludono a una condizione di disorientamento e sfiducia che occorrerebbe sconfiggere e quindi alla necessità di lanciare un messaggio di ottimismo:
«C’è venuto spontaneo e immediato il pensiero di lanciare un messaggio ottimista al paese, un invito a tener duro e ad andare avanti anche in questo momento di generale demoralizzazione», spiega Marco Testa [...] «Ci siamo posti una domanda: chi può oggi lanciare un messaggio ottimista al paese? La risposta è stata immediata: o la voce più autorevole, una voce super partes, come ad esempio quella del presidente della Repubblica, o la voce più pura ed onesta, quella dei bambini. Devo confessare che abbiamo fatto un tentativo per offrire al presidente questa grande affissione per parlare agli italiani, ma considerando il periodo particolarmente delicato, abbiamo ricevuto un gentile rifiuto. Abbiamo quindi puntato sui bambini»4.
C’è qualcosa che suona strano in questa ricostruzione. Se si tratta di difendere degli spazi pubblicitari, com’è possibile pensare di coinvolgere la massima carica dello Stato? E perché questa difesa pur legittima di interessi privati viene associata al progetto di un messaggio generale al Paese, per giunta lanciato da una figura autorevole, super partes, come si richiede nel caso di un solenne messaggio politico-istituzionale? A chi può essere venuto in mente di usare il presidente della Repubblica come icona di una campagna mediatica di questo genere? Cosa significa questa mescolanza tra pubblicità commerciale e potere politico? Sono associazioni e sospetti che oggi risultano perfettamente evidenti, allora sarebbero apparsi ingiustificati alla luce delle poche informazioni circolanti sui segreti preparativi del magnate. Secondo ricostruzioni accreditate, l’idea di una forza politica denominata «Forza Italia» è «covata fin dal 1992» ma non si può dire matura che nell’aprile del 1993, viene pianificata solo in giugno e diventa pubblica il 29 di quel mese quando
uomini vicini a Berlusconi (Marcello Dell’Utri, Cesare Previti, Antonio Martino, Mario Valducci) costituiscono l’«Associazione per il buon governo» presso lo studio del notaio Roveda a Milano. Le nove sezioni tematiche dell’Associazione raccolte in un libretto (Alla Ricerca del Buongoverno) diventano «riferimento ideologico» dei nascenti club di Forza Italia. Il 6 settembre Berlusconi inaugura il primo. Il 25 novembre viene fondata a Milano da Angelo Codignoni, ex direttore di La Cinq, il network francese di Fininvest, l’Associazione nazionale del [dei?] Club di Forza Italia5.
Solo molto dopo sono comparse testimonianze provenienti dall’interno dell’ambiente berlusconiano che retrodatano precisamente al 30 marzo «il primo indizio chiaro della volontà di Berlusconi di creare un partito»6. Ma a quella data nessuno al di fuori di quell’ambiente sapeva nulla di quei progetti, né conosceva «Forza Italia» come nome del futuro partito né poteva immaginare che proprio questo ci fosse dietro la campagna pubblicitaria, anche se – stando a una testimonianza – avrebbe dovuto porre qualche sospetto la lettura della sigla Publitalia ’80 (la concessionaria di pubblicità fondata e presieduta da Berlusconi) nell’angolo in basso a destra dei cartelloni e dei pannelli7.
Bisognerà attendere circa un anno, e precisamente l’aperta irruzione e lo sfondamento di Berlusconi nella vita politica, per svelare il mistero di quelle voci infantili o almeno per fare su di esse un’ipotesi attendibile.
«Erano prove tecniche per la formazione di un partito: nessuno aveva capito che cosa propagandassero, un anno fa, quei 10 paffuti ragazzini che da migliaia di cartelloni gridavano ‘Fozza Itaia’. Ora, siccome sono convinto da altri indizi che Berlusconi aveva in mente da tempo il suo ingresso in politica, tutto mi è più chiaro». Bastò una «erre» al posto della prima «zeta», più una «elle» e, oplà, l’Italia, anzi «Forza Italia» fu fatta. Berlusconi è andato al potere grazie a uno slogan storpiato dai bambini? Ecco un anno dopo rivelato l’arcano segreto che ha dato la vittoria al Cavaliere. La scoperta, con il beneficio del dubbio, è di Franco Bassanini, 53 anni, milanese (e milanista), deputato Pds8.
Una forma di propaganda politica subliminale e anticipata, insomma, che usava modelli e strumenti della pubblicità commerciale, che si affidava alla curiosità su un prodotto sconosciuto atteso sul mercato. Ma perché adottare l’immagine dei bambini e la relativa storpiatura delle parole? A prima vista si tratta di un espediente classico della pubblicità: il ricorso all’immagine di un cucciolo. «Che sia cucciolo di cane (carinissimo mentre srotola la carta igienica), o cucciolo d’uomo (hai visto come mangia lo yogurt?) non importa, quel che conta è che catturi l’attenzione, faccia tenerezza»9.
È dall’inizio del secolo che bambine e bambini hanno cominciato a essere usati in questo modo, per suscitare sentimenti di affettuoso e compiaciuto divertimento intorno a prodotti del nuovo mercato, dai ricostituenti agli articoli per l’igiene ai giocattoli: un uso che si è intensificato fino a divenire parossistico nella propaganda di guerra durante il primo conflitto mondiale. In quegli anni i bambini sono stati fotografati accanto ai proiettili degli obici per misurarne l’altezza e celebrare la potenza delle acciaierie, sono stati rappresentati da famosi cartellonisti a sventolare bandiere, a sognare imprese eroiche, a indossare berretti militari incamminandosi verso il fronte quando ancora non hanno finito di succhiare il latte materno. Vittime della barbarie nei territori occupati, hanno contribuito potentemente alla costruzione dell’immagine del nemico. Orfani di padri combattenti, hanno drenato risorse per i prestiti di guerra. Icona dal richiamo irresistibile, hanno conquistato gli spazi pubblicitari e propagandistici dell’immaginario occupandoli per tutto il secolo, in pace e in guerra10.
Ma non si tratta solo di questo. Alla luce della storia successiva, possiamo interpretare la comparsa in forze dei bambini sui muri e sulle fiancate degli autobus nel pieno della crisi politica italiana degli anni Novanta anche come indizio di una speciale strategia comunicativa. Come si vedrà presto, nell’ottica politico-pubblicitaria e televisiva di Berlusconi, bambini e adolescenti sono strumenti ma sono anche un target. Sono il modello del pubblico a cui si rivolge per trovare ascoltatori, fan e seguaci: un pubblico di massa indistinguibile di adulti e minori in grado di comprendere e di apprezzare il suo linguaggio come comprendono e apprezzano l’eloquio semplice e accattivante di Mike Bongiorno. Se lo capiscono loro, lo capiscono tutti. Sta qui la chiave di volta di quella destrutturazione del linguaggio della politica che sarà parte cospicua del suo successo. Come dirà nel corso di un dibattito alla fine del 2004 e in altre occasioni: «Uno studio corrente dice che la media del pubblico rappresenta [sic] l’evoluzione mentale di un ragazzo che fa la seconda media e che non sta nemmeno seduto nel primo banco»11. Di qui l’imperativo metodicamente applicato di inseguire questi standard di comprensione con un linguaggio adeguato, insomma di parlare a un popolo bambino12: «Qualcu...

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