Storia di una ragazza di Pest
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Storia di una ragazza di Pest

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Storia di una ragazza di Pest

About this book

Budapest, 1905. Elsa, unica figlia di una coppia borghese, è in età da marito, ma non risponde alle aspettative che la società del tempo pone alle ragazze nel suo stato. Si ribella frequentando feste, flirtando e leggendo romanzi francesi considerati arditi ma nel frattempo diventati grandi classici. Fin dall'adolescenza è presa dal primo amore verso un giovane di classe sociale inferiore che, malgrado l'impossibilità di frequentarsi, la ricambia. Elsa dovrà tuttavia piegarsi a un matrimonio d'interesse per riscattare l'onore perduto e le disastrose finanze della famiglia. Ma così come i primi amori difficilmente sfociano in matrimonio, anche i legami d'interesse vengono inevitabilmente infranti da infedeltà coniugali. Benché la trama sia fitta di personaggi, avvenimenti e dialoghi, la storia lascia nel lettore l'impressione di un unico grande monologo sulle illusioni e sulla loro perdita, sull'innocenza e sul tradimento, sulla rinuncia a sé e sulla realizzazione della propria personalità. Sullo sfondo, c'è Budapest, bella città mitteleuropea che ai primi del Novecento vive il suo periodo di maggior sviluppo, al quale però non corrisponde un'altrettanta rapida evoluzione degli usi e dei costumi, e in cui la condizione femminile è ancora ancorata all'Ottocento.

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Information

Year
2022
Print ISBN
9788868615963
eBook ISBN
9788868615970

​Sette

Nel frattempo fuori, per le viuzze dirette a Városliget, il bosco cittadino, che costeggiavano giardini, Elza camminava a passo svelto con la calma necessaria per le grandi decisioni. La determinazione con cui voltò l’angolo e attraversò la strada testimoniava una meta decisa. Procedeva già fra gli atelier dei pittori. Non c’era anima viva per la strada. Tutto intorno riposavano casette dai grandi occhi, inserite in giardinetti e abitate da artisti, che a quell’ora erano già tutti al caffè e gli atelier erano chiusi. Conosceva una di quelle casette. La frequentava con sua madre, perché un giovane pittore alla moda lavorava tutte le mattine al ritratto della mamma.
A una svolta notò tre figure procedere adagio sul marciapiede opposto. Al centro riconobbe la piccola Manci, alla sua destra Artur. Alla sinistra camminava la governante francese. Girò loro alla larga e procedette in fretta. Pensò per un istante alla piccola Manci e le fece pena vederla agli esordi. Pensò che fra due o tre anni anche lei avrebbe discettato di Zola e Maupassant e la sua più grande fortuna sarebbe stata non essere colta in flagrante da una Exner.
Si fermò all’angolo dove aveva dato appuntamento a Miklós. Il ragazzo non c’era, e la piccola via asfaltata era completamente vuota. Aspettare era spiacevole ma cos’altro avrebbe potuto fare? Camminò avanti e indietro. In lontananza si sentivano i suoni della sera di viale Andrássy, l’elegante fragore del rivestimento di legno. Una modella in ritardo frusciò nel suo vistoso abito di seta, poi le passò accanto quasi senza fare rumore una vettura con le ruote di gomma. Miklós non arrivava. Nell’attesa percorse agitata la viuzza. Sparso qua e là qualche atelier, sull’altro lato si ergeva la casa di un ricco speculatore di borsa. Il valletto alla porta era come quelli a Vienna davanti ai portoni dei principi. Questa riflessione la fece sorridere, poi alzò lo sguardo sulle finestre del primo piano. Tre di fila erano illuminate. Un ricevimento, sempre qualche ricevimento – aggiunse nel pensiero –, tutte sciocchezze, solo amorazzi, musica, “secessione”, tutto soltanto ricevimento. Non ne poteva più di ricevimenti, di queste occasioni reputate della decadente società delle fanciulle che sono anche tribunale, parlamento, ma anche ristorante, sala da ballo e caffè, stanza dei pettegolezzi, sala da concerto e tutto il resto dove o si è derise o si è corrotte come le altre. Pensò con aspra ironia agli ospiti lasciati soli a casa. In quel momento aveva chiuso con tutto al punto di non badare al ricevimento che si stava svolgendo a casa sua. In seguito avrebbe trovato una scusa per giustificare questo passo estremo. Per esempio le suonava bene il termine “ambiente”. Sì, era stato il suo ambiente a respingerla, la sua compagnia, la sua famiglia. Poi pensò alle sue letture. E divenne progressivamente sempre più impaziente, aspettava con innamorata inconsapevolezza il momento in cui qualcosa avrebbe condizionato la sua debole forza di volontà fino a costringerla a non tornare alla vita di società.
Poi le balenò in mente che la piccola Ketty abitava in quella via. La signorina americana risiedeva sull’altro lato della strada dal suo zio avvocato possidente. Questa constatazione la turbò, quindi cambiò strada e da una traversa continuò a tenere sott’occhio l’angolo dove nella sua lettera aveva dato appuntamento a Miklós. Tuttavia la sua sventura che agiva da meccanismo mirabolante la portò incontro alla ragazza americana. Avrebbe potuto optare per la corsa all’indietro. La provò pure. La piccola Ketty (che era sola) la rincorse. Al che si voltò e affrontò la ragazzina con parole flemmatiche: «Perché mai dovrei scappare alla sua vista?».
Ketty si arrestò come un puledro spaventato.
«Ma guarda, miss Elza!».
«Esattamente, miss Elza».
«Lei ci ha semplicemente piantati in asso».
Elza fu presa da amarezza al pensiero romanzesco che la società, che lei aveva abbandonato con tanta audacia, allungasse i suoi tentacoli e la richiamasse alle sue responsabilità nei confronti dell’etichetta dei ricevimenti. Era indispettita, nei suoi occhi color noce avvampava ormai un fuoco pressocché selvaggio: «Sì, vi ho lasciati».
Ora la piccola Ketty era davvero disorientata e se ne vergognava. Le domandò piano, quasi involontariamente: «Perché?».
Questa piccola selvaggia americana si era sempre comportata con lei nel migliore dei modi. Simpatizzava con la ragazza alta e castana tanto amata dai ragazzi, e che ogni tanto vedeva avvolgersi in una segreta malinconia. Ora vide che Elza aveva i lucciconi; le si accostò e la accarezzò.
«Che sta succedendo, miss Elza?».
Elza, che prima si era atteggiata a fuggiasca dalla cattiveria, ora gradiva la compassione. Eppure avrebbe voluto rimanere fredda di fronte a tutto ciò che le ricordava in maniera convenzionale la sua vita fino a quel momento.
«Nulla, nulla…».
Allora la ragazzina la prese sottobraccio, la strinse e le si accostò: «Miss Elza – disse seria –, so che cos’ha…».
«Oh…».
«… Non deve parlare. Venga a fare due passi, le racconto qualcosa di interessante e la accompagno a casa».
Elza guardò sopra i giardini spogli.
«A casa…» disse piano, con ironia amara.
«Venga…».
«No – rispose Elza allarmata –, non posso. Devo rimanere qui…».
Ketty non era sorpresa.
«So che lei sta aspettando qualcuno, miss Elza, so anche chi».
«Non lo sa…».
«So anche che vuole fuggire».
Si arrestarono di colpo. Elza gridò: «Non è vero! Come fa a saperlo?!».
Una grande rabbia montava nella sua anima al pensiero che non poteva tranquillamente scomparire dalla sua ex compagnia. L’autopsia cominciava già sul suo letto di morte.
«Mi lasci in pace con le sue stupidaggini!» disse con tono brusco alla ragazza e cercò di divincolarsi con un gesto violento. Ketty, però, la teneva saldamente come una presa d’acciaio elegante e scintillante.
«Non è una stupidaggine – disse Ketty –, è la verità. E se continua a strattonare, le do un pugno».
Elza sorrise.
«Ecco, proseguiamo. Di là non c’è nessuno».
E la trascinava verso casa. Elza camminava.
«Lei qui stava aspettando quel ragazzo per scappare insieme. Non lo aspetti più, non verrà».
«Invece verrà».
«Le dico che non verrà. L’ho appena visto con la piccola Manci e la governante, stavano andando in centro».
Elza constatò con un sorriso quanto fosse ingenua la bambina, e in fondo era contenta che non conoscesse la verità. Ketty credeva che lei stesse aspettando Artur. Artur…
L’americana era sincera: «Non ne vale la pena. Mister Artur è un ragazzo insolente, cattivo! Tempo fa l’avevo sentito dire certe cose di lei ai ragazzi. Non ha carattere. Un giorno lo picchierò».
A Elza fece piacere che qualcuno le rinforzasse il rifiuto, che alimentasse in lei il desiderio sempre più vigoroso di morire e di rinascere in una vita nuova, giacché in questa vita la aspettavano solo infelicità e disgusto.
«Da noi in America lo avrebbero già corcato di botte. Nessuno osa parlare male di una ragazza! Bleah, a Pest, invece! So che mi rimprovereranno anche oggi perché torno a casa da sola. Ma non m’importa. Magari mi parlasse un mister ungherese per strada. Gli darei un pugno in testa, due sul petto, piff, puff!».
E aggiunse quasi dispiaciuta: «Ma finora nessuno si è azzardato a comportarsi male con me…».
Divenne sempre più buio, scese la sera invernale senza neve ma bianca, di freddo asciutto. Gli atelier si innalzavano nell’oscurità come tanti piccoli castelli ricoperti di neve, ed Elza sentiva che Miklós non sarebbe più venuto. Era passata già un’ora. Ketty parlava al suo fianco, velocemente, a tratti inciampando nelle parole e con accento inglese. Non le prestava più attenzione. Le camminava accanto insensibile, immersa nell’unico penoso pensiero che Miklós non era venuto a prenderla. Provava ad attutire la disperazione pensando che Miklós non lo aveva promesso, era stata lei a chiederglielo nella sua lettera implorante. Poi si indignò, perché leggendo una lettera simile il ragazzo sarebbe dovuto venire. Stava pensando a Miklós che, a quanto pareva, non voleva legare la propria vita alla sua, che aveva i suoi progetti, le sue mete da raggiungere, quando la colpì una frase pronunciata da Ketty addirittura due volte, e con voce determinata: «Lei si deve sposare!».
Si fermarono.
«Si deve sposare!» ripeté Ketty con un tono come se avesse ragione. Continuò più piano: «Sposarsi, miss Elza, e abbandonare questa compagnia. Basta con i ricevimenti, meglio giocare a tennis. D’estate nuotare, arrampicarsi sui monti. Mangiare bene, miss Elza, e se proprio vuole leggere, leggere buoni libri. Ha letto I pionieri 1?».
«No…».
« Il cacciatore di daini, lo ha letto?»
«Neppure».
«Male. Ha letto Un cacciatore di scalpi
«No».
«Lo leggerà. Una volta ho cominciato a leggere un romanzo francese ma mi sono stancata alla quinta pagina. Una donna non amava suo marito e amava un altro. Si può leggere una roba siffatta?».
Elza rispose: «Non si può».
«Succedeva tutto nei boudoir e ai ricevimenti. Nemmeno un indiano tra i protagonisti. A me piacciono i romanzi in cui alla fine il nigger viene immerso nel catrame e rotolato fra le piume…»
Rise di cuore: «Ha letto Nick, l’avaro? Nick è così taccagno che non compra neppure il bottone per la camicia ma aggancia il colletto a una verruca… Un libro molto divertente!».
«Chi l’ha scritto?».
«Che ne so! Che me ne importa!».
Tacquero. Ketty pensava all’avaro Nick e si immaginava la scena in cui abbottonava il colletto alla verruca. La trovava molto divertente. Percorrevano inosservate le vie silenziose verso casa.
«Bisogna sposarsi – disse Ketty, divenuta improvvisamente seria –. Deve sposare un brav’uomo. Non uno di Lipótváros 2».
Faceva la donna di mondo: «Sono i peggiori – aggiunse –, giocano a carte, non stanno mai a casa».
Elza notò che stavano andando a casa. Si strinse balzana nelle spalle. Già che non la vuole neppure Miklós – pensò –, perché non tornare a casa? E in fondo la piccola Ketty aveva ragione. Doveva sposarsi. Se non per altro, per fuggire dal suo attuale microcosmo.
Pian piano giunsero al portone di via Nádor. Elza fu presa dalla paura del ritorno. Ricorse istintivamente alla risorsa della bugia.
«Che cosa devo dire a mamma?».
Ketty la guardò stupita. Elza domandò di nuovo: «Che cosa le dico, dove sono stata?».
«Per carità di Dio – esclamò Ketty –, non vorrà mica mentire, miss Elza?». E le rivolse un’occhiata di tale infantile stupore e sconcerto che a Elza di colpo venne la voglia di raccontare la verità a casa.
«Se vuole salgo con lei» si offrì Ketty.
«No, grazie…».
Si salutarono con un bacio ed Elza scomparve sotto il portone. In fondo alla scalinata si fermò per riflettere. Non si può sbattere tutto così in faccia a sua madre, però…
Ketty le gridò appresso: «Salire! E niente bugie! Bleah a chi mente!».
Questo grido intemerato e infantile acquietò l’anima di Elza. Prese a salire le scale con l’intento determinato e tranquillo di raccontare a sua madre la storia così come era accaduta. Poiché era fortemente convinta della propria innocenza, pensò anche a ciò che il giorno prima suo padre aveva rinfacciato a sua madre nell’altra camera. Raggiunta la porta le sembrò di essere colpita dal profumo, dall’odore colpevolmente denso e inebriante della casa, dal respiro caldo come l’inferno in cui continuerà a vivere, ormai non potendo contare neppure su sua madre. Sentiva che la breve quiete la doveva alla fredda serata invernale e all’onesta signorina d’acciaio del nuovo mondo. Ora sarebbe ricominciato tutto da capo.
“Bisogna sposarsi”, ronzava nella sua anima.
Suonò e quando comparve la cameriera e le aprì la porta con viso incantato e raggiante di gioiosa sorpresa, decise che si sarebbe sposata. Al trillo del campanello arrivò anche la mamma, dal salone fuoriuscì il profumo caldo, dalla porta della cucina rimasta aperta un po’ di odore di cucinato, le lampade elettriche producevano illuminazione, faceva caldo.
Bisogna sposarsi, ripeteva fra sé, e gettò le braccia al collo di sua madre.
Bisogna sposarsi, diceva la piccola Ketty che si incamminava veloce per la via illuminata sotto i primi fiocchi di neve, mentre da dietro il manicotto si guardava intorno cauta e indispettita per vedere se ci fosse un impertinente mister magiaro che lei avrebbe potuto colpire in testa e due volte sul petto, piff, puff…


[1] Questo e i successivi, ma non Nick, l’avaro , sono romanzi di James Fenimore Cooper.
[2] Quartiere centrale di Pest.

​Otto

Elza attraversò le camere in punta di piedi. Nel camino scoppiettava il fuoco, il luminoso mattino invernale disegnava fasce dorate di polvere sopra i mobili. Si fermò alla porta della camera da letto e bussò delicatamente: «Mamma…».
«Elza, sei tu?».
«Sì. Papà è a casa?».
«No».
Erano già quattro giorni che il babbo non dormiva a casa. Da quando aveva sbattuto la porta dell’anticamera in quella sera terribile, non lo avevano più visto.
«Posso entrare?».
«Certo!».
Entrò. Sua madre era seduta davanti al tavolino con lo specchio e si stava pettinando. Sembrava leggermente più vecchia, gli ultimi quattro giorni avevano lasciato il segno.
«Tuo padre non è in casa – disse –, ma ieri ha mandato su il capufficio con la chiave, e quello ha portato via tutto dalla cassetta di sicurezza…».
Vi fu un breve silenzio. Entrambe si ricordarono di quella notte di più o meno un anno prima, quando verso l’una il babbo era tornato a casa rosso in viso e agitato, non si era tolto neppure il cappello a cilindro ma aveva preso una bella quantità di denaro dalla cassetta e se n’era andato di corsa. Avevano sentito il fiacchere ripartire con lui dabbasso. Per la mattina aveva rivinto il denaro.
Elza premette il viso contro il braccio nudo di sua madre e disse sommessamente: «Mamma, io mi devo sposare».
Tacquero di nuovo. Poi la signora Brandt disse: «Naturalmente. Lo dico anch’io».
Elza scandì con una determinazione quasi virile: «Mamma, io so chi devo sposare».
«Chi?».
«Il figlio di Samu Gál».
La mamma posò il pettine. La democrazia è bella ma lei si aspettava un prefetto, o almeno un deputato – già che c’era. Samu Gál…
«Sì, suo figlio Miklós… Lavora alla Banca Hungaria. Lo conosci bene…».
«Non me ne hai parlato prima…».
«Te lo dico ora: la signora Exner mi ha visto con lui, non con Vermes. E ieri volevo fuggire con lui…».
Tanto romanticismo tutto insieme era troppo per la signora Brandt. Si alzò e disse balbettante: «Ma lui… – le vennero in mente le conquiste in tema di politica religiosa e proseguì – … non ti sposerà!».
Elza sorrise: «Mi sposerà».
«E tuo padre che ne dirà?».
«Mio padre non dirà una parola».
«Tacerà anche sul denaro?».
Rimarcando ogni singola sillaba, la ragazza disse: «Tacerà anche sul denaro. Lo sai?».
La mamma non sapev...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Storia di una ragazza di Pest
  3. Indice dei contenuti
  4. ​Prefazione
  5. ​Uno
  6. ​Due
  7. Tre
  8. ​Quattro
  9. ​Cinque
  10. ​Sei
  11. ​Sette
  12. ​Otto
  13. ​Nove
  14. ​Dieci
  15. ​Undici
  16. ​Dodici
  17. ​Tredici
  18. ​Quattordici
  19. ​Quindici
  20. ​Sedici
  21. ​Diciassette
  22. ​Diciotto
  23. ​Diciannove
  24. ​Venti
  25. ​Ventuno
  26. ​Collana Mansarda