Eutanasia. Allungare la vita o allungare la morte?
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Eutanasia. Allungare la vita o allungare la morte?

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Eutanasia. Allungare la vita o allungare la morte?

About this book

L'Eutanasia è una materia di forte dibattito moderno. Filosofia, religione, diritto e in generale tutte le materie umanistiche si concentrano insieme, per tentare di rispondere alla fatidica domanda riguardo il "sì" o il "no" all'Eutanasia. La realtà però è molto più profonda e la verità sta nello scegliere se è giusto o meno decidere riguardo alla vita di un altro soggetto, privandogli o permettendogli un trattamento sanitario (giustificato e non). Dunque, ecco che il "sì" o il "no" all'Eutanasia diviene la risposta alla domanda: "si allunga la vita o la morte?". Privilegeremo la scelta dell'imporre la società sul soggetto o la libertà dell'individuo di decidere con propria coscienza il suo personale bene? Forse, data questa premessa, la verità delle cose sta in mezzo. E la nostra riflessione parte proprio da quest'ultima affermazione.Tutto questo è: "Eutanasia, allungare la vita o allungare la morte?"

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Information

Publisher
Youcanprint
Year
2022
Print ISBN
9791221402568
Capitolo IV
Eutanasia:
Allungare la vita o allungare la morte?
Qualche riga fa è stato usato il termine “tristi” per aggettivare le storie di quei soggetti malati, che sono ingiustamente costretti ad una ulteriore sofferenza, oltre quella datagli dalla natura e dal caso, proveniente dalla mancanza di un panorama legislativo adeguato alle loro necessità.
Purtroppo, non esiste parola più adeguata di questo termine, cioè “tristi”, per rappresentare al meglio le emozioni che traspaiono attraverso le loro vicissitudini giuridiche e non.
Questo poiché l’uso di tale attributo, dalla valenza assolutamente negativa, ci riafferma l’idea costante di pena e pietà nei confronti di soggetti dimenticati e abbandonati dal diritto Statale e da quello Europeo.
Esistono, infatti, soggetti che, a prescindere dalla nostra visione positiva o negativa sul tema dell’Eutanasia, è universalmente riconosciuto come giusto che debbano essere aiutati.
Un esempio sono proprio tutti questi soggetti, protagonisti assoluti della trattazione, in stato quasi o totalmente vegetativo, i quali conservano la possibilità di esternare la propria volontà personale ma a cui non viene data la possibilità di abbandonare la propria vita, pur desiderando questi ultimi fare proprio questo, in base alla loro libertà di scelta coerente del miglior trattamento per la propria situazione clinica.
Tutto questo è chiaramente inaccettabile in uno Stato di Diritto che dovrebbe preservare l’individuo dalla ingiusta aggressione, nei confronti di questi soggetti, adoperata dalla società.
Questi esseri dimenticati, come li abbiamo presentati qualche pagina fa, non sono soli e non devono mai pensare di esserlo.
Ciò poiché esistono anche altri soggetti, facenti parte di un’ulteriore categoria ben definita, ovvero quella dei super-dimenticati, che non vengono completamente considerati all’interno del discorso sull’Eutanasia, dato il fatto che è impossibile ricostruire una volontà solida e forte nel caso di questi ultimi individui, essendo i super-dimenticati in stato vegetativo persistente o avendo in alcuni casi perso addirittura la capacità giuridica d’agire.
Quindi è difficile ragionare sulla loro condizione per prendere una posizione decisa e univoca, dato che sia salvarli quanto non farlo sono entrambe opzioni non disponibili, trovandosi questi soggetti in un limbo decisionale e non potendo esprimere la loro piena e concreta volontà.
Tentare di trovare uno snodo comune sembra essere troppo complesso per qualsiasi disciplina, sia giuridica che etica, ma è proprio su quest’ultimo campo che invece bisogna studiare e riflettere per trovare scampo ad un problema che attanaglia le menti delle ultime generazioni del Mondo Occidentale.
Sia la filosofia che il diritto o ancora la scienza e così via... non riescono a capire come comportarsi nei confronti di coloro che sono stati dichiarati incapaci e, dunque, non possono spirare, pur magari essi volendo.
E ciò accade poiché la loro decisione è rimessa ad altri soggetti, che ne detengono la volontà o meglio le volontà.
Il diritto, in questo caso, non priva solamente il soggetto malato della scelta ma lo obbliga a non essere il portavoce di sé stesso, stabilendo come, quando e cosa fare.
Ciò è un giusto punto d’accordo tra chi sostiene che questi soggetti non abbiano effettivamente modo di dimostrare una propria ferrea volontà e chi ritiene che anche se esternata tale volontà sarebbe incompleta a causa della incapacità del soggetto dichiarante.
Ma non è una soluzione duratura, poiché il risultato finale è una semplice selezione di soggetti che sono assolutamente fuori dalle meccaniche ordinarie del diritto, senza nessuna possibilità di entrarvi in alcun modo.
È forse proprio questo il caso, più che negli altri presentati, dove è possibile rintracciare il grosso limite che riguarda tutti i discorsi sull’Eutanasia, oltre che ovviamente l’ingiustizia di buona parte dei divieti riguardanti la disciplina oggetto della nostra riflessione.
Infatti, sembra irrisorio il discorso sulla libertà o meno di scegliere il proprio destino attraverso il momento della morte cagionata, se c’è una volontà chiara e di possibile esternazione, da parte del soggetto dichiarante.
Al contrario il vero dialogo dovrebbe incentrarsi sulla difficoltà di ricostruzione della volontà, rappresentata dal capire quando accettare o meno il suicidio di un incapace.
Tale zona grigia è un mistero della ragione poiché ogni argomentazione che predilige uno o l’altro versante ideologico, cioè quello del sì o quello del no, parrebbe essere giusta.
Potremmo dare peso agli scritti lasciati in vita, come effettivamente si fa nelle aule giudiziarie32.
Oppure, si potrebbe affermare che è necessario un obbligo a “scrivere” un testamento biologico, dunque un atto con tutte le prestazioni sanitarie che il soggetto rifiuterebbe in caso di tragedia, così da avere sempre una volontà certa sulla quale appigliarsi33.
Quest’ultima ipotesi non è nemmeno trattata come una materia vera ma viene spesso discriminata con discorsi assolutamente pregiudizievoli che dimenticano l’esistenza di soggetti che sono nati soffrendo o che vivono soffrendo.
Ma d’altronde, chi può decidere per un soggetto che non può esternare la propria volontà?
Non sicuramente il soggetto incapace, o peggio ancora se quest’ultimo è addirittura interdetto34.
Il che ci riporta al problema principale; l’unico vero e di difficile risoluzione all’interno del variegato panorama dell’Eutanasia.
È difficile accettare l’idea che esista un soggetto che fa le veci e che possa decidere, tramite la propria interpretazione della volontà dell’incapace, sull’incapace stesso e sulla sua vita.
La legge 219 del 2017 afferma che comunque la volontà del soggetto deve essere presa in considerazione, quando è dichiarabile dallo stesso, ma vi sono casi in cui è logico che a decidere siano altri, cioè i parenti, il medico o il giudice stesso35.
C’è stato chi ha tirato fuori quest’ultimo argomento prendendo in considerazione il fatto che se non può e non è in grado di decidere il soggetto, allora devono essere i parenti a farne le veci.
È da questo filone che poi è nata quella strana idea dove, nonostante nel caso degli incapaci sia da prediligere sempre la volontà del paziente, comunque viene dato rilievo alle dichiarazioni di coloro che hanno un vissuto con l’individuo malato, così da trovare la migliore cura possibile per lo stesso.
Qualunque sia la risposta è anche vero che ci sono stati già dei primi segnali forti da parte del diritto, il quale si sta, lentamente ma costantemente, evolvendo per includere questi soggetti super-dimenticati all’interno di un panorama legislativo consono e adeguato.
Un esempio, seppure non la massima forma possibile di autodeterminazione che ci si aspetterebbe dal diritto, è quella prevista per i minori e per gli incapaci nella già citata legge 219 del 2017.
È qui che viene affermato come debba sempre essere data la possibilità a tali individui di essere informati e di poter esprimere una propria volontà. che però ancora oggi transita sempre dal sindacato del tutore dato che l'incapacità non dà la possibilità al soggetto di decidere da solo.
In quest’ultimo testo di legge, cioè quello più “moderno” sull’argomento, viene valorizzata la decisione dell’incapace, ma siamo ancora purtroppo lontani da una completa ricostruzione dei diritti di questi soggetti.
Il discorso sui super-dimenticati è lo specchio di una società che privilegia l'ignavia, quindi il non decidere, piuttosto che il prendere una posizione precisa e unica.
E ciò poiché riguardo alla difficile questione dei super-dimenticati non c’è una risposta giusta o sbagliata.
Dunque, per questi poveri soggetti il fine legislativo ultimo può essere solo una presa di posizione ragionata.
La quale sicuramente deve avere come asse portante la volontà del paziente ma deve necessariamente includere l’ingerenza di terzi.
Ed è nelle scelte più difficili che l’uomo dimostra la sua forza dialogica; da sempre è stato così e probabilmente lo sarà fino alla fine dei tempi.
La legge 219 del 2017, in questo caso, ha il vanto di dare spazio e voce a questi soggetti super-dimenticati, permettendone lo scontro contro i rispettivi tutori nel momento in cui sorga una divergenza sul da farsi.
La possibilità di ricorrere ad un giudice poiché le volontà sono discordanti, ovvero quella del tutore e quella dell’incapace, danno un primissimo spunto di normalità all’interno di questi rapporti.
Normalità che però resta ancorata ad uno schema che collega la figura apicale del rapporto sempre al tutore prima che all’incapace, cioè colui sul quale il trattamento verrà compiuto.
E ciò poiché seppur la legge guardi all’incapace come sceneggiatore del film, è pur sempre il rappresentante legale il regista e la decisione non può che transitare da quest’ultimo.
Si tratta, dunque, di risolvere uno squilibrio del rapporto.
E ciò è possibile ed è in atto grazie a molte sentenze a favore di quest’ultima ricostruzione presentata, diramate da parte dei giudici più importanti a livello Europeo e Mondiale.
È giusto che un soggetto che la medicina dice possedere il 99% di morire, non potendosi più svegliare, venga tenuto in vita, pur sapendo che la sua volontà era quella di morire?
Assolutamente sì, potremmo dire se privilegiamo la sacralità della vita, ma stiamo davvero facendo il bene del paziente?
D’altronde, questi soggetti non pesano realmente sul bilancio dello Stato e devono essere salvati, per quanto possibile, dato che i miracoli esistono e la speranza è l’ultima a morire.
Le cose si complicano quando andiamo a trattare riguardo a soggetti che resterebbero, però, chiaramente segnati dall’intervento.
Che aspettativa di vita può avere un soggetto “vivo” ma che non può più muoversi né respirare senza una macchina?
Anche qui la riflessione è tosta e la soluzione non è così facile come si pot...

Table of contents

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Capitolo I La morte come liberazione del pensiero
  6. Capitolo II L’origine del pensiero moderno sulla morte: il Cristianesimo e la speranza
  7. Capitolo III Il bene ha un prezzo, la morte è gratis
  8. Interludio Il dolore
  9. Capitolo IV Eutanasia: Allungare la vita o allungare la morte?
  10. Conclusioni Dov’è il giusto?
  11. Ringraziamenti