Tattoo & Piercing
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Tattoo & Piercing

L'arte dietro la professione

Marta Inkedsoul

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  1. 280 pages
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Tattoo & Piercing

L'arte dietro la professione

Marta Inkedsoul

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Tattoo & Piercing. L'arte dietro la professione offre una panoramica completa e dettagliata sul mondo del tatuaggio inteso come forma ed espressione artistica.Le cinque parti in cui è organizzato il volume affrontano non solo la tradizione millenaria della body art – con capitoli dedicati anche al piercing e al trucco permanente –, le nuove normative e le tecniche di esecuzione, ma anche gli aspetti biologici e legali.Approfondendo i vari stili di tatuaggio e il loro mutamento, il lettore è introdotto all'evoluzione di questa pratica da forma rituale a espressione artistica. Inoltre, avvalendosi di numerose immagini e fotografie, il volume guida verso la consapevolezza che l'arte si può manifestare in svariate forme e, quindi, anche sulla nostra pelle.Nonostante affronti con rigore gli argomenti oggetto dell'esame di abilitazione alla professione di tatuatore, obbligatorio in Italia, il testo non si rivolge solo a tatuatori e aspiranti tali, ma anche a tutti gli appassionati che desiderano approfondire la conoscenza di questo magnifico mondo.Arricchiscono l'opera le finestre di approfondimento, i test e le interviste a due tra i più noti tatuatori a livello mondiale, Thomas Carli Jarlier e Matteo Pasqualin.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2022
ISBN
9788836008735
Topic
Arte
Subtopic
Arte general
Parte prima
IL TATUAGGIO
La storia del tatuaggio
La macchinetta
Gli aghi, le cartucce e i grip
La figura del tatuatore professionale
L’evoluzione dei colori
La cura del tatuaggio
L’importanza del disegno nel tatuaggio
Come affrontare un tatuaggio
Gli stili e le tecniche
La storia del tatuaggio
La storia del tatuaggio ci mostra come si sia partiti da un tipo di esecuzione che era rituale ma elitaria, per poi arrivare fino all’era moderna dove tutti possono ormai tatuarsi e, forse proprio per questo, si tatuano senza un vero senso, o meglio per puro senso estetico. «Mi faccio questo tatuaggio perché mi piace, perché mi sta bene, perché valorizza il mio corpo…». È la prova di quanto le epoche cambino il nostro modo di percepire e di affrontare riti di passaggio, esperienze, visioni di noi stessi. Ogni cambiamento porta con sé un’evoluzione, che si riflette sulla società in modo netto e inconfutabile. In questo libro passeremo attraverso le varie epoche, analizzando come la figura del tatuatore – ma anche la realizzazione dell’opera stessa, delle tecniche, dei materiali – siano cambiati radicalmente. Il tatuaggio è arte su pelle e come tale vive mutamenti, miglioramenti, cambi di direzione. Ogni piccolo cambiamento verrà analizzato non solo in termini di tempo ma anche di luogo. Tutto il mondo ha conosciuto e conosce quest’arte, e in ogni continente si vivono influenze diverse e si raggiungono differenti obiettivi. Lo studio di queste caratteristiche e mutamenti è necessario per comprendere il presente e investire in modo intelligente sul futuro. Ogni tatuatore può fare la differenza, ognuno di voi può essere ispirato a tal punto da riuscire a creare nuove forme d’arte, introducendo nella storia nuovi capitoli. Noi ci crediamo, fatelo anche voi.
Approfondiremo dunque le origini dell’arte del tatuaggio, individuandone le testimonianze nei vari continenti, così da comprenderne a fondo la nascita e lo sviluppo. Con un balzo temporale andremo poi a indagare la rinascita di quest’arte, la sua evoluzione in quello che viene considerato il «tatuaggio moderno» e relativa contestualizzazione. La storia antica, per quanto sembri assurdo, porta segni tangibili di quest’arte e, se come segugi se ne seguono le tracce, si possono trovare riscontri in ogni epoca. Ma il tatuaggio non ha a che fare solo con la storia, si constata la sua importanza anche nelle tradizioni, nelle relazioni sociali, nelle convenzioni, tanto da assumere una rilevanza sociologica che non tutti gli odierni tatuati comprendono.
Il filosofo Tucidide disse: «Bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro». Seguendo questo ragionamento ho provato a fornire una panoramica completa e quanto più possibile esaustiva su ciò che immagino abbiate scelto (o vorreste scegliere) come professione, e su come quest’arte si sia evoluta e sia divenuta importante per una moltitudine di individui.
L’origine e l’evoluzione del tatuaggio nei vari continenti
Il 19 settembre 1991 sulle Alpi Venoste viene ritrovato, da una coppia di escursionisti tedeschi, un uomo mummificato – poi chiamato «mummia di Similaun» dal ghiacciaio ai piedi del quale avvenne il ritrovamento – che appare subito particolare per le decorazioni incise sulla pelle. Dopo attenta analisi, anche attraverso moderne attrezzature e riprese multispettrali, le decorazioni vengono classificate come tatuaggi, per un totale di 61, divisi in 19 gruppi.
Si pensa che il corpo abbia circa 5000 anni, vissuto cioè tra il 3300 e il 3100 aC nell’Età del rame, che avesse al momento del decesso un’età compresa tra i 40 e i 50 anni, e che fosse un guerriero perché intorno a lui vennero ritrovati oggetti rituali legati alla battaglia. Il decesso era avvenuto in seguito a una ferita per una freccia e, attraverso l’analisi del DNA, è stato possibile appurare che non aveva eredi. Lo studio su questa mummia è stato condotto in modo così approfondito poiché confuta un’ideologia molto radicata nella disciplina cinese dell’agopuntura: si pensava che questa disciplina non fosse mai stata praticata prima del 2000 aC, ma il ritrovamento dell’uomo di Similaun lo smentisce. I tatuaggi sulla pelle della mummia, infatti, per la maggior parte rappresentati da punti, linee e crocette, si trovano a coincidere con le linee ancora tutt’oggi utilizzate nell’agopuntura, cosa che appunto fa presupporre un’applicazione più antica di questa disciplina. Tuttavia è plausibile credere che, essendo i tatuaggi collocati in zone soggette a forte artrite, fossero stati applicati a fini magici più che prettamente curativi, una sorta di totem per scacciare il dolore. Le incisioni erano riempite da carbone vegetale, fatto penetrare a differenti strati di profondità della pelle. Tutto questo fa dell’uomo di Similaun, chiamato Otzi, il primo testimone vivente dei tatuaggi su pelle umana. Otzi è oggi custodito nel Museo Archeologico dell’Alto Adige a Bolzano.
Ci sono varie teorie sull’etimologia della parola tatuaggio, alcune simili, altre discordanti, e ciò probabilmente perché ogni continente vorrebbe attribuirsi il merito della scoperta di quest’ affascinante arte. Gli europeisti affermano che dobbiamo questo termine all’esploratore inglese James Cook che, al ritorno dalle isole Thaitiane, lo coniò in rimando al suono onomatopeico tau tau del martelletto di legno che sbatte ripetutamente sull’ago per l’incisione, per poi divenire tattow fino al moderno tattoo. Un’altra interpretazione viene dall’etimologia polinesiana che vede la locuzione ta con il significato di «motivo inciso sulla pelle» e atua come «spirito».
Il tatuaggio esotico è dunque arrivato in Europa attraverso le esplorazioni geografiche, molte a opera del già citato capitano Cook. Fu lui a condurre i primi indigeni tatuatori dalle isole Marchesi alla corte inglese presentandoli come nobili e affascinando i reali della corona al punto che vollero provare l’esperienza e diffonderla in tutte le corti europee (anche grazie all’affermarsi delle macchine fotografiche). Il fotografo Felice Beato in particolare, utilizzando la tecnica della colorazione a mano, divenne famoso per numerosi scatti a individui nudi, molto tatuati, con i soli genitali coperti da uno straccio bianco, chiamato happy. Mentre era ancora duca di York, il futuro re Giorgio V si fece tatuare un dragone, istillando anche nel fratello la stessa passione. Famoso per i suoi tatuaggi divenne inoltre lo Zar Nicola di Russia, che aveva a sua volta scelto come soggetto un dragone giapponese. Molte di queste foto sono conservate a Firenze, nell’archivio fotografico dell’Istituto Geografico Militare, e in Francia, al Museo Nicéphore Niépce di Chalon sur Saone.
I tatuatori che fecero strada, soprattutto all’interno dell’aristocrazia, furono Tom Riley, Sutherland Macdonald e George Burchett. Il primo tatuatore professionista inglese fu Purdy, che aprì a Londra nel quartiere di Holloway uno studio nel 1870 rifacendosi allo stile americano e giapponese, miscelati probabilmente grazie al maestro Horicho. Costui fu il primo a insegnare l’arte del tatuaggio giapponese in Occidente, costretto a lasciare il Giappone dopo essere stato accusato per il tatuaggio – lì allora illegale (fino al 1945) – fatto a un nobile samurai. Si era recato allora a New York, ospite del miliardario Max Bandel, tatuato in precedenza a Yokoama. Pochi anni prima, nel 1860, fu la Francia a vietare la pratica dei tatuaggi, portando alla chiusura della maggior parte dei tattoo shop che erano nati.
Nella storia europea sono svariate le connotazioni attribuite ai tatuaggi, ne veniamo a conoscenza anche grazie agli scritti di Erodoto e del geografo Strabone, che narrano dell’esistenza di popolazioni barbare, nomadi e tatuate. Popolazioni come Kurgan, Sciti, Traci, Britanni e Pitti, per esempio, li utilizzavano, anche sotto forma di pitture indelebili, per intimidire gli avversari in battaglia. Sono state rinvenute evidenze – in pitture greche, corpi mummificati e riproduzioni antropomorfe – di donne guerriere che al pari degli uomini erano tatuate. Inutile dire che i canoni di bellezza di queste popolazioni erano all’opposto dei classici ideali imperialisti di pulizia e perfezione. Bisogna anche tener presente che, trattandosi di popolazioni nomadi e dunque impossibilitate a trasportare molti oggetti con sè, il tatuaggio diventava un perfetto veicolo per tramandare storie, imprese vissute e rango sociale. Più tatuaggi andavano a significare una maggiore importanza nella scala sociale e potevano inoltre rappresentare culti di sangue e abilità magiche, come nel caso dei volti tatuati delle donne trace.
Foto d’epoca di un uomo australiano con tatuaggi
Nell’attuale Europa dell’Est sono svariate le testimonianze di tatuaggi, soprattutto femminili, nell’insediamento neolitico Cucuteni-Trypillar (Romania – Ucraina), dove statuette decorate di losanghe, triangoli e spirali, fino al total body ginocchia-spalle, raffigurano conclavi femminili. Sempre nell’attuale area balcanica, nella cultura Vinca, troviamo statue completamente incise, in particolare con spire di serpente. Nelle isole Cicladi sono state rinvenute statue di busti femminili con tatuaggi e scarificazioni che fanno pensare a culti religiosi verso la Grande Madre; nonostante ciò in Grecia il tatuaggio era considerato un’usanza barbara e venne dunque adottato come forma di mutilazione per schiavi e prigionieri. Il verbo stizèin è traducibile infatti con «tatuare» ma anche «marchiare»; da questo deriva la parola stigmatias, indicato per gli schiavi marchiati a fuoco.
Spostandoci più a est verso le montagne della Siberia occidentale, al confine tra Cina e Russia, troviamo mummie tatuate nella necropoli di Pazyryk. Nel 1948 l’archeologo Sergej Ivanovič Rudenko rinviene le spoglie di un uomo quasi completamente tatuato, ma non con piccoli e delicati soggetti, piuttosto con intricati eppur bellissimi intrecci di figure teriomorfe, animali e simboli del mondo naturale, su braccia, costato, scapola e gamba sinistra. Si è riusciti a comprendere che la tecnica usata per questi lavori è molto vicina a quella moderna, con delicati e sottili aghi, e non con le scarificazioni che invece caratterizzavano il tatuaggio più antico. In seguito, nel 1993, nella catena montuosa dell’Altaj e precisamente a Ukok, avvenne un importante ritrovamento: tre guerrieri mummificati, di cui uno in particolare ha riscosso il fervore popolare, la cosiddetta Ragazza dei Ghiacci o Principessa di Ukok. La donna era intrappolata in una bolla di ghiaccio, deposta, insieme a suppellettili rituali, all’interno di un tronco di larice. Dall’analisi dei suoi tatuaggi su spalla sinistra, braccio e ventre si è potuto comprendere che apparteneva a un rango più alto degli altri guerrieri e che la tecnica di realizzazione vantava di una particolarità unica: effettuata la foratura con aghi molto sottili, il tatuaggio veniva sfregato con grasso animale misto a nerofumo ricavato da piante bruciate. Molto ricorrente in queste culture l’immagine del drago, che rimanda alla trasformazione degli spiriti guerrieri (rappresentati da animali) nei guerrieri stessi.
Uscendo dall’Europa possiamo trovare tracce molto antiche anche in altri continenti, per esempio in Giappone dall’epoca Jomon (10.000 aC – 300 aC) grazie al ritrovamento di statuette antropomorfe che sembrano essere tatuate o scarificate. Il tatuaggio pare fosse riservato quasi esclusivamente alle donne, di colore rigorosamente nero, ed effettuato su braccia, contorno labbra e mani. Sembra che questi tatuaggi fungessero da amuleto contro gli spiriti malvagi e fossero elemento necessario per poter acc...

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