1. UN PRIMO SGUARDO D’INSIEME
1.1 Introduzione
Qualsiasi produzione verbale a cui si possa attribuire la qualifica di testo o discorso coerente è sempre intrinsecamente dialogica3, in quanto interazione parlata o scritta tra agenti umani che, nella situazione basica o di default, corrispondono ad almeno due persone che interagiscono in veste di individui, oppure di gruppi e categorie più o meno generiche di individui, o di individui che agiscono in veste o in rappresentanza di istituzioni4. Ma sono inerentemente dialogici anche quei discorsi, enunciati a voce alta o per iscritto, in cui l’agente umano è, o sembrerebbe essere, uno solo5. Rientrano in questa casistica sia i discorsi rivolti e destinati solo a sé stessi, in cui entrambi i ruoli di enunciatore e interlocutore sono svolti dalla stessa persona, sia quei discorsi, più frequenti di quanto si pensi di solito, in cui un agente umano interloquisce a voce o per iscritto con entità animate ma non (o non più) umane (esseri divini o fantastici, defunti)6, oppure con entità inanimate come concetti astratti di vario tipo (libertà, amore, ecc.), produzioni verbali (lettera, ballata, canzone, ecc.), animali e oggetti materiali di vario tipo, personificandoli (prosopopea)7. Come si vedrà meglio nel terzo capitolo, a tutti questi casi si usa spesso dare il nome di monologhi o di soliloqui. Sarebbe tuttavia utile, dal punto di vista enunciativo, distinguerli in almeno due macrogruppi principali in base alla divergenza oppure coincidenza, nelle intenzioni dell’io parlante o scrivente, delle figure dell’interlocutore (con chi o cosa si fa mostra di interloquire) e del destinatario (per chi si enuncia un certo discorso)8. L’enunciatore può infatti far mostra di parlare solo a sé stesso, oppure a un’entità ultraterrena, un defunto o un qualsiasi oggetto inanimato, per rivolgersi in realtà, in modo più o meno palese, ad altri esseri umani vivi e vegeti, ed è questa una delle tante situazioni di discorso in cui il destinatario reale non è – o non è solo – l’interlocutore dichiarato (v. anche 1.3.2 e 3.4). Questo è il caso dell’esempio seguente, tratto dalla prefazione di Lucia Annunziata scritta per la riedizione di Lettera ad un bambino mai nato di Oriana Fallaci dopo la morte di quest’ultima, avvenuta nel 2006. Annunziata si rivolge direttamente alla defunta usando il tu9, ma sottintende più volte, in modo più indiretto, che il destinatario reale del suo scritto è il pubblico vivente dei lettori, e in particolare le lettrici che vogliono diventare giornaliste:
(1) | […] Immagino sempre che tu ti stia godendo tutta questa attenzione. Vanitosa che eri. Vanitosa, soprattutto. Vedi? Parlo chiaramente. Faccio quello che sempre mi dicevi di fare quando provocavi. «Finiscila con questa lingua delle cicale. Parli sempre fino. Parli sempre con il cervello che controlla dove stai andando a parare. Parla, parla, esprimiti!!» Le cicale, per i pochi tuoi lettori che non sapessero di che si tratta, erano per te gli intellettuali della sinistra, o meglio gli intellettualoidi. Quelli che parlano appunto senza mai cuore, senza mai rompere il filtro del calcolo. Quelli che usano le parole come strumenti. Ripeterò queste accuse che mi facevi, perché forse val la pena che le ascoltino tutti coloro, specie donne, che vogliono fare i giornalisti. Mi accusavi di essere una fallita. Usavi quel termine come un martello. Fal-li-ta. Lo ripetevi per farmi innervosire, per provocare una reazione, per spaccare quello che tu pensavi fosse il cuore duro delle giornaliste e delle donne della mia età.10 |
L’altro caso, di per sé abbastanza frequente ma per lo studioso assai più difficile da catturare, soprattutto in registrazioni parlate, si ha quando l’enunciatore intende realmente rivolgersi solo a sé stesso, oppure a un’entità ultraterrena nella cui esistenza crede (una divinità, un santo, l’anima di un estinto, ecc.), dando così luogo a una situazione enunciativa in cui interlocutore e destinatario effettivamente, nelle sue intenzioni, coincidono11. Questo è ciò che avviene, ad esempio, nel caso seguente, che consiste di due letterine consecutive a Babbo Natale (A e B) scritte a distanza di pochi giorni da un bambino di nove anni, la prima per esprimere, come da tradizione, i suoi desiderata, la seconda dopo essere stato rimproverato dai genitori per la sua reazione non propriamente filosofica davanti a un regalo del tutto diverso rispetto alle attese:
(2) | [A, scritta prima del 25/12/2012] Ciao caro Babbo Natale. Sono Raimondo. Ti vorrei chiedere qualche regalo. Vorrei un gioco per la play station (PES 2013) poi un joystic e per finire una macchina di SCAN2GO (la Dragnite Genesis). Grazie. Ti prometto che faro [sic] da bravo. [B, scritta la mattina del 25/12/2012] Caro Babbo Natale ti chiedo scusa per come mi sono comportato. Piangevo perche [sic] mi piaceva il tuo regalo però preferivo PES 2013, però dopo un po’ mi sono accontentato perciò ti chiedo scusa. Grazie comunque per il regalo. Raimondo12 |
Lo scrivente crede nell’esistenza di Babbo Natale, che tutto vede e valuta del comportamento dei bambini, e non ha perciò alcun bisogno di spiegargli come si è comportato (conoscenza condivisa), ma solo perché si è comportato in quel certo modo.
La massima quantità di informazioni condivise si ha, naturalmente, quando si parla o si scrive davvero a, e per, sé stessi, cosa che ben si riflette nello stile estremamente brachilogico delle informazioni scritte e appuntate solo per noi stessi in agende e foglietti volanti (lessico ridotto e abbreviato, massima semplificazione sintattica, ecc.), spesso incomprensibili pure a noi stessi se rilette ad anni di distanza13.
Esistono infine molti testi, soprattutto scritti, che, pur non essendo rivolti a sé stessi, non manifestano alcun tipo di interlocuzione esplicita in forma di allocuzioni dirette o indirette rivolte a un interlocutore specifico, e per i quali, in base al contesto e al contenuto, si può parlare soltanto di destinatari più o meno impliciti.
Nella scrittura, tale dialogicità inerente al discorso umano, che chiameremo dialogicità primaria, si manifesta in modi diversi (più o meno espliciti) che hanno però tutti, per le note priorità del parlare rispetto allo scrivere14, il proprio punto di riferimento nei generi primari del dialogo naturale parlato, e più in particolare delle conversazioni in compresenza15.
Per valutare la qualità dialogica di un testo scritto, dobbiamo perciò innanzitutto individuare le strategie interazionali consentite dalla scrittura, cioè i mezzi linguistici, testuali e retorici con cui l’autore, in quanto enunciatore, può interagire, benché in modo asincrono e a distanza, con il lettore. Tali mezzi, come si vedrà meglio più avanti, corrispondono al metadiscorso autoriale con cui l’enunciatore manifesta la propria presenza o la propria “voce” in quanto autore e, in una sorta di feedback anticipato, aiuta e guida il lettore nell’interpretazione del testo e lo coinvolge nello sviluppo del discorso.
1.2 Metadiscorso e autorialità nei testi scritti
A partire dagli anni ’70 del Novecento, sulla scorta dei lavori dello studioso russo Michail Bachtin16, la questione della “voce” nella scrittura, intesa come espressione della presenza e del punto di vista dell’autore e di altre persone o personaggi a cui questi può dare a sua volta voce nel testo (plurivocità e polifonia testuale), è stata affrontata in riferimento a opere soprattutto letterarie, e al romanzo in particolare, oppure in lavori espressamente dedicati al discorso riportato anche in testi non letterari17. È tuttavia con la nozione di metadiscorso che, particolarmente in ambito anglofono, si è cominciato a porre attenzione in modo più puntuale e sistematico al ruolo e alla presenza di autore e lettore in testi di tipo scientifico-espositivo non tanto, o non solo, ai fini di un maggior raffinamento delle teorie del testo e del discorso, ma anche con lo scopo dichiaratamente applicativo di migliorare la didattica e la comprensione della scrittura scientifica in ambito soprattutto universitario18.
I segnali della presenza dell’autore, che possono essere in varia misura invadenti, elaborati, o viceversa tenuti al minimo, servono infatti non solo a facilitare l’interpretazione del testo ai futuri lettori, ma anche a porre dei limiti alla loro libertà interpretativa19. Allo stesso tempo, il metadiscorso aiuta l’autore a organizzare il testo in modo coerente e a modulare il proprio stile enunciativo in direzione di una maggiore o minore vicinanza al lettore20. Le funzioni del metadiscorso sono dunque sia interpersonali (assicurare e monitorare il contatto col lettore) che testuali o metatestuali (strutturare e organizzare il testo stesso)21, come ben sintetizzato da Avon Crismore:
Metadiscourse has many functions: it frames the topical/ propositional material, helps readers relate the content matter to a larger framework of knowledge, makes discourse cohesive and coherent, operationalizes rhetorical strategies, organizes and evaluates the discourse, introduces level shifts within a discourse, prepares readers for the next rhetorical, communicative moves in a discourse, indicates authors’ states of consciousness, and helps monitor contact with readers22.
L’area d’azione, le funzioni e le manifestazioni linguistico-testuali del metadiscorso autoriale sono insomma largamente coincidenti con quelle evidenziate da Chiara De Caprio in termini di autorialità, giustamente intesa come «un gradiente il cui tasso può essere maggiore o minore a seconda del testo»23:
In altri termini, l’autorialità è intesa come una dimensione alla quale è associabile un campo di scelte stilistiche che si riverberano su differenti punti nevralgici del testo, agiscono a più livelli e si manifestano sia attraverso scelte lessicali, sia mediante procedimenti e dispositivi testuali: come, ad esempio, le formule che mettono in risalto aspetti dell’io che scrive o che convocano il lettore nel testo; le sequenze destinate a riflessioni metatestuali e il sistema citazionale; le marche formali che segnalano differenze nell’origine e qualità delle notizie riportate; la perizia nelle operazioni di parafrasi e riassunto; i modi in cui sono realizzate le transizioni fra piani enunciativi diversi o le transizioni tipologiche fra s...